Tutti insieme appassionatamente
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Non sono soltanto i facinorosi di una sinistra senza perimetro e senza obiettivi a far casino in Italia perchè, a soffiare indirettamente sul fuoco nei giorni scorsi si sono messi anche due baldi ministri e vice premier, i quali, in un momento così topico hanno iniziato a battibeccare come due adolescenti su temi di secondaria importanza, invece di rinserrare le fila del loro stesso governo
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Fermo restando il rispetto istituzionale dovutogli perché egli rappresenta tutto il Paese, quindi anche me, confesso di non aver mai provato un grande trasporto per il presidente Sergio Mattarella, né prima che diventasse la prima carica dello Stato, né adesso. Prima perché nel 1993, fregandosene del responso referendario con il quale una schiacciante maggioranza di italiani aveva scelto il sistema maggioritario, fu convinto relatore di una pasticciata e conservatrice legge elettorale, che peraltro durò appena tre legislature e che oggi viene ricordata col suo nome volto al latinorum: Mattarellum. Adesso perché si sta ritagliando il ruolo di osservatore inane (che è cosa diversa da “imparziale”) del vertiginoso deteriorarsi della situazione sociale, politica e istituzionale del Paese, un deterioramento al quale, secondo me, il capo dello Stato ha dato il suo contributo, se non altro perché certe sue iniziative e parole si sono rivelate di parte o semplicemente infelici. Di tali iniziative ne ricordo soltanto due, le ultime in ordine di tempo.
Il 6 febbraio del 2020, in evidente polemica con i presidenti di regione leghisti che chiedevano al governo un periodo d’isolamento per i bambini che stavano rientrando dalla Cina, da mesi ampiamente devastata dall’epidemia di Covid-19, il presidente Sergio Mattarella volle fare il non necessario, né richiesto, beau geste di andare a fare una visita a sorpresa alla scuola “Daniele Manin” nel quartiere romano dell’Esquilino, un istituto frequentato in prevalenza da bambini cinesi. E quell’infelice iniziativa il signor presidente la prese dopo una settimana che il governo di Giuseppe Conte aveva dichiarato lo stato di emergenza sanitario nazionale, inequivocabile segno che lui e i suoi collaboratori non avevano capito un cacchio di ciò che ci stava arrivando addosso. Ovviamente, quella visita a cuor leggero fatta ai cinesini di Roma dalla massima carica dello Stato fece sottovalutare il pericolo ai cittadini e soprattutto ai politici delle istituzioni che dovevano decidere il da farsi, secondo uno scontato assunto: “Se il presidente se n’è impipato dello stato di emergenza nazionale, allora vuol dire che la cosa non è così grave”. Poi cominciammo a contare i morti a migliaia e per i fan del presidente i negazionisti diventarono gli altri, cioè quelli che avevano lanciato l’allarme. Ma questa è un’altra storia.
Dopo che lo scorso 23 febbraio la Polizia era stata costretta a disperdere a manganellate un assembramento non autorizzato di studenti e centri sociali a Pisa, e un corteo, autorizzato ma uscito fuori itinerario a Firenze, questa fu la Nota del Quirinale a riguardo: “Il Presidente della Repubblica ha fatto presente al Ministro dell’Interno, trovandone condivisione, che l’autorevolezza delle Forze dell’Ordine non si misura sui manganelli ma sulla capacità di assicurare sicurezza tutelando, al contempo, la libertà di manifestare pubblicamente opinioni. Con i ragazzi i manganelli esprimono un fallimento”. Insomma, il signor presidente Sergio Mattarella fece, in quirinalese, un solenne cazziatone alla Polizia invece di porsi in posizione mediana com’era suo compito e dovere, magari invitando gli studenti a manifestare il proprio dissenso in modo pacifico e la Polizia ad isolare i violenti, evitando di fare di ogni erba un fascio. Per carità, lungi dal voler suggerire al presidente della Repubblica che cosa deve fare o non fare, ma era da mettersi in conto il fatto che il comunicato, così come formulato, poteva essere inteso da studenti e giovani esaltati della sinistra radicale, capeggiata dal Pd, come un endorsement, una sorta di patronato silente. Di certo non era intenzione del Quirinale buttare benzina sul fuoco, ne siamo convinti tutti, ci mancherebbe altro, ma è innegabile che proprio questo è accaduto.
