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Sono i genitori distratti a fare i figli violenti

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L’assenza di un’autorità positiva come potrebbe essere quella dei genitori non produce più libertà, ma soltanto ragazzi più deboli, incapaci di fare qualsiasi scelta di buonsenso, di responsabilità e, di riflesso, inidonei ad abbozzare qualsiasi resistenza al dominio del branco e, più tardi, alla violenza scientifica del sistema

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Non ho la presunzione di saper imbastire un’analisi sociologica, né voglio fare come Totò che si riteneva un uomo di vasta esperienza soltanto perché era amico di un tizio che aveva fatto il soldato a Cuneo. Tuttavia, avendo lavorato con ragazzi meno che ventenni per quasi mezzo secolo, posso ragionevolmente sostenere di avere una discreta conoscenza dei loro comportamenti e dei meccanismi che li innescano. Eppure, ancora oggi mi sento disarmato al cospetto del ricordo di quando un giovane militare di leva venne nel mio ufficio, dal suo comandante di reparto (quindi da un estraneo), per liberarsi di quella che per lui era diventata una tragedia interiore. «Mia madre è un’adultera!». Esordì proprio così, usando quell’arcaica espressione benché fossimo nel 1999. Per farla breve, era accaduto che, avendo sorpreso la madre con un uomo che non era suo padre, il ragazzo si sentiva lacerato dal disgusto, dal desiderio di “punire” la genitrice per aver tradito entrambi, lui e il padre, dal timore di mandare gambe all’aria l’unità della famiglia un tempo felice: un macigno davvero insostenibile per quell’età.

Più di un quarto di secolo è passato da allora, la leva militare non esiste più e il nostro Paese è diventato politicamente più stabile ed economicamente più omogeneo da Nord a Sud, ma con una socialità fortemente compromessa e una fauna giovanile affetta dal mal sottile del disadattamento. Disadattamento in un Paese più evoluto rispetto a ventisei anni fa? Sì, d’altronde società evoluta e alienante sono facce di una stessa medaglia, che convivono fino a quando non esplodono in modo disastroso. E, paradossalmente, mi riferisco a un esplosivo prodotto negli asili-nido dove scarichiamo i nostri piccoli dalle sette del mattino per andare a lavorare, nelle scuole primarie a tempo pieno, negli oratori che si prendono cura dei ragazzi oltre la scuola, così come nei campus estivi prima delle vacanze. Si direbbe un modello di società fatta apposta per i ragazzi, se non fosse per una domanda sospesa: dove vanno a collocarsi i genitori in questa sorta di multinazionale dell’apprendimento educativo?

Confesso di non avere sottomano una risposta che sia ineccepibile dal punto di vista psicosociologico, ma soltanto un plastico esempio di ciò che, secondo me, non dovrebbero fare i genitori. Qualche anno fa, passeggiando per la città dove abito, incrociai una mamma che portava a spasso con la carrozzina il suo bambino dall’apparente età di una quindicina di mesi. Ebbene, essa mi colpì perché sospingeva la carrozzina e contemporaneamente fumava la sua brava sigaretta, smanettava con lo Smartphone e si tirava appresso un guinzaglio alla cui estremità stava un depresso e recalcitrante barboncino… l’altro esserino depresso, invece, lo portava nella carrozzina.

Sia chiaro che molti padri non fanno cose poi così diverse e che non è mia intenzione buttare l’ennesima croce addosso alle donne, che ne hanno già tante da portare. Volevo soltanto far capire con gli esempi che avevo sottomano che il narcisismo distruttivo dei giovani, così come la loro alienazione, nasce in famiglie nelle quali le figure genitoriali sono, a voler essere buoni, evanescenti. E questo lo rilevava già nel 1984 Elena Pulcini, docente di filosofia sociale presso l’Università degli Studi di Firenze, nel saggio La famiglia al crepuscolo: «L’assenza dell’autorità genitoriale – spesso mascherata da un attaccamento ipertrofico, soprattutto materno – sembra essere, insieme a un complesso intreccio di fattori che non possiamo analizzare qui, la causa di un ripiegamento narcisistico su di sé da parte di individui che hanno perso il senso stesso dei valori etici…».

Ed ecco che a colmare il vuoto lasciato dalla latitanza dell’attenzione per i figli e dell’autorevolezza genitoriale si fa avanti il branco col falso senso di accoglienza e d’impunità per i suoi membri, con le sue regole e i suoi (dis)valori, tutti fondati sulla violazione sistematica delle regole societarie, sulla coercizione e sulla gratuita violenza. Gli adolescenti, ormai, non hanno più la propensione per lo studio o il culto del gioco del calcio (anche perché le partite in televisione oggi sono a pagamento in streaming), non mettono più furtivamente una goccia del dopobarba di papà sulle guance imberbi prima di uscire di casa, anzi prima di raggiungere “la comitiva” spesso si muniscono di un coltello a serramanico e se non lo hanno vanno nel cassetto della cucina a prelevarne uno perché non si sa mai…

Per fare il piacione come va di moda oggi tra i pennaruli di successo, potrei concludere con parole mielose e false aspettative di speranza, invece dirò chiaramente che non vedo soluzione al problema della violenza tra gli adolescenti e, più in generale, nella nostra società se prima non ripristineremo un concetto che non è incompatibile con la democrazia ma che, anzi, la preserva: il concetto della punizione, della pena certa per chi infrange le regole societarie. D’altronde, l’assenza di un’autorità positiva come potrebbe essere quella dei genitori non produce più libertà, ma soltanto più ragazzi deboli, incapaci di fare qualsiasi scelta di buonsenso, di responsabilità e, di riflesso, inidonei ad abbozzare qualsiasi forma di resistenza al canto delle Sirene del branco e, più avanti, alla violenza scientifica del sistema. E parliamo di un sistema così strumentalmente violento che è capace perfino di rinunciare alla sua laicità e imporci cinque giorni di lutto nazionale per la morte del Papa, un lutto che, tra l’altro, finirà dopo i funerali del pontefice il 26 aprile il che – ma è certamente un caso – vuol dire il giorno dopo le celebrazioni della Resistenza…

(Copertina di Donato Tesauro)

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