Togliamo il presepe dalle mani di certi cristiani
Share
Gli intolleranti pseudolaici e pseudocristiani in cerca di complicità ideologiche si ritengono portatori di assolute verità, che vorrebbero legittimate a sottrarsi ad ogni confronto, non capendo che il vero integralismo è proprio il loro. Un integralismo che ostacola la comprensione e la reciproca accettazione di tradizioni che hanno più punti in comune di quanto essi possano serenamente comprendere ed accettare
****
Ottocento anni fa, mentre cristiani e musulmani nel corso della quinta crociata si combattevano per la conquista della città portuale di Damietta (dalla cui città i crociati pensavano di poter proseguire per la successiva conquista della città santa), Francesco d’Assisi volle recarsi in Medio Oriente per incontrare il Sultano d’Egitto e di Gerusalemme, Malek al – Kamil, sperando di convertirlo alla fede cristiana, cosa che non gli riuscì, anche se il loro incontro fu permeato di tolleranza e di reciproco rispetto.
Qualche anno dopo il suo rientro in Italia, Francesco volle organizzare in una grotta di Greccio, nel reatino, la rappresentazione della nascita del Redentore con uomini, donne e bambinello veri. Una sorta di presepe vivente ante litteram, la cui semplicità secondo le intenzioni del santo doveva far capire ai fedeli, in modo altrettanto semplice, il complesso mistero del Dio diventato uomo per amore, per la loro redenzione.
Otto secoli dopo l’incontro tra Francesco e il Sultano, incontro che come abbiamo visto fu improntato alla tolleranza nonostante la guerra in atto, da un po’ di tempo a questa parte, all’approssimarsi di ogni Natale, se ne viene fuori qualche insegnante o qualche sacerdote a sconsigliare la preparazione del presepe. Ciò perché, secondo loro, la stalla di Betlemme con i pastori e un innocuo bambino offenderebbero la religione islamica, dimostrando di non conoscere la storia delle religioni e, tutto sommato, di non conoscere bene neanche le tradizioni cristiane: come potrebbe una rappresentazione incentrata su personaggi assolutamente pacifici come Gesù, gli angeli e i pastori, offendere una religione, quella islamica, che riconosce l’esistenza di Gesù e della Madonna? Lo sanno costoro che i fedeli islamici considerano il bimbo della mangiatoia l’ultimo dei profeti e che quando pronunciano il suo nome lo fanno con grande rispetto, facendolo seguire – cosa che non facciamo noi che ci professiamo cristiani – da un Amin, che è l’equivalente del nostro Amen? I grandi sacerdoti del mainstream si sono accorti che il presepe, nella sua popolana semplicità, non potrebbe offendere nessuno, neppur volendolo, dal momento che è una storia figurata priva di qualsiasi simbolo religioso, come ad esempio quella croce della quale oggi certi cristiani sembrano vergognarsi.
Purtroppo, gli intolleranti del politicamente corretto (loro e non gli islamici stavolta!) si ritengono portatori di assolute verità che, in quanto tali, sono legittimate a sottrarsi ad ogni confronto storico, non capendo che è proprio il loro integralismo inverso ad ostacolare la reciproca accettazione di tradizioni che hanno più punti in comune di quanto essi possano serenamente comprendere ed accettare.
Meno male che papa Bergoglio, dopo anni di silenzio sull’argomento, da Greccio, dove si era recato in visita pastorale qualche giorno fa, ha esortato i cristiani a costruire il presepe nelle case, nelle scuole e nelle piazze, al fine di far comprendere – com’era stato probabilmente l’intento di Francesco otto secoli fa – che «Il creatore dell’universo si abbassa alla nostra pochezza».
Abbassare, pochezza … magari avremmo adoperato parole e concetti diversi per spiegare lo spirito del presepe perché, a nostro modo di vedere, il Creatore/Uomo che nasce nella mangiatoia non si “abbassa” a noi ma, anzi, compie l’ennesimo miracolo della sua già miracolosa opera creativa, portando noi ad innalzarci verso di Lui, e lo fa come soltanto il poverello di Assisi poteva immaginare: con atavica commozione e popolana semplicità.