Salvini e la corda sfilacciata della democrazia italiana
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L’alterazione del circuito democratico e la scarsa incidenza della volontà popolare sulle faccende di governo sta ingenerando negli italiani, nei giovani in particolare, la sensazione di non contare assolutamente niente, e questo è molto pericoloso perché, come il Sessantotto insegna, laddove i giovani si sentono emarginati, ingabbiati, senza voce e senza futuro, là nascono le Brigate Rosse e Nere
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Qualche giorno fa, intervistato a proposito dei risultati elettorali, Matteo Salvini ha fatto una costatazione che dal punto di vista numerico non fa una piega ma evidenzia anche un limite suo e di tutto il centrodestra: «È l’unica volta in cui il governo che perde esce rafforzato: i 5 stelle spariscono, il PD ha vinto perché ha perso due regioni. Come Lega passiamo da 46 a 75 consiglieri regionali. Rispetto alle regionali i nostri voti sono quasi raddoppiati». Tutto vero, ma a maggior ragione il segretario leghista dovrebbe tentare di capire, assieme agli altri soci della coalizione, perché il centrodestra è maggioranza nel Paese ma è la sinistra che governa.
Potremmo dire che la sinistra, peraltro anche mezzo disastrata, va al potere ogni volta che perde le elezioni – il che è un assurdo in democrazia – perché ha degli avversari affetti da grandi sensi di colpa storici o con la propensione all’accordo sottobanco come il famigerato Patto del Nazareno Renzi – Berlusconi. Il centrodestra nelle sue tre componenti si sente, infatti, ancora o nipote del fascismo; o come la Lega che non riesce a far dimenticare il suo anti-meridionalismo del recente passato; o come Berlusconi che nel ruolo di premier era innanzitutto il leader di se stesso e delle proprie aziende, pronto a trovare un accomodamento con tutti pur di tenerle al sicuro.
Potremmo dire, ancora, che la Sinistra può governare senza un mandato elettorale perché, nonostante il dettato di monna Costituzione, i poteri dello Stato non sono né separati, né super partes, laddove fatti recenti di cronaca giudiziaria stanno a dimostrare che il governo, la magistratura e la presidenza della repubblica si muovono spesso con inquietante sincronia. A riguardo basti ricordare che due presidenti della repubblica, Scalfaro e Napolitano, stravolgendo il responso delle urne con l’aiutino, appunto, della magistratura e dell’UE, fecero fuori, per ben due volte in diciassette anni, un capo di governo democraticamente eletto: stiamo parlando sempre di Berlusconi. Sicché, anche sorvolando sul fatto che la magistratura abbia inquisito dei ministri in carica con un vero e proprio golpe, perché le ipotesi di reato erano dichiaratamente speciose – ad personam nel caso di Salvini – come ammesso dagli stessi magistrati in conversazioni private, possiamo affermare che nel nostro Paese i tre poteri dello Stato democratico, ovvero quello legislativo, esecutivo e giudiziario, sono diventati dei contro-poteri e, perciò, lavorano contro la democrazia in senso generale. Non parliamo, poi, delle garanzie costituzionali individuali laddove i magistrati inviano la Guardia di Finanza a sequestrare i telefonini di cariche istituzionali neppure indagate, come nel caso del governatore della Lombardia Attilio Fontana: questi arbitrii sono tipici delle dittature.
Inoltre questa alterazione del circuito democratico e della scarsa incidenza della volontà popolare sulle faccende di governo sta ingenerando negli italiani, nei giovani in particolare, la sensazione di non contare una mazza, e questo è molto pericoloso perché, laddove i giovani si sentono emarginati dalla politica, ingabbiati, senza voce e senza futuro, là nascono le Brigate Rosse e Nere. Non è un caso che dallo scorso mese di marzo hanno preso a circolare plichi esplosivi di diversa natura e destinazione, e negli ultimi mesi gli ignoti bombaroli, dei quali, comunque, non è difficile indovinare la matrice ideale, hanno preso di mira il vecchio nemico di classe: il paròn. I nuovi terroristi, infatti, hanno destinato una busta con dentro dei proiettili al presidente della Confindustria di Lombardia e un pacco bomba, per fortuna inesploso, al presidente della Confindustria di Brescia. Da oggi, dunque, nessuno può sentirsi al sicuro perché i terroristi sono soliti alzare progressivamente il tiro, come fecero le Brigate Rosse che iniziarono a prendersela prima con i giudici, poi passarono ai politici e infine ai sindacalisti delle fabbriche. Non vorremmo fare gli uccelli del malaugurio ma una situazione del genere, unita all’irrisolto problema dell’immigrazione selvaggia e alla lievitante disoccupazione, può avere soltanto uno sbocco: il disastro sociale e politico, oltre che economico se si considera che in pochi mesi il nostro debito pubblico è cresciuto di altri 90 miliardi.
