Poiché maschio, dovrei sentirmi colpevole della morte di Giulia?
Share
Il vice premier Antonio Tajani e il senatore Mario Guidi in Senato ieri, si sono auto lapidati chiedendo scusa a tutte le donne in quanto uomini, e questo potrebbe essere affar loro. Però, chiedano scusa a chi vogliono ma lo facciano per sé, perché i maschi italiani sono migliori di quanto essi pensano, sono lontani anni-luce dal cliché di un giovane psicopatico al quale una brava e ingenua ragazza, convinta di poter sostituire l’amore con la pietà solidale, si è consegnata come un agnello sacrificale
– Enzo Ciaraffa –
Cari amici che ci seguite, permettetemi stavolta di parlare in prima persona in modo che possa essere più chiara e percepibile la mia contrarietà per la fiera delle assurdità che ha originato l’uccisione di Giulia Cecchettin, una fiera che sta facendo vieppiù emergere la nostra indole divisiva e senza ritegno anche sui drammi, a partire dai politici che trovano il tempo e la voglia di polemizzare perfino su come vestono alcuni protagonisti della tragedia… che stupidaggine. Se dovessi essere processato per come vesto, starei certamente in galera a vita per l’assassinio del buon gusto e dello stile, ragion per cui attaccare una ragazza, nel caso la sorella di Giulia Cecchettin, Elena, per la felpa che indossava mentre parlava con i giornalisti è stata un grande imbecillità da parte del consigliere leghista del Veneto Stefano Valdegamberi.
Stesso giudizio, però, esprimo per gli strampalati j’accuse di Elena. Eccovene un florilegio: «Il femminicidio è un omicidio di potere, è un omicidio di Stato, perché lo Stato non aiuta e non tutela noi donne – Tutti gli uomini devono fare mea culpa». Mai sentito un tale cumulo di fesserie pronunziate da una sola persona! D’altronde, parrebbe che la stessa Giulia non si fidasse molto dei suoi giudizi, avendo confessato alle amiche con un messaggio audio, e non alla sorella, cosa stava avvenendo dentro di sé a proposito del fidanzato assassino: «Sono arrivata a un punto in cui vorrei che sparisse, vorrei non avere più contatti con lui». Ecco, la sorellona che oggi spara a palle incatenate perfino contro lo Stato, se fosse stata capace di cogliere questi stati d’animo di Giulia, forse oggi staremmo a scrivere di un altro argomento.
E poi, bisogna dire che lo Stato, Salvini, il patriarcato e il governo (guidato da una donna per la prima volta nella storia d’Italia…) tirati in ballo da Elena Cecchettin e dall’ineffabile Lilli Gruber, secondo me non c’entrano niente perché quelli che oggi chiamiamo femminicidi, peraltro in dispregio all’articolo 3 della Costituzione che proscrive la distinzione di sesso, avvenivano perfino ai tempi in cui governava un partito baciapile come la Democrazia Cristiana e, udite udite, a quel tempo talvolta erano le donne a uccidere le loro rivali in amore. Immagino che pochi sappiano chi fosse Caterina Fort, la donna che nel 1946 a Milano uccise a sprangate la moglie e i tre figli, dei quali uno di appena dieci mesi, del suo amante. Ciononostante oggi nessuno si sognerebbe di sostenere che le donne abbiano mai avuto propensione al femminicidio come, invece, sta tentando di fare con i maschi italiani la Sinistra (e non soltanto) che, manco a dirlo, si è subito ficcata negli improponibili j’accuse di Elena Cecchettin.
