Se l’Occidente vuole sopravvivere deve tirare fuori gli attributi
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Per nostra fortuna i terroristi di Hamas e gli islamisti non hanno in mano armi decisive per poterci annientare. Hamas ha esortato i popoli arabi a mobilitarsi per una marcia di solidarietà sulla Palestina in chiave anti-israeliana il che, a livello popolare, susciterà di certo emozioni e tensioni nelle piazze, ma non a livello dei rispettivi governi perché la fantomatica nazione araba non esiste, l’Islam non è mai diventata una realtà politica monolitica, anzi spesso a prevalere nel suo interno non sono neppure gli interessi nazionali ma quelli tribali
– Enzo Ciaraffa –
Ogni mattina ci alziamo dal letto per iniziare la nostra giornata di lavoratori, o di figli, o di genitori, o di nonni, ritenendoci fortunati per aver visto l’alba di un nuovo giorno che, come sempre, speriamo sia sereno e che, magari, arriverà pure una vincita al “Gratta e vinci” che ci cambierà la vita. E pensare che, più o meno alla stessa ora a parità di fuso orario, si sveglia qualcuno a Mosca con la lucida intenzione di massacrare quanti più civili ucraini è possibile con i suoi missili, come il folle obeso a Pyongyang che sta calcolando quante persone del suo disgraziato popolo riuscirà a far morire di fame pur di costruire un altro vettore nucleare con il quale minacciare i Paesi vicini. D’altronde, quando ci mettiamo a tavola per la colazione del mattino, noi figli dell’Illuminismo non possiamo immaginare che, in quelle stesse ore, a Teheran si stia fracassando la testa a una ragazzina sedicenne, Armita, soltanto perché era salita nella metro senza coprirsi il capo col velo.
Figuriamoci se all’alba di un pacioso sabato, quello dello scorso 7 ottobre, che si annunciava splendido per delle gite fuori porta, potevamo immaginare che un branco di belve fosse uscito da Gaza per uccidere civili innocenti all’impazzata, stuprare le donne, rapire ostaggi e, a quanto dicono gli israeliani, tagliare la testa e bruciare i neonati nelle culle. No, non potevamo di certo immaginarlo, perché noi occidentali abbiamo da anni abbassato la guardia nei confronti di una civiltà, quella islamica, ambigua e feroce, preferendo vivere secondo modelli culturali e valori scarsamente propulsivi sul piano delle motivazioni, o addirittura spariti dal nostro patrimonio civile perché sostituiti da nuove divinità, quali il denaro e il sistema informativo asservito al potere economico e alla politica.
Tutto questo, secondo lo storico tedesco del secolo scorso Oswald Spengler nel libro “Il tramonto dell’Occidente”, ci costringe a vivere in società che sono intellettualmente aride, politicamente fragili e che cercano di evitare la loro fine cambiando continuamente modelli di riferimento che, il più delle volte, sono sì ammiccanti ma anche privi di prospettive per il futuro. In Italia per esempio, quale miglioria ha portato nelle nostre vite la trasmutazione della Democrazia Cristiana, del Partito Comunista e del Movimento Sociale? Nessuna, anzi le delusioni per le promesse di cambiamento non mantenute le hanno rese ancora più fragili, più complicate e senza prospettive in un mondo che sembrava essere divenuto moderno e civile come non mai. Ma, secondo Spengler, la decadenza dell’Occidente è iniziata proprio con la civilizzazione!
E qui il discorso si fa interessante sotto l’aspetto etologico, perché in quel maledetto 7 ottobre i terroristi di Hamas hanno compiuto qualcosa d’inimmaginabile per la comprensione di una persona mediamente civile e razionale, nei kibbutz prospicienti la striscia di Gaza, dove si sono affrontati da vicino, casa per casa, due mondi morali o, se vogliamo, due diverse linee comportamentali. Come dire che la visione etica, le certezze di un Paese occidentalizzato, civilizzato come Israele, sono state moralmente annientate in poche ore da gente le cui radici morali affondano in una società pastorale, adusa sgozzare gli animali delle greggi per cibarsene e che, perciò, non ha problemi a fare la stessa cosa con i propri nemici, anzi, si può dire che la vista del sangue è per loro eccitante. E per rendersi conto che questa nostra non è un’esagerazione, basta andare a guardare i filmati che gli stessi terroristi di Hamas hanno girato con i telefonini e poi diffuso in rete: erano azioni delle quali si fa perfino fatica a parlarne, compiute da giovani con un’età oscillante tra i sedici e i trent’anni, che si muovevano sul terreno come un branco di lupi in caccia.