Purtroppo, coloro i quali incarnano le istituzioni, in primis l’inquilino del Quirinale per il quale la nostra già poca stima è giunta nell’anticamera del disprezzo, non pare si rendano conto che la posta in gioco di questi anni non è la sopravvivenza dei governi cari all’Europa ma del Paese, mentre esse traccheggiano unicamente per arrivare a fine legislatura,o fine mandato, costi quel che costi. Infatti, il governo e la maggioranza che lo sostiene, per non sottoporsi al vaglio delle urne e togliere le molli e riverite chiappe dagli scranni del potere, prima si trincerano dietro la necessità di dover far da argine al fascismo (Loro???), poi dietro l’emergenza Covid-19 e infine dietro la gestione dei soldi del Recovery Fund, omettendo un piccolo particolare: questi soldi, se tutto andrà bene, saranno disponibili a partire dal mese di giugno del 2021, e da qui ad allora si potrebbero organizzare non una ma dieci elezioni. Ma, a proposito del Recovery Fund, un briciolo di verità c’è, nel senso che bisognerà spartirsi i soldi che dovrebbe mandarci l’Unione Europea assieme ad ogni carica pubblica fino a quella di usciere ministeriale. In più l’attuale maggioranza parlamentare, ma non nel Paese, vuole riuscire ad eleggere un presidente della repubblica filo-europeo e, se capita, anche filo-italiano.
Nel frattempo, il presidente che c’è dovrebbe iniziare a porsi qualche domanda anche lui: in una democrazia liberale e dopo la conferma elettorale del taglio dei parlamentari unito al modesto risultato ottenuto dai partiti della maggioranza, il governo è ancora legittimato ad esercitare i suoi pieni poteri fino al 2022? V’è ancora un minimo di «concordanza tra corpo elettorale e corpo parlamentare»? Non bisogna per forza essere accademico e costituzionalista del calibro di Costantino Mortati per capire che il Parlamento è, ormai, in disarmonia col resto del Paese e pertanto va sciolto: per capirlo basterebbe soffermarsi sul fatto che uno dei partiti che sorreggono il governo ha perso, in poco più di un anno, otto milioni di voti! Come dire quasi un quinto dell’elettorato italiano. Che poi l’operato di questo governo e dei suoi sponsor nella folle corsa verso il disfacimento civile del Paese possa essere illuminato (Dio non voglia), dai lampi di un nuovo terrorismo della disperazione pare incida poco sulla loro determinazione a non voler restituire la parola agli italiani nelle urne.
Se tutto questo sta avvenendo è anche perché non esiste un’opposizione di centrodestra “progettualista”, che sia anche incalzante, tenace ed aggressiva nei confronti del peggior governo di sinistra dell’Italia repubblicana. All’Italia così com’è messa non serve un cartello elettorale da mettersi insieme di volta in volta, ma una svolta moderata fondata per un’idea di futuro, per un progetto che non sia soltanto quello di vincere un’elezione regionale o comunale. Insomma per dirla alla Paolo Mieli occorre una rivoluzione culturale del centrodestra, un progetto per l’Italia: qualcuno tra Salvini, Meloni e Berlusconi ci ha spiegato qual è il loro progetto, la loro rivoluzione culturale per cambiare il modo di governare l’Italia? Ma poi questa volontà esiste veramente?
Pur essendo di estrazione liberal conservatrice, e quindi idealmente distanti dalla Sinistra, siamo stanchi di farci trattare come dei fessacchiotti con la catenella al naso dalla leader di FdI che, a momenti, posta sui social anche quando va al bagno, ma mai uno straccio di programma che non siano ammiccamenti mediatici fine a se stessi. Come pure il proconsole di Berlusconi, Taiani, che sembra capitato per caso nel centrodestra, e Salvini nelle cui mani, secondo noi, sono le sorti di questo Paese.