Eppure vi sono alcuni dati che dovrebbe consigliare un po’ di prudenza ai fautori dei femminicidi targati Made in Italy, inclusi molti appartenenti al sesso cosiddetto forte che – non capisco con quanta sincerità – in queste ore si stanno sottoponendo a una sorte di autodafé di genere che, numeri alla mano, è piuttosto immotivato. Il vice premier Antonio Tajani e il senatore Mario Guidi in Senato ieri, si sono addirittura auto-lapidati chiedendo scusa a tutte le donne in quanto uomini, e questo potrebbe essere affar loro, in quanto maschi però, chiedano scusa quanto vogliono ma lo facciano per sé, perché i maschi italiani sono migliori di quanto essi pensano, sono lontani anni-luce dal cliché di un giovane psicopatico (che a ventidue anni dormiva con l’orsacchiotto nel letto…) al quale una brava e ingenua ragazza, convinta di poter sostituire l’amore con la pietà solidale, si è consegnata come un agnello sacrificale. E, comunque, a proposito della violenza sulle donne, ogni tanto non guasterebbe una scorsa ai dati statistici.
Secondo il settimanale Panorama del 7 agosto 2023 che riporta dati Eurispes: «Nei casi di maltrattamenti all’interno del contesto familiare e conviviale, la prevalenza femminile varia tra l’81% e l’83%, mentre per le violenze sessuali, tale predominanza raggiunge percentuali che oscillano tra il 91% e il 93%. Non v’è dettaglio riguardo alle nazionalità dei perpetratori, ma dati del ministero degli Interni del 2019 indicavano che oltre il 41% di tali reati era imputabile a individui stranieri». Beninteso che neppure questo dato ci autorizzerebbe, eventualmente, a sostenere che tutti gli stranieri circolanti in Italia – la maggior parte illegalmente in verità – siano dei potenziali femminicidi, ma di certo dovrebbe indurre tutti a ponderate riflessioni sulle diverse concause del fenomeno, moltissime delle quali riguardano la crisi di valori etici pregnanti e che una volta costituivano la stella polare dei nostri comportamenti, come la religione e un altro fallimento epocale che si chiama famiglia. E non lo dico io, ma una persona che sarebbe davvero difficile definire una fan del patriarcato, o del sovranismo, o della destra addirittura, Liliana Segre. Infatti, la senatrice a vita in un articolo su “il Giornale”, di mercoledì scorso, senza peli sulla lingua, ha puntato il dito contro il laissez faire dei genitori e il dovere della severità come antidoto contro quell’odio che produce gli assassini: «L’educatore di una volta, soprattutto il genitore, usava dare anche qualche sculaccione e se ne prendeva la responsabilità: comunicava anche così, a malincuore, l’importanza di certe scelte e la gravità di certi errori. Oggi c’è forse un’eccessiva tendenza a proteggere i piccoli da ogni prova e da ogni tensione, mentre io, quando ero severa, non mi sentivo in colpa, ma ero convinta di servire, in quei momenti, un bene più grande».
Ecco, la mia vita di maschio, in veste di figlio e di capofamiglia, si è svolta nello stesso perimetro culturale e funzionale della veneranda sopravvissuta di Auschwitz, per cui, anche se da ragazzo non avevo la testa piena di neologismi e rassicuranti teorie come quelli di oggidì, sapevo cosa potevo fare, e cosa invece no. Non che sia stato sempre un figlio perfetto, un padre modello e un amante sincero, ma di una cosa sono certo: non ho mai fatto del male a un essere umano per deliberata scelta, figuriamoci a una donna, se non nei sentimenti a causa di inaspettati e tristi addii. Chiarito il mio pensiero, mi unisco di cuore al dolore della famiglia Cecchettin, ma non alle ridicole performance “riparatorie” che stanno andando in scena in questi giorni perfino al Senato che ieri, su proposta dei soliti Cinque Stelle, ha osservato un minuto di… rumore. È da queste manifestazioni che i giovani dovrebbero trarre insegnamento? Ma vergognatevi tutti, politici, giornalisti e qualche familiare della povera Giulia: avete trasformato in bagattella una tragedia!
Post Scriptum: qualcuno troverà assurdo il fatto che io non abbia mai citato il nome di Filippo Turetta, lo psicopatico, il vero, l’unico colpevole della morte di Giulia. Ma è esattamente ciò che stanno facendo in questi giorni i media, i talk show e i maître à penser.
Potrebbe interessarti anche Il metastupro: una legge reale per un reato virtuale?