Vogliamo indietro la nostra democrazia
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Il furto della democrazia si sta rendendo possibile perché un’opposizione meno scalcagnata di quella che gioca a tirare buffetti a Conte invece di sommovimentare la coscienza democratica del Paese, avrebbe già messo il Quirinale di fronte alle sue responsabilità di vigilante istituzionale, a costo di abbandonare, per protesa, un Parlamento svuotato ormai di parte delle sue funzioni e ritirarsi sull’Aventino anch’essa fintanto che, coronavirus o non coronavirus, non ritorni la piena democrazia in questo Paese che lamenta già alcuni vulnus in materia di rappresentatività
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Anche se la maggior parte dei media evita artatamente di parlarne (forse perché fino a ieri sosteneva che il pericolo per la democrazia italiana fosse Salvini), due giorni fa al Senato è accaduto qualcosa di estremamente preoccupante, un déjà-vu che ci ha fatto accapponare la pelle per la sua perfetta assonanza con quanto accadeva nel nostro Paese agli inizi di quello che potremmo definire il periodo del fascismo parlamentare: è stato impedito ripetute volte di parlare ad un eletto senatore della repubblica!
Tutto è iniziato dopo che il premier Conte aveva riferito al Senato sull’accordo del Recovery Fund ed ha preso la parola per la replica il senatore Matteo Salvini, il quale tentava di esprimere la posizione della Lega che, come si sa, è fortemente critica nei confronti dell’operato di Conte sull’intesa nell’UE di pochi giorni fa. Da quel momento è iniziata la bagarre dei senatori del M5S e del PD che, di fatto, hanno scientificamente impedito di parlare al segretario della Lega, fino al punto che è dovuta intervenire la presidente del senato, Elisabetta Casellati, per cercare di riportare la democrazia della libertà di parola in aula anche se, per come la vediamo noi, ha finito col rendere anch’essa un pessimo servizio alla democrazia.
E sì, perché, oltre a richiamare ripetutamente i senatori tumultuanti alle regole parlamentari, come in verità ha fatto più volte, avrebbe dovuto subito dopo sospendere la seduta per una pausa di riflessione. Invece, ha invitato il senatore Salvini a non rivolgersi all’aula o al presidente del consiglio – com’era prassi e suo diritto – ma a lei, ciò per evitare le scomposte reazioni dei senatori della maggioranza. In altre parole, visto che non cessavano le aggressioni verbali contro il segretario della Lega, la presidente del Senato ha invitato Salvini alla prudenza. E così, in un solo colpo, la nostra democrazia ha fatto un balzo all’indietro di quasi un secolo!
Ebbene, se nella particolare circostanza il segretario leghista avesse avuto maggiore prontezza di spirito e di memoria storica, avrebbe fatto presente alla seconda carica dello Stato di stare a comportarsi esattamente come il presidente della camera dei deputati, Enrico De Nicola, il 30 maggio del 1924 nel corso di una tumultuosa seduta, una delle ultime, della camera dei deputati.
Ebbene, dal momento che non l’ha fatto il leader della Lega, proveremo a spiegarvelo noi che cosa accadde quel giorno e i giorni successivi di novantasei anni fa, ricorrendo al libro di Indro Montanelli “L’Italia in camicia nera”:
«Matteotti prese la parola dal suo banco di deputato. Il suo discorso che avrebbe potuto esaurirsi in meno di un’ora, ne durò quattro perché continuamente interrotto dai fischi e dagli urli dei fascisti. Presidente dell’Assemblea era Enrico De Nicola, che invano scampanellava per riportare la calma. I fascisti, quando non urlavano, picchiavano ritmicamente i pugni sul banco per coprire la voce dell’oratore […] Scoppiò il putiferio. Matteotti aspettò che si placasse, poi cominciò ad elencare le prove del clima di violenza che aveva falsato il verdetto popolare. Ad ogni tempesta di fischi e minacce, Matteotti rispondeva: “Io espongo fatti che non dovrebbero provocare rumore. I fatti o sono veri, o li dimostrate falsi”. Matteotti ricominciò a motivare le sue denunce nel solito frastuono.
“Onorevoli colleghi, io deploro quello che accade…” ripeteva De Nicola, e rivolgendosi a Matteotti, lo sollecitò: “Concluda, onorevole Matteotti. Non provochi incidenti”.
Matteotti s’infuriò: “Ma che maniera è questa! Lei deve tutelare il mio diritto di parlare”.
“Sì. ma ho anche quello di raccomandarle la prudenza”.
“Io chiedo di parlare non prudentemente, né imprudentemente, ma parlamentarmente” ribatté Matteotti e riprese la sua requisitoria. Quando ebbe finito, nel solito uragano di grida e minacce, disse, rivolto ai suoi vicini di banco: “Ho detto quello che dovevo dire, ora sta a voi preparare la mia orazione funebre” […] Ma il 16 agosto venne il colpo di scena […] Il caso volle che un guardiacaccia passasse col suo cane nel bosco della Quartarella. Il cane puntò il naso per terra e cominciò a scavare furiosamente. Affiorarono dei resti umani: erano quelli di Matteotti».
Chi vuol capire, capisca e mediti profondamente sull’imprevedibile portata delle proprie azioni in politica, sui media e perfino nella magistratura! Da parte nostra possiamo soltanto ribadire che siamo molto preoccupati per i metodi fascisti che stanno prendendo piede in casa degli antifascisti di professione. Peraltro tutto questo sta avvenendo sotto lo sguardo fisso o compiaciuto, ancora non lo abbiamo capito bene, dell’estremo Palladio della nostra democrazia: il presidente della repubblica che, di fronte a cotanto degrado della democrazia, continua a fare il pesce in barile.
E ciò si rende possibile perché un’opposizione meno scalcagnata di quella che gioca a tirare buffetti a Conte invece di sommovimentare la coscienza democratica del Paese, avrebbe già messo il Quirinale di fronte alle sue responsabilità di “vigilante istituzionale”, a costo di abbandonare, per protesa, un Parlamento svuotato ormai di parte delle sue funzioni e ritirarsi sull’Aventino anch’essa fintanto che, coronavirus o non coronavirus, non ritorni la piena democrazia in questo Paese.