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Più che il coronavirus ci preoccupa Erdogan

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Il governo turco ha deciso di inviare mille militari delle forze speciali dell’esercito per contrapporle ai respingimenti di migranti da parte delle guardie di frontiera di Atene che, magari disumanamente ma legittimamente, impediscono alla marea umana dei profughi provenienti dalla Turchia di entrare nel proprio territorio. La domanda che dobbiamo adesso farci è chi sparerà per prima, visto che greci e turchi non sono nuovi a questo tipo di confronto che, peraltro, sperimentarono a Cipro quarantasei anni fa
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In politica, specialmente in politica estera, il cedimento non paga perché, in presenza di un partito o di uno Stato che arretra, ve n’è un altro che prende coraggio e avanza, per saggiare la volontà di resistenza o la capacità di dissuasione di un potenziale avversario.

Per quanto sia luogo comune sostenere che la storia non si possa fare né con i se, né con i ma, bisogna tuttavia rilevare che, se la Società delle Nazioni nel 1936 avesse impedito a Hitler di rimilitarizzare la Renania, come aveva imposto il Versailles e di disgregare impunemente la Cecoslovacchia nel 1938 al convegno di Monaco, il dittatore nazista difficilmente l’anno dopo avrebbe commesso l’azzardo di invadere la Polonia e far scoppiare così la II Guerra Mondiale.

Purtroppo, istituzioni sovranazionali come l’ONU, degna figlia dell’imbelle Società delle Nazioni, e di quelle nate nel dopoguerra, come l’Unione Europea e la NATO, hanno una corta memoria storica: stanno facendo col rais turco Erdogan i medesimi errori che furono fatti con Adolf Hitler, che pure aveva scritto a chiari lettere nel “Mein Kampf” qual era il suo criminale disegno politico una volta andato al potere.

Molti Paesi occidentali, fuorviati dall’appartenenza della Turchia a quel consesso militare democratico che è, nel suo complesso, la NATO, hanno dimenticato che Erdogan è stato il fondatore di un partito islamista tradizionalista, l’AKP –  Partito della Giustizia e dello Sviluppo, che una volta andato al potere ha iniziato a demolire un po’ alla volta le basi laiche della Costituzione turca, perseguendo una politica panislamista che ha  come obiettivo la rinascita della cultura ottomana e il riaffermarsi dell’omonimo Califfato, ed ancora una politica di appesantimento dei rapporti con Israele. Il fatto preoccupante è che Erdogan non ha, ormai, più nessuna remora a rivelare quali sono i suoi obiettivi, e lo fa con una progressione che dovrebbe quanto meno impensierire le cancellerie europee, l’ONU e l’Unione Europea. Quest’ultima nel 2015 preferì, invece, venire a patti con lui affinché, in cambio di miliardi, tenesse chiusa la rotta dei Balcani ai milioni di immigrati che dal Medio Oriente premevano e tutt’ora premono sull’Europa.

Il 17 marzo del 2017 Erdogan si rivolse ai turchi residenti nell’Unione Europea con un inquietante messaggio: «Da qui faccio un appello ai miei fratelli in Europa. Vivete in quartieri migliori. Comprate le auto migliori. Vivete nelle case migliori. Non fate tre figli, ma cinque. Perché voi siete il futuro dell’Europa».

