Secondo il Colonnello Arnò il sindacalismo non si addice ai militari
Share
Il futuro dell’organizzazione militare in Italia è sempre stato incerto e pieno di insidie, e questo sempre per colpa della scarsa o scarsissima conoscenza di quanto viene fatto dai militari e di quali potenzialità abbia lo strumento militare. Se a questo si aggiunge una cronica, scarsa consapevolezza politica dei nostri interessi nazionali, va da sé che la Difesa sia considerata un po’ la Cenerentola tra i dicasteri. Eppure le idee innovative ci sono, abbiamo dei vertici ben preparati, ricchi di esperienza e con ottime capacità organizzative e quindi in grado di vincere la sfida del futuro
– Enzo Ciaraffa –
Caro Colonnello, non ci incontriamo da quando comandavi il Centro Documentale di Milano, e adesso che ti ho ritrovato vengo a tediarti con un po’ di rompicapi mentre magari sei preso dal tuo lavoro… a proposito di che cosa ti occupi da quando sei in pensione.
Quando ho lasciato il servizio attivo sono stato nominato Vice Presidente dell’UNUCI – Unione Nazionale Ufficiali in Congedo d’Italia per la Sezione di Milano. In tale veste sono frequentemente impegnato in molte attività a favore degli Ufficiali della Riserva, così come nella partecipazione a conferenze professionali, dove cerco di portare nella società civile la conoscenza dei molteplici impegni che vedono le nostre Forze Armate impiegate in Patria e all’estero in operazioni per il ripristino della pace e per garantire la sicurezza interna. Collaboro inoltre con un’associazione di volontariato dedita ad aiutare le persone senza una fissa dimora fornendo loro alcuni mezzi di sostentamento come cibo e indumenti.
Quante cose che fai! Ma veniamo ai rompicapi. Il Decreto Legislativo 66/2010 – Codice dell’Ordinamento Militare all’articolo 1475, riprendendo l’articolo 8 della Legge 382/1978 – Regolamento di Disciplina Militare, afferma che “… i militari non possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale o aderire ad altre associazioni sindacali”.
Successivamente è intervenuta la Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittima tale norma e l’ha così riformulata: “… i militari possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale alle condizioni e con i limiti fissati dalla legge; non possono aderire ad altre associazioni sindacali”. Ebbene, anche questa volta come, purtroppo spesso accade nella nostra produzione legislativa, si afferma un principio e anche il suo contrario. Vedi se puoi illuminarci in proposito.
In sostanza si afferma – o forse per meglio dire, si ribadisce – un principio costituzionale generale – quello della libera associazione tra cittadini – che possa rappresentare i bisogni e le esigenze di una categoria, i militari, come per qualsiasi altra specie di lavoratori, ma con determinate limitazioni dovute al ruolo e al campo di intervento in cui tali cittadini esercitano delicatissime attività come la sicurezza della Nazione e la difesa delle istituzioni democratiche.
A me pare che sullo scottante tema il Consiglio di Stato e la Corte Costituzionale dicano cose piuttosto diverse.
Penso di poter asserire che i due alti organismi di giustizia non siano discordi tanto sul diritto in sé, quanto sugli organi e meccanismi con i quali tale diritto dovrebbe trovare attuazione. La Rappresentanza Militare, nata nell’epoca delle Forze Armate di leva, è tutt’oggi preposta a garantire la democraticità dell’organizzazione militare e la tutela del benessere dei suoi componenti. Essa, tuttavia, sembra essere oggi inadeguata e priva di strumenti volti a garantire i diritti dei militari, sicché mentre da un lato la si vorrebbe sostituire con organizzazioni di carattere sindacale, dall’altro si reputa sufficiente modificare e rivedere i meccanismi interni di rappresentanza, per adeguarli allo strumento militare di oggidì che è strutturato su personale militare volontario a lunga ferma.