Eppure, proprio da come si muovevano, si può dedurre che essi, almeno agli inizi della penetrazione nel territorio israeliano, volessero fare delle azioni in stile commandos per trasmettere al mondo l’immagine di un esercito di liberazione della Palestina disciplinato e affidabile, capace perfino di manovrare sul terreno, dal cielo e dal mare. Poi, quando qualcuno tra di loro, per “riparare” qualche antico torto, ha iniziato a sparare sulle persone indifese degli insediamenti israeliani si deve essere rotto qualcosa, o più semplicemente deve essersi risvegliato l’istinto atavico della razzia violenta, dei civili portati via come preda del vincitore come facevano i loro antenati e ancora oggi i macellai dell’Isis, che più uccidevano, più depredavano, più si eccitavano.
Dall’altra parte, il governo di un Paese occidentalizzato, moderno e bene armato com’è Israele, oltre a non aver saputo prevenire in qualche modo un attacco non proprio irresistibile, è rimasto frastornato da questa inedita dimostrazione di ferocia antica tant’è che ci ha messo quarantott’ore per capire la portata dell’avvenimento e, dopo sei giorni, ancora non ha elaborato una strategia che vada oltre i pesanti bombardamenti dal cielo della striscia di Gaza, dove i terroristi di Hamas si fanno da sempre scudo con la popolazione civile. Avendo trascorso quasi mezzo secolo della mia vita nel mestiere delle armi, riesco a immaginare quale sia in questo momento il dilemma dei generali israeliani: entrare a Gaza per bonificarla e restituirla al governo della più affidabile Autorità Nazionale Palestinese, di Abū Māzen oppure continuare a martellarla dal cielo.
Per ognuna di queste scelte essi devono mettere in bilancio un alto numero di vittime, come dire che nel primo caso si tratterebbe di vittime del Tsahal, dei loro uomini e donne, impegnate nella bonifica strada per strada, cunicolo per cunicolo, nel secondo caso si tratterebbe di ulteriori vittime tra la popolazione palestinese che, evidentemente, ha in Hamas il suo primo nemico. Però, un altissimo numero di vittime civili palestinesi oltre ad alienare a Israele le simpatie fin qui capitalizzate, potrebbe congelare per almeno altri dieci anni quei rapporti che, nell’ambito del Patto di Abramo, Israele stava tentando di costruire con i Paesi arabi moderati o semplicemente spaventati dall’egemonismo iraniano.
Fanno trasalire in questi giorni alcune prese di posizione dei politici nostrani e non solo, i quali suggeriscono moderazione al governo israeliano mediante una reazione militare che essi dicono “proporzionata”… e che cavolo significa? Pare, infatti, di ricordare che la proporzionalità in guerra altro non è che una risposta difensiva dello stesso ordine di grandezza dell’offesa. Sicché se i generali israeliani dovessero veramente attenersi al criterio della “proporzionalità” suggerito da costoro, dovrebbero fare a Gaza esattamente ciò che i terroristi hanno fatto nei kibbutz di confine. E questo, nonostante la rabbia repressa, non è possibile perché anche Israele è figlia, anzi forse ne è addirittura la madre spirituale, di quest’Occidente civilizzato che considera l’uccisione di un essere umano un’aberrazione perché i suoi valori etici e morali (sono questi poi che, in definitiva, condizionano lo stato di diritto) restano quelli di una religione monoteista che non vuole imporsi al mondo con la violenza e che, al contrario di quella islamica, condanna sempre l’uccisione di un essere umano, eccetto che in circostanze particolarmente estreme.
