Ruviano verde e accogliente
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In questo borgo, situato nella media valle del fiume Volturno, il tempo e i rapporti umani scorrono con altri ritmi rispetto a quelli distratti e automatici delle nostre città. Perfino a tavola è possibile riportare indietro l’orologio del tempo, perché vi si preparano deliziosi piatti risalenti alla tradizione culinaria delle nonne
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Siamo sempre stati persuasi che per conoscere la vera Italia, quella più autentica e genuina, dove le persone si conoscono una per una, si chiamano per nome e si salutano con un sorriso ogni volta che s’incontrano, non bisogna partire dalle grandi città ma dai borghi. Ciò perché, per nostra fortuna, nei piccoli centri si dà ancora un gran valore ai rapporti umani e al tempo che inesorabile scorre cercando di non sprecarlo. Uno di questi borghi è certamente Ruviano, una comunità composta da meno di duemila anime, situata nella media valle del fiume Volturno. Io e la mia famiglia vi mettemmo piede per la prima volta nel 1989, quando prendemmo in affitto per tutta l’estate una fattoria in Via Felcio, una zona leggermente più in alto rispetto al nucleo cittadino dove, assieme a consorte e ragazzi, trascorsi una vacanza nature oltre che un periodo di grande serenità esistenziale dopo la sofferenza e la scomparsa di una persona cara.
Mi sovvengono ancora alcuni nomi delle splendide persone con le quali ci interfacciammo l’intera estate. Gennaro Di Meo di via San Marco; zia Nicolina che accudiva alcune mucche e condivideva la fattoria con noi; i tre ragazzi della famiglia del Maresciallo dei Carabinieri Insero, nostri nuovi vicini; giù in paese la sempre allegra signora Edda Vecchiarelli che ci riforniva di pane, pizza casereccia e di aneddoti gustosi. Insomma, a Ruviano il tempo e i rapporti umani scorrevano con altri ritmi rispetto a quelli impersonali e automatici ai quali eravamo abituati.
Già all’epoca Ruviano era un borgo lindo e ben tenuto e, anche se non vi siamo più ritornati materialmente perché trasferitici al Nord, sappiamo che rispetto a trent’anni fa è migliorato, e di questo eventuali visitatori potranno facilmente rendersene conto perché il paese si trova a mezz’ora di distanza da Caserta e quasi un’ora da Napoli, per citare i capoluoghi più vicini. Già immaginiamo la riflessione dei non ruvianesi che ci stanno leggendo: «D’accordo, Ruviano è un bel paesino, ordinato, pulito e abitato da bella gente. Ma è soltanto per questo che dovremmo andare a visitarlo?». Oddio, di ragioni ve ne sarebbe più di una… iniziamo ad elencare quella più materiale: si mangia bene! Infatti, grazie ad un florido agriturismo e a pochi ma rinomati ristoranti, il borgo di Ruviano è unico anche a tavola perché l’offerta è variegata, misurata nel prezzo, di alta qualità, moderna nella proposizione dei piatti e vi è ancora possibile riportare indietro l’orologio del tempo o, paradossalmente, proiettarsi in avanti perché, come di solito avviene nei grandi luoghi di ristorazione, a tavola spesso la differenza tra il passato e il presente è soltanto in una spezia, o in un aroma, o in un intingolo sapientemente accostati.
Infatti, nei suddetti ristoranti si possono gustare anche deliziosi piatti risalenti all’antica tradizione culinaria delle nonne, come il pancotto con fagioli e cime di rape, parmigiane di ogni tipo, formato e composizione, il riso con patate e baccalà, il millefoglie di vitello con formaggio, e non poteva mancare il “Caso peruto” dei buongustai, ovvero il cacio ammuffito che, beninteso, non è la versione ruvianese del Gorgonzola lombardo, al quale la muffa è aggiunta chimicamente. Il Caso ruvianese, invece, è fatto col latte di vacche, oppure con quello di pecore e/o capre e, per ottenere la muffa che ne caratterizza l’aspetto e l’inimitabile sapore, viene utilizzato un caglio naturale ottenuto dal fiore del cardo selvatico. Con tali presupposti alimentari i ruvianesi non potevano certo farsi mancare degli ottimi vini come, per citarne soltanto due, il Pallagrello e il Casavecchia.