Infatti, dopo meno di un mese dalla suddetta Nota, lo studente quindicenne di una scolaresca romana in visita al Senato ha fatto il gesto della pistola contro la premier Giorgia Meloni durante un suo intervento. L’atto, gravissimo anche in rapporto al luogo dove è avvenuto, non ha suscitato nessuna indignazione trasversale, tantomeno un altro pistolotto dal Colle sempre così attento alle questioni di lana caprina. Ma mica è finita lì. Nelle manifestazioni di piazza che dal fatal cazziatone hanno preso a bersaglio, guarda caso, la Polizia sulla quale evidentemente ogni violenza è lecita, è ricomparso uno dei simboli del terrorismo degli anni Settanta, ovvero le due dita unite con il pollice alzato, a simboleggiare la Walther P38, la pistola prediletta dai terroristi per eliminare alcuni degli appartenenti al sistema repressivo borghese, quello che oggi, con una translitterazione che è soltanto semantica, le sinistre piazzaiole chiamano governo fascista di Giorgia Meloni.
Ma a soffiare pericolosamente sul fuoco da quando al governo ci sono i conservatori, scelti nelle urne dalla maggioranza del popolo italiano, si sono messi, più o meno scientemente, un po’ tutti. Come dire il sindacato di Landini & C., che blatera di rivolta sociale e di rivoltamento dell’Italia come un calzino; una segretaria politica che pensa di essere a capo di un centro sociale e non del secondo partito italiano; una parte della magistratura che si è messa in aperto contrasto col potere esecutivo sul tema dell’immigrazione clandestina. Purtroppo, questa variegata compagine ha nel proprio programma politico il niente, ossessivamente ripetuto sulle piazze fino a fare il lavaggio del cervello ai propri seguaci, che così compensano il vuoto progettuale con la violenza verbale contro il governo e quella fisica contro la Polizia… d’altronde il capostipite di costoro è Marx, colui che riteneva la violenza levatrice della storia. Ma facessero attenzione perché quello della violenza politica non è un processo che una volta innescato poi si può controllare, tant’è che finisce sempre per divorare coloro che la praticano. A tal proposito ricordiamo ai distratti della Sinistra che ieri, a Canosa di Puglia, alcuni sconosciuti hanno tentato di bruciare la casa dell’europarlamentare di Fratelli d’Italia Francesco Ventola, con lui e la famiglia dentro. E fossero soltanto i sinistrorsi a far casino! A soffiare indirettamente sul fuoco, è il caso di dire, nei giorni scorsi si sono messi anche due coglioni appartenenti all’esecutivo, oltre che ministri e vice premier, i quali in un momento così topico si sono messi a battibeccare come due adolescenti su temi di risibile importanza, invece di rinserrare le fila del loro stesso governo e offrire sicurezza alla premier ed a tutti gli italiani che, speranzosi di cambiare qualcosa, li hanno votati.
Concludiamo ribadendo ancora una volta che non intendiamo sostenere che le piazze si stiano surriscaldando per colpa del presidente Sergio Mattarella, certo è che non tutte le sue uscite sono state azzeccate ed utili per raffreddare gli animi, e forse qualche parolina per invitare tutti a rientrare nel proprio alveo istituzionale e costituzionale potrebbe finalmente dirla. Mi rendo conto, tuttavia, che le mie osservazioni saranno accolte, nella migliore delle ipotesi, con scetticismo perché, quella di presidente della repubblica italiana, è una figura che assomiglia alla sciantosa del tabarin d’inizio Novecento, quando sposava un nobile titolato. E sì, da quel momento la sciantosa, anche se chiacchierata per i suoi trascorsi, diventava automaticamente una nobildonna e guai a tirar fuori il suo passato se non si voleva essere sfidati a duello dal permaloso marito. Al tempo presente il marito permaloso si chiama politicamente corretto e sfida a duello le persone intellettualmente oneste tutti i giorni.
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