Il 9 ottobre del 2019 l’esercito turco attaccò il nord – est della Siria (il Kurdistan siriano), già tormentata da una feroce guerra civile che durava da otto anni, e che aveva fatto mezzo milione di morti e il quintuplo di profughi, con l’operazione militare chiamata “Primavera di Pace”. Quest’operazione venne fatta ancora una volta sulla pelle dei curdi, un popolo senza Stato, che di certo non ama la Turchia che lo perseguita da anni.  Anche in questo caso l’obiettivo del “sultano” di Ankara è chiaro e perverso: creare una striscia di sicurezza tra la Turchia, la Siria e in parte con l’Iraq, popolandola di profughi siriani, in modo che questi e i curdi possano neutralizzarsi a vicenda. Insomma, Erdogan pensa ad una sorta di entità territoriale-lager abitata da Untermensch (curdi) e da superuomini (siriani) con il compito, non scritto, di tenere sotto controllo i nemici della Turchia. Certo, il progetto di Erdogan prevede villaggi, scuole, moschee ed ospedali, ma questo non ne muta le finalità. Peraltro, si tratta di un piano da 27 miliardi di dollari che il presidente turco vorrebbe anche dall’Unione Europea che, almeno per adesso, ha nicchiato.  Ma un eventuale rifiuto dell’Europa di aderire alle sue richieste è proprio ciò che il sultano turco non può permettersi in questo momento di difficoltà economica interna (le operazioni militari costano…) e di lievitante crisi politica con la Russia, la quale sta neutralizzando sistematicamente le sue mire sulla Siria e sulla Libia: ne va della sua credibilità presso il popolo turco, il cui entusiasmo nei suoi confronti si va intiepidendo, in aggiunta al fatto che gli altri gradi dell’esercito non lo hanno mai molto amato e, probabilmente, non vedono l’ora di sbarazzarsene.

Dotato di una pericolosa spregiudicatezza, Erdogan, però, non si è perso d’animo e, per fare pressione sull’Unione Europea, ha aperto i confini con la Grecia e con la Bulgaria ai profughi i quali, dopo una sosta in questi Paesi, tenteranno di raggiungere la Germania che, guarda caso, ha la leadership in quell’Unione Europea che, fino a questo momento, non ha voluto allargare i cordoni della borsa. La decisione di aprire le frontiere ai profughi proprio in questo periodo è anche criminale perché, con l’epidemia di coronavirus che c’è in giro, lanciare sull’Europa una massa di milioni di profughi, peraltro fisicamente provati, potrebbe trasformare il Vecchio Continente in un lazzaretto a cielo aperto.

Anche per questa ragione, oggi Erdogan è l’uomo più pericoloso al mondo per la pace perché è disperato e non sa come uscire, senza rimetterci il posto, dal ginepraio nel quale la sua spregiudicatezza l’ha infilato, tanto che ha richiesto la riunione d’urgenza della NATO della quale fa parte assieme alla Grecia che, essendo già alla canna del gas dal punto di vista economico, non ne vuole proprio sapere di prendersi i profughi, che sta respingendo al mittente con polizia, esercito e gas lacrimogeni.

Ed è a questo punto che la situazione potrebbe sfuggire di mano ai diretti interessati  perché, per non vedersi tornare indietro profughi siriani “usati” come merce di scambio, Erdogan ha deciso di inviare mille militari delle forze speciali dell’esercito turco per contrapporle ai respingimenti di migranti da parte delle guardie di frontiera di Atene che, magari disumanamente ma legittimamente, impediscono alla marea umana dei profughi provenienti dalla Turchia di entrare nel proprio territorio. La domanda che dobbiamo adesso farci è: chi sparerà per primo?

E la domanda non è così retorica se si pensa che è un’evenienza del genere è già accaduta, precisamente nel 1974, quando Turchia e Grecia, due Paesi aderenti alla NATO, si fecero la guerra per Cipro.

Non sappiamo come, stavolta, l’Europa si tirerà fuori dal gran casotto nel quale si è andata a sua volta ad infilare cinque anni fa, stringendo (e pagando profumatamente) un patto malandrino con uno dei leader più cinici e inaffidabili esistenti al mondo.

A voler valutare realisticamente le cose, secondo noi l’unico modo per spuntare gli artigli a Erdogan e, allo stesso tempo, tentare di risolvere la questione dei profughi siriani alla radice, è quello di appoggiare il presidente siriano Bashar al-Assad affinché, aiutato dalla Russia, egli possa pacificare la Siria nel modo più indolore possibile. Come dire che tra due autocrati l’Unione Europea – sempre annaspante tra principi teorici e mancanza di realpolitik –  ha il dovere di aiutare quello che le è più utile e non più simpatico.

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