Oggi l’esclusione ufficiale del centrodestra a traino Lega dai salotti buoni della politica nazionale e internazionale è dovuta soprattutto all’ingombrante presenza di Salvini che, in verità, si è dimostrato un grande procacciatore di voti ma un pessimo sponsor di se stesso perché senza un programma per l’Italia (dalle Alpi a Pantelleria…) e con i suoi modi da bullo di periferia ha impaurito mezzo mondo che conta il quale, infatti, continua a tenerlo fuori la porta. Così facendo la sua presenza sulla scena politica non è soltanto ingombrante ma, a ben vedere, addirittura salvifica per la sinistra. Prendiamo ad esempio le ultime elezioni regionali. Ebbene, grazie alle solite smargiassate e alle sue trionfalistiche certezze (vinceremo 7 a 0!), Salvini ha fatto sì che la sconfitta numerica della sinistra passasse per una vittoria politica, a fronte del fatto che la partita alla fine è finita 3 a 3, con una altra regione della sinistra che è passata al centrodestra. Peraltro, il “Capitano” si è dimostrato un capitone anche dove, pur avendo ufficialmente appoggiato il SI al referendum sul taglio dei parlamentari assieme a FdI, ha lasciato che fosse il solo Di Maio ad intestarsi la vittoria.
Nonostante le nostre critiche, non disconosciamo a Salvini il grande merito di aver preso in mano un movimento fluido, secessionista, potenzialmente eversivo, ed averlo racchiuso in un contenitore istituzionale facendone un grande partito nazionale che, grazie a lui, è passato dal 3% al 27%. Ma tutto questo non basta se si sceglie per sé il ruolo di capopopolo vecchia maniera, alla Bossi per intenderci, e non di leader rassicurante, sebbene determinato su di alcuni punti. E invece, per costruire un progetto di centrodestra per l’Italia in una coalizione stabile, la Lega necessita di una leadership politicamente corretta ed unificante, diversamente per i “sudisti” resterà sempre il partito del Nord riciclato, per l’UE un pericoloso sovranista (che cacchio significhi questo aggettivo poi solo Dio lo sa) e un alibi per la Sinistra.
D’altronde il coraggioso processo di nazionalizzazione della Lega iniziato da Salvini non può rimanere in mezzo al guado, rischiando l’irrilevanza politica nonostante sia il primo partito italiano. Bisognerebbe far largo a dei leader leghisti più spendibili, più rassicuranti dell’attuale segretario. Abbiamo sentito parlare, in questi giorni, di una nuova segreteria della Lega e ci permettiamo di dare qualche suggerimento. No, non stiamo pensando affatto a Luca Zaia come futuro leader nazionale della Lega, anzi, il governatore del Veneto al posto di Salvini sarebbe ancora più deleterio per la nazionalizzazione della Lega, perché egli si sente innanzitutto un veneto. Stiamo pensando, invece, a Giancarlo Giorgetti magari affiancato, in qualche maniera, da due vice segretari come Alberto Bagnai, toscano, e Giulia Bongiorno siciliana, in modo da poter rappresentare le tre parti dell’Italia. L’avvocatessa della buonanima di Giulio Andreotti, infatti, sarebbe spendibile anche per un’altra operazione… chi impedisce alla Lega di fare la figata del secolo come quella di avere una donna alla presidenza e per di più una siciliana? Troppo ardita la proposta per un partito che fino ad ieri non voleva avere a che fare con i terroni? Può darsi, ma sono gli ardimentosi intelligenti che vincono le battaglie politiche e arrivano, legittimamente, al governo dei popoli.
Ecco perché, facendosi da parte, od assegnandosi un diverso ruolo nel partito Salvini potrebbe ascriversi – dopo qualche caz…. di troppo – il merito di aver pensato prima all’Italia e poi a se stesso, mentre qualcuno sta meditando di farlo sparire dalla circolazione, di fargli fare la fine di Berlusconi.
Sul segretario della Lega possiamo pensarla in mille modi diversi ma un fatto è certo: se dopo i retroscena svelati da Palamara la magistratura dovesse condannare Salvini per sequestro di persona per aver fermato degli immigrati clandestini in veste di ministro degli interni (decisione peraltro collegiale, cioè di tutto il governo), siate tutti certi che siamo in dittatura.
Qualcuno lo faccia sapere anche al pio custode della Costituzione nonché capo del Consiglio Superiore della Magistratura.
Dio benedica l’Italia.