Ma, anche quando scaturisce dal legittimo esercizio della forza, la violenza angoscia noi occidentali, non ci eccita, tant’è che la consideriamo un’aberrazione culturale e tentiamo di frenarla con tanti e tali lacci giuridici che il suo ingiustificato scatenarsi è punito come il peggiore dei crimini: in Occidente un uomo che uccidesse un miscredente andrebbe in galera, non in Paradiso come avviene nell’Islam! È allo Stato laico che affidiamo l’amministrazione della nostra vita terrena e i servizi a esso collegati, non al Vangelo o alla Bibbia: essi possono sì ispirare le nostre leggi, ma non sono “la legge”! Eppure, per quanto paradossale possa sembrare, questi esercizi di civiltà giuridica sono la nostra vera debolezza, dovendoci confrontare con una controparte che ne è totalmente priva.
Per fortuna d’Israele e nostra, i terroristi di Hamas e gli islamisti che sono la medesima cosa, oltre ai Kalashnikov e ai missili iraniani, non hanno in mano armi decisive per poterci annientare. Hamas ha esortato i popoli arabi a mobilitarsi per una marcia di solidarietà sulla Palestina in chiave anti-israeliana il che, a livello popolare, susciterà di certo emozioni e tensioni nelle piazze, ma non a livello dei rispettivi governi perché la fantomatica nazione araba non esiste, l’Islam non è mai diventata una realtà politica monolitica, anzi spesso a prevalere nel suo interno non sono neppure gli interessi nazionali ma quelli tribali.
Per non portarla troppo per le lunghe, possiamo ben sostenere che quella dichiarata da Hamas, è una guerra contro Israele anche in quanto promanazione diretta della civiltà occidentale e, pertanto, anche in Occidente bisogna iniziare a pensare (subito!) “à la guerre comme à la guerre” se non vogliamo lasciare un altro disastro in eredità ai nostri figli e nipoti.
Significa che anche noi italiani, per esempio, dovremmo inviare aerei e carri armati nella striscia di Gaza? Ci mancherebbe, e poi dove li prenderemmo. Certo che sarebbe già un buon inizio riscoprire la parola “bonificare” per quanto riguarda l’ordine pubblico e la civile convivenza sistematicamente distrutte dai governi di sinistra, iniziando ad applicare il metodo Caivano ovunque ve ne sia necessità, iniziando a chiudere le moschee dove si predica la violenza, a espellere gli Imam che teorizzano la supremazia islamista e cacciare a pedate nel culo coloro chi ci arrivano incattiviti dall’orbe islamico e dalle giungle africane. E mentre tocchiamo questo argomento, a una giudice di Catania sicuramente fischiano le orecchie perché anche lei, come molti suoi colleghi, contribuisce a farci tenere in casa persone per buona parte cattive e selvagge, che rubano e uccidono per niente, persone peraltro non invitate, non desiderate e che sarebbe autodistruttivo continuare a mantenere sottraendo risorse alle forze di difesa, agli stipendi, alle pensioni, che sono già da fame, e Sanità pubblica pressoché estinta.
Peraltro, questi nuovi arrivati, giusto per ripagarci della nostra cieca fessaggine, stanno riducendo le città italiane a una jungla dove imperano la sopraffazione e la violenza esercitate soprattutto contro le pensioni anziane, come a Firenze dove ieri un novantunenne, Giampaolo Matteuzzi, si è dovuto difendere da solo dalla rapina di un africano nullafacente tra l’indifferenza generale dei passanti. Perché il flaccido Occidente è anche questo. Purtroppo, oltre a non studiare la storia, noi italiani abbiamo la memoria corta perché continuiamo a sottovalutare il fatto che un Paese a noi molto vicino, la Francia, ormai non riesce più a sottomettere i musulmani delle Banlieues alla legge e al diritto.
E fino ad ora ci ha detto pure bene che nessun spregiudicato Imam abbia ancora pensato di conferire alle violenze quotidianamente perpetrate delle bande d’immigrati musulmani i connotati della revanche islamica contro i colonialisti occidentali amici dei sionisti. Almeno per adesso.
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