Non è che nell’era del governo più a sinistra della storia d’Italia – una parte da sempre nemica delle Forze Armate – la politica stia tentando di sindacalizzare i militari per poterli “utilizzare” a proprio piacimento?
Non escludo che tale eventualità possa essere stata “accarezzata” da qualche esponente della classe politica, del passato e del presente. Tuttavia imputo i tentativi di sindacalizzazione dello strumento militare più derivanti da scarsa, o nulla, conoscenza del mondo con le stellette, delle motivazioni interiori che spingono un cittadino a rinunciare volontariamente e scientemente a determinati diritti per essere al servizio di ideali più elevati.
Quali, ad esempio.
Ne cito soltanto alcuni, i più diretti: la difesa della Patria e dei suoi cittadini, la tutela delle istituzioni democratiche e la salvaguardia della pubblica incolumità. Vedi, in Italia del mondo militare si ha una conoscenza superficiale e piena di luoghi comuni, magari legati a folclorici ricordi del breve periodo di leva. Le nuove generazioni inoltre, dai nati nel 1985 in poi, non hanno più avuto neanche quella fugace esperienza per poter comprendere ed apprezzare lo spirito e i valori che permeano il mondo in uniforme. Ecco quindi che viene fuori la tentazione del mondo politico di equiparare il dispositivo militare a quello di una qualsiasi altra organizzazione sindacale, senza rendersi conto che la divisa militare non è un indumento, ma l’accettazione di uno stile di vita.
Colonnello, pare di capire che tu non sia tanto d’accordo con il consolidato Organismo della Rappresentane Militare e per niente con un’eventuale sindacalizzazione. Ma poi, a bene vedere, in che in cosa sarebbero differenti i due organismi di rappresentanza?
Da Ufficiale con quasi quaranta anni di servizio, di cui buona parte passati al comando di uomini e donne, sono convinto che i migliori difensori dei diritti e delle legittime rivendicazioni del personale militare debbano essere i Comandanti, perché sono essi che hanno il polso delle problematiche dei loro dipendenti. La Rappresentanza Militare, pur con alcune lacune ed imperfezioni può e deve – in uno spirito di leale collaborazione e di reciproco rispetto – aiutare i Comandanti a focalizzare l’attenzione su quegli aspetti che, a causa dei forsennati ritmi operativi ai quali ogni reparto è sottoposto, possono essere stati sottovalutati. Ben altra cosa ritengo possano essere delle organizzazioni sindacali “tout-court” che vorrebbero magari procedere con concertazioni, o con tavoli di trattativa, o ricorrere a forme di costrizione quali lo sciopero per imporre alla catena di comando delle decisioni, inficiando in maniera irreparabile la coesione e neutralità dello strumento militare e la sua missione.
Anche questo pateracchio della sindacalizzazione della Forze Armate è stato “ispirato” dall’Europa?
Non credo. Non sono esperto di organizzazioni militari estere, ma ritengo che in nessuna nazione al mondo ci siano Forze Armate sindacalizzate, né nelle mie missioni all’estero, dalla Bosnia all’Afghanistan, ho mai sentito i colleghi degli eserciti alleati far menzione di organizzazioni o problemi sindacali nelle loro Forze Armate. Peraltro, negli altri Paesi i militari sono considerati una risorsa primaria, e la loro riconosciuta “atipicità” è tutelata con apposite norme di legge che garantiscono, anche ai loro familiari, tutta una serie di agevolazioni, sia da un punto di vista remunerativo che in termini di “welfare” per compensare, in qualche misura, i disagi che la condizione militare impone a militari e loro famiglie.
Siccome noi italiani ci innamoriamo delle definizioni e mai della loro trasposizione pratica, mi viene da domandarti se è possibile, per ragioni di equidistanza dalla politica e di sicurezza nazionale, “comprimere” alcuni diritti per gli appartenenti alla Forze Armate in modo da mantenere separati, nel caso, l’Ordinamento Militare da quello della Pubblica Amministrazione in generale.
