Se Salvini non è il “capitano”, di certo Conte non è Napoleone
Share
In questi giorni gli italiani ne stanno vedendo di tutti i colori al mercato delle poltrone governative, ma qualcuno tra i tanti servizievoli giornalisti sulla piazza potrebbe obiettare che ad ogni cambio di governo si è sempre fatto così ed avrebbe ragione, però poi non venga a raccontare che per il nostro Paese sta per iniziare l’età dell’oro, o a presentarci il modesto avvocato di Volturara Appula come Napoleone Bonaparte alla battaglia delle piramidi
– Enzo Ciaraffa –
Appena hanno saputo che Paolo Gentiloni era stato candidato dal governo per la Commissione UE, molti media hanno sparato titoli salivari, del tipo «Primo colpo di Conte in Europa», tentando di spacciare un’immagine da eccelso stratega del prescelto premier.
Non siamo per niente d’accordo con questa agiografica narrazione del premier, né sulla sua miope decisione di mandare Gentiloni a rappresentare l’Italia a Bruxelles, ciò per almeno due ragioni.
La prima ragione è di ordine morale. Ci vuole, infatti, una grande protervia per mandare a rappresentarci in Europa il membro di un partito che ha perso proprio le elezioni europee, stravolgendo così la più elementare regola di ogni democrazia: la rappresentatività. E non ci si rifugi anche stavolta nella grande mistificazione/giustificazione «Lo prevede la Costituzione» perché quando abbiamo incominciato ad adorare questo inamovibile totem dal quale dovrebbe discendere ogni legge elettorale, l’Unione Europea non esisteva! Sicché, almeno moralmente, nessuna divinità o legge impediva al premier, messo al posto che occupa in virtù dell’articolo 94 della Costituzione, di tenere in debito conto il parere espresso dagli italiani nelle elezioni europee dello scorso mese di maggio, in ossequio (una volta tanto a nostro favore) all’articolo 1 della medesima Costituzione: «… la sovranità appartiene al popolo».
La seconda ragione è di natura squisitamente politica: qual è, in questo momento, il principale obiettivo di quella che qualcuno ha battezzato “cupola”, ovvero Mattarella, i Cinque Stelle, il PD, l’Unione Europea e l’establishment? Neutralizzare coloro che vogliono a tutti i costi infrangerla, e cioè i cosiddetti sovranisti, iniziando magari a far fuori politicamente il più truculento tra essi, ovvero Matteo Salvini.
Ebbene, come si poteva raggiungere questo obiettivo e, allo stesso tempo, migliorare nell’opinione pubblica l’immagine del governo più antidemocratico della nostra storia?
Con una sola mossa.
Quale?
Mettere un leghista al posto di Gentiloni.
Perché Conte avrebbe dovuto fare una mossa del genere?
Perché una tale, inusuale mossa, avrebbe stretto Salvini nell’angusto angolo di due sole risposte: SI oppure NO.
Dicendo sì il leader leghista avrebbe dato l’imprimatur ad un governo sulla cui legittimità e rappresentatività lui ha appalesato seri dubbi, perdendo così altro consenso e credibilità nel Paese e in Europa.
Dicendo no, invece, avrebbe offerto a Conte la scusa per poter dire «Avete visto, eravamo pieni di buone intenzioni democratiche, in ogni caso volevamo rispettare la volontà espressa dalla maggioranza degli elettori alle europee, ma Salvini ce lo ha impedito».
Ma il PD e i Cinque Stelle hanno preferito dar l’assalto alle poltrone piuttosto che sacrificarne una in nome di una strategia di medio e lungo termine, capace di mettere gradualmente fuori partita gli avversari.
Qualcuno tra i tanti servizievoli giornalisti sulla piazza potrebbe obiettare che in Italia si è sempre fatto così ad ogni cambio di governo ed avrebbe ragione, però poi non venga a raccontarci che sta per iniziare il governo etico, quello dell’età dell’oro, e a presentarci il modesto avvocato di Volturara Appula come Napoleone Bonaparte alla battaglia delle piramidi.