Ricordiamo il 4 novembre e poi apparecchiamo una nuova Caporetto
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L’Italia non avrà un grande futuro sotto la guida personaggi che abbiamo eletti in un momento di follia, a meno che non diventeremo un “popolo di strada”, cioè quando scenderemo in piazza per ogni malefatta della politica, quando sapremo imporre a questo governo e a quelli che verranno dopo, la nostra volontà, la volontà del popolo e non quella delle élites. In questo modo riusciremo, forse, ad impedire che la disfatta dello Stato, sul fronte dell’epidemia, si trasformi nella Caporetto della Repubblica
– Enzo Ciaraffa –
Il 4 novembre di 102 anni fa per l’Italia si concluse vittoriosamente la Prima Guerra Mondiale, meno di un anno dopo la tremenda disfatta di Caporetto, mentre tra la popolazione civile e nelle trincee iniziava ad infuriare un’epidemia non molto dissimile da quella del Covid-19, conosciuta come “La spagnola”, che soltanto in Italia fece un milione di morti i quali si andarono ad assommare agli oltre seicentomila caduti in combattimento.
Ebbene, pur essendo una pesante sconfitta militare, Caporetto non divenne un irrimediabile disastro perché i nostri soldati seppero attingere alla loro essenza emotiva per sopperire alle deficienze dei loro capi. Infatti, nonostante l’iniziale sbandamento della II Armata del generale Capello, possiamo dire che, in linea di massima, i nostri fantaccini reagirono a Caporetto meglio della classe dirigente, sia quella in divisa che quella in borghese. Badoglio, ad esempio, che nel momento del disastro non si trovava al suo posto di comando, scorato, si accasciò con la testa tra le mani. E ne aveva ben donde! Se – come gli era stato ordinato – avesse provveduto ad estendere l’ala sinistra del XXVII Corpo d’Armata fino al fondovalle del fiume Isonzo, avrebbe potuto intercettare e fermare a cannonate i tedeschi che vi sfilavano in direzione di Caporetto.
Nonostante quella grande batosta, nel giro di pochi mesi, gli italiani, militari e civili, raddrizzarono la schiena, riuscendo a ribaltare una situazione militare quasi disperata anche perché, per la prima volta da quando era iniziata la guerra, i soldati ebbero la sensazione di avere alle spalle l’intero Paese. Ed era molto più di una sensazione se Filippo Turati, leader dei socialisti (i più fieri oppositori della guerra), facendo eco al capo del governo aveva gridato in Parlamento: «Al Monte Grappa è la Patria!». Fu ritrovata maturità politica, eroismo o tardivo amore per il proprio Paese? Probabilmente furono tutte e tre le cose ma, almeno per pochi mesi, il Paese si ritrovò compatto contro il suo storico nemico.
Allora, perché oggi che abbiamo alle porte, anzi in casa, un nemico molto più subdolo e difficile da sconfiggere degli austriaci, il Covid-19, non riusciamo a ritrovare la stessa unità di un secolo fa? Che fine hanno fatto la maturità politica, l’eroismo quotidiano nelle trincee e l’amore per il proprio Paese? Rispondere a queste due domande non è semplice perché dovrei passare in rassegna settantacinque anni di storia italiana dal 1945 ad oggi, mentre tutti insieme possiamo fare qualche piccola riflessione in proposito, incentrandola su di un incontrovertibile dato: l’Italia è oggi priva di classe dirigente. Prima ce l’aveva? Certamente no, ma ha avuto dei buoni mestieranti della politica e capitani d’industria con i calli alle mani, almeno fino a quando un ridanciano Jocker, Silvio Berlusconi, non fece della politica teatro di nani, ballerine, put**** e quaquaraquà. Purtroppo, i suoi rutilanti messaggi politici, rivelatisi poi tutti fasulli, all’inizio furono vincenti e gli procurarono un vasto consenso elettorale. Il guaio fu che, per sconfiggerlo, i suoi avversari non trovarono niente di meglio che imitarlo, sicché da quel momento la politica divenne una sorta di teatro d’avanspettacolo dove si sono avvicendate due generazioni politiche una peggiore dell’altra, che nessuna persona di buonsenso avrebbe l’ardire di definire “classe dirigente”. Ecco, a voler ridurre la questione ai minimi termini, possiamo dire che il Covid-19 ci ha sorpresi mentre alla guida del Paese e all’opposizione c’erano queste due imbelli generazioni politiche.
Ma allora come ne usciremo, come la vinceremo questa guerra, se i soldati se ne stanno rintanati nelle trincee per la paura e i Generali sono degli assoluti incapaci? Io non credo – e lo affermo con dolorosa sincerità – che il nostro Paese abbia un grande futuro sotto la guida di gente presa a caso e portata al governo del Paese, a meno che non diventeremo un “popolo di strada”, cioè quando scenderemo in piazza per ogni malefatta della politica, quando sapremo imporre a questo governo e a quelli che verranno dopo, la nostra volontà, la volontà del popolo e non quella delle élites. In questo modo riusciremo, forse, ad impedire che la disfatta dello Stato, sul fronte dell’epidemia, si trasformi nella Caporetto della Repubblica, a maggior ragione mentre ci accingiamo a ricordare la vittoria nella Grande Guerra e le centinaia di migliaia di caduti, più i 37.000 di quest’altra guerra sanitaria, ai quali va il nostro riverente pensiero e rimpianto di smarriti italiani.
Ricordiamo, però, anche i nostri diciotto pescatori siciliani da mesi prigionieri in Libia di un Generale da operetta e che un governo da opera buffa, che impiega i militari per fare i badanti degli immigrati clandestini o per trasportare i banchi con le rotelle di Lucia Azzolina nelle scuole, non riesce ancora a portare a casa.
Ma di questo parleremo dopo il 4 novembre, adesso inchiniamoci ai caduti di ieri e di oggi.