Indubbiamente esiste – e così deve essere – una netta separazione tra l’ordinamento della Pubblica Amministrazione e quello militare, posto che i due organismi hanno natura, struttura e scopi totalmente diversi, benché entrambi abbiano come perseguito, comune obbiettivo l’efficienza e l’efficacia dell’amministrazione dello Stato. Certo, affinché l’organizzazione militare possa dare delle risposte tempestive ed efficaci in situazioni di crisi e di pericolo, è necessario – oltreché opportuno a mio avviso – che gli appartenenti alle Forze Armate accettino la “compressione” di alcuni diritti che sono riconosciuti ad altre categorie di cittadini. E d’altronde chi decide d’intraprendere la carriera militare questo lo sa bene e lo accetta con cosciente consapevolezza, anzi direi che ne va fiero.
Secondo te quale futuro attende l’organizzazione militare, considerato anche che, fin dai tempi della cosiddetta prima repubblica, il Ministero della Difesa, insieme a quello della Sanità ha fatto da bancomat di governi che hanno saputo soltanto portare il debito pubblico da alcune centinaia di miliardi di lire agli attuali 2575 miliardi di euro. Servivano soldi? Si levavano puntualmente alla Difesa e alla Sanità con degli effetti che in questi giorni si stanno rivelando drammatici per la pubblica salute.
Il futuro dell’organizzazione militare in Italia è sempre stato incerto e pieno di insidie, e questo sempre per colpa di quella scarsa o scarsissima conoscenza di quanto viene fatto dai militari e quali potenzialità abbia lo strumento militare per il Paese. Se a questo si aggiunge una cronica scarsa consapevolezza (politica) di quali siano i nostri interessi nazionali, va da sé che la Difesa sia sempre stata considerata un po’ la Cenerentola tra i dicasteri. Eppure le idee innovative ci sono, abbiamo dei vertici ben preparati, ricchi di esperienza e con ottime capacità organizzative e quindi in grado di vincere la sfida al futuro.
Tu dici?
Guarda che cosa è accaduto durante questa pandemia che ci affligge ormai da un anno: le Forze Armate, pur nelle ben note ristrettezze finanziarie, con i loro mezzi, la loro organizzazione e il loro spirito di sacrificio hanno ben dimostrato di essere un’organizzazione in grado di fronteggiare in maniera rapida ed efficace qualsiasi emergenza.
Per quanto l’attuale ministro della difesa Lorenzo Guerini pare una persona ragionevole nonostante i suoi compagni di viaggio, per il governo la Difesa è destinata a diventare una sorta di milizia territoriale buona soltanto per gli incendi e per le alluvioni? E la sicurezza nazionale? E la deterrenza minima?
No. Le Forze Armate sono e saranno lo strumento primario per la difesa della Patria. Lo sono e continueranno ad esserlo grazie alla nobile vocazione di donne e uomini che servono con impegno, professionalità ed abnegazione nonostante le difficoltà di bilancio e della considerazione dei politici di turno. Questo “fuoco sacro” lo si può cogliere negli occhi di tutti coloro che indossano l’uniforme e in quei giovani che, ogni giorno, affollano i nostri centri di selezione. Spero, di vero cuore, che anche la classe politica possa migliorare la propria percezione delle capacità e potenzialità dello strumento militare, in modo da poter decidere d’impiegarlo in compiti più specialistici e più consoni alle proprie competenze.
Colonnello, voglio chiudere questa intervista con una bella provocazione. Risibile budget per la Difesa, riduzione dei Quadri – si pensi che oggi abbiamo più comandanti che comandati – difficoltà a rinnovare mezzi, materiali e sistemi d’arma per mancanza di soldi, assenza di politica estera (in mano a Di Maio poi) e zero politica militare … oltre a quello di cittadinanza introdurremo anche il reddito di smilitarizzazione?
Spero proprio di no! Già il primo mi pare che non abbia sortito gli effetti sperati. Quindi perché replicare?