Ma il nostro borgo, che avrebbe fatto la gioia di Aldo Palazzeschi se lo avesse conosciuto prima di scrivere la poesia “Rio Bo”, è anche altro: è cultura, è musica, è luogo d’incontri internazionali e di folclore, perché per i ruvianesi «Il folklore è fonte di civiltà: mantiene vive le radici di un popolo, rafforza l’amicizia e la pace tra le diverse nazioni del mondo». Abbiamo tratto questo pensiero dal manifesto della manifestazione con la quale Ruviano, grazie a diversi enti come il Comune, la Provincia e la Pro Loco “Raiano” sotto la guida del Colonnello Pasquale Di Meo e nell’ambito del Festival internazionale del folclore e della cultura contadina, accoglierà con un convinto abbraccio ideale le rappresentanze artistiche di Paesi altrimenti lontani per conoscenza, storia e tradizioni oltre che geograficamente.
E mica finisce qui. Eh sì, Ruviano è anche la capitale della tolleranza e dell’ironia perché il giorno di San Martino, l’11 novembre di ogni anno, vi si celebrava (sperando lo si possa ancora fare in futuro…), la Festa dei Cornuti con una processione in costume di uomini e donne provvisti di mantelli e mefistofeliche corna. Esistono molte versioni sull’origine di questa festa che con i tradimenti di mariti, mogli o fidanzati c’entra poco o niente, men che mai con San Martino di Tours, a torto ritenuto il patrono dei cornuti perché pare che ebbe alcuni problemucci con una sorella piuttosto spregiudicata in fatto di costumanze sessuali.
Amenità a parte, secondo noi la festa è la riproposizione di un mito esportato nell’Italia del Sud dai coloni della Magna Grecia con i quali i sanniti, gli etruschi e gli osci, popoli di tradizioni agresti, spesso s’incontravano e si scontravano. Parliamo di Pan, un dio delle montagne e della vita nei campi, rappresentato nella mitologia con le corna e con i piedi caprini, quale protettore degli armenti e della musica, della danza e smodatamente delle donne, tant’è che gli antichi erano soliti rappresentarlo anche come un lussurioso. Ancora oggi, d’altronde, volendoci riferire ad un uomo instancabile sul piano sessuale, incliniamo a definirlo un Satiro. La riprova è nel fatto che, come abbiamo anticipato, l’originale festa cade l’11 novembre quando ogni mosto diventa vino, un liquido molto caro ad un’altra divinità greco-romana, Bacco. I due bricconi gaudenti, Pan e Bacco, infatti, venivano spesso invocati dagli antichi durante i loro orgiastici riti, come i famigerati Baccanali, o rappresentati insieme da pittori e scultori. Ovviamente, a Ruviano si conduce una vita molto più sana ed equilibrata di quella di greci e romani antichi che erano notoriamente crapuloni.
Lasciando un po’ da parte i godimenti materiali sui quali ci siamo soffermati molto in verità, per incamminarci lungo il sentiero della spiritualità, si scopre che il borgo è anche luogo di meditazione. Sicché, coloro che ogni tanto scappano dalle grandi città, per recarsi a trascorrere un periodo sereno e meditativo, possono chiedere ospitalità completa ai Benedettini del monastero di Via Morroni, una piccola ma laboriosa comunità religiosa che sta diventando il cuore di una rete di fraternità comunitaria alla quale possono partecipare coppie, famiglie e singoli individui provenienti da ogni parte del mondo. E, credeteci, non bisogna essere necessariamente bizzocheri per apprezzare l’eccellente ospitalità offerta dagli unici tre religiosi, due monaci e una suora, che al momento si occupano del monastero- ostello.
Non avevamo ragione ad esordire sostenendo che la vera Italia, quella sana, autentica e genuina, sopravvive soltanto nei piccoli borghi come Ruviano? Abbiamo esagerato nelle lodi? Non volete credere all’affettuoso panegirico che gli abbiamo dedicato? Possiamo capirlo, il web è stracolmo di bugie che oggi s’inclina e definire fake news, perciò vi consigliamo di andare a verificare di persona… magari a partire proprio dal festival internazionale del folclore che inizia il prossimo 9 agosto.
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