Perché sarà dura contro Giorgia la pesciarola
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Una donna come lei è stata abituata alla lotta dalla dura legge della vita, anzi talvolta sembra perfino cercarla la tenzone creativa. Soggetti con tali stimmate caratteriali, se messi alle strette, si comportano come tigri ferite e lottano fino alla fine con ogni mezzo messo loro a disposizione dalla Costituzione, quella che i magistrati nelle loro sceneggiate sbandierano ma dubitiamo che leggano spesso
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Dopo il massacro mediatico e giudiziario della Democrazia Cristiana e del pentapartito, iniziato nel 1992 dal cosiddetto pool milanese di “Mani pulite”, niente sembrava più frapporsi tra il Partito Comunista (da poco riciclatosi in Partito Democratico della Sinistra) e la guida del Paese. Infatti, grazie alla gioiosa macchina da guerra che pensava di aver messo insieme il segretario Achille Occhetto con un cartello elettorale chiamato “Alleanza dei progressisti”, erano in molti e in Italia e in Europa, a pensare che le imminenti elezioni politiche sarebbero state poco più che una proforma per la Sinistra-Centro. Poi a sparigliare le carte arrivò un imprenditore liberal-puttaniere, Silvio Berlusconi, che in sessanta giorni fondò un partito, Forza Italia, una coalizione, il Polo delle libertà, e vinse le elezioni politiche che si tennero il 27 e il 28 marzo del 1994. Uno dei cavalli di battaglia del programma elettorale di Berlusconi fu la riforma della giustizia e la separazione delle carriere nella Magistratura, come previsto dalla Costituzione. Ma, passato lo shock per l’impensato esito elettorale, gli sconfitti si diedero anima e corpo a organizzare la fine di Berlusconi, sicché in meno di otto mesi il piano fu pronto. Infatti, con un’operazione a tenaglia della Magistratura, del Quirinale, dei Media e della Sinistra, il 22 novembre del 1994, mentre si trovava a Napoli per presiedere un summit sulla malavita, il Cavaliere apprese a mezzo stampa di essere stato indagato per corruzione dalla Procura di Milano.
E siccome stiamo parlando di eventi ancora abbastanza freschi nella memoria collettiva degli italiani, vi risparmiamo quello che combinò nella circostanza l’allora paròn in canottiera della Lega Nord, Umberto Bossi, il quale, dopo essersi fatto stronzeggiare dal presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, abbandonò la compagine governativa costringendo un Silvio Berlusconi fin troppo remissivo alle dimissioni il 22 dicembre 1994. Ebbene, con quell’atto si completò il massacro della volontà della maggioranza degli italiani, della giustizia e della stessa Costituzione. Il regno del Cavaliere era durato più o meno 210 giorni quando dovette cedere il passo al nuovo principe della politica italiana: l’avviso di garanzia. Infine, dopo aver subito qualche anno prima un’aggressione politica a Milano grazie al clima invelenito creato dalla Sinistra, nel 2013 Silvio Berlusconi fu condannato in via definitiva per frode fiscale e all’interdizione dai pubblici uffici per due anni, decadendo da senatore per effetto delle Legge Severino che, peraltro, al momento della commissione del reato giudicato non esisteva. Insomma, i suoi nemici riuscirono finalmente a cacciarlo dal Parlamento.
Dopo un decennio di governi senza mandato popolare, perché nati da alchimie di potere nel chiuso dei palazzi romani, eletto dalla maggioranza degli italiani, il 22 ottobre del 2022 saliva al potere un nuovo governo di Centrodestra a guida Giorgia Meloni che, tra le altre cose, aveva nel programma elettorale ancora la riforma costituzionale della giustizia e la separazione delle carriere nella Magistratura. E su questo tema, ancora una volta, la Magistratura si è scagliata contro il governo, prima cercando di metterlo in difficoltà sul problema della lotta all’immigrazione clandestina, poi attaccandolo a testa bassa con toni, sceneggiate e parole para-eversive, fino a richiamare di nuovo in servizio il principe che detronizzò il Cavaliere: l’avviso di garanzia (e sua sorella la comunicazione). Infatti, la Procura di Roma, a proposito della recente scarcerazione e rimpatrio del generale libico Almasri, invece di attivare una discreta triangolazione col governo e il Quirinale trattandosi di sicurezza nazionale, ha iscritto Giorgia Meloni e mezzo governo nel registro degli indagati dopo una denuncia presentata da un avvocato notoriamente prodiano ed ex sottosegretario del Partito Democratico. Peraltro uno degli indagati, il sottosegretario Mantovano, aveva appena tolto il volo di Stato al magistrato indagatore… giusto per capire a che livello siamo arrivati. E il Quirinale continua a non dar segni di vita.
A parte il déjà-vu, che in quanto tale già squalifica l’iniziativa della Procura di Roma nell’immaginario degli italiani, stiamo parlando di un atto che comunque non avrà nessuna conseguenza pratica, perché, a quanto pare, perfino in Italia un ministro non può andare a processo per atti politici avvenuti nell’esercizio delle sue funzioni, se prima non si esprime in merito il tribunale dei ministri o le Camere, dove la maggioranza è del Centrodestra. Ma, stavolta, i magistrati (che proprio non vogliono realizzare che la maggior parte degli italiani li ha ormai sulle palle), hanno commesso un errore psicologico: non hanno capito chi hanno di fronte! E sì, perché, se Berlusconi proveniente dalla media borghesia lombarda arretrò in buon ordine quando lo fecero politicamente fuori perché aveva una retrovia nella quale ritirarsi e attestarvisi, come Mediaset più un partito-azienda, la Giorgia nazionale non ha niente alle spalle se non una fedina penale pulita, una grande passione politica e un partito vero.
Tra l’altro, a differenza del Cavaliere, la premier proviene da una famiglia borgatara di sole donne della Garbatella (per questa origine è stata anche appellata come pesciarola dai suoi forbiti avversari) dove, dopo che il padre abbandonò la famiglia, per mantenersi agli studi fino al diploma fece perfino la baby-sitter. Entrò, a soli quindici anni, nelle organizzazioni giovanili del Movimento Sociale Italiano, un partito del quale seguì le diverse trasformazioni e, infine, nonostante la forte concorrenza di genere, ne ha scalato il vertice diventando la presidente dell’ultimo presidio della Destra nel nostro Paese: Fratelli d’Italia.
Dopo aver seguito una coerente linea politica, Giorgia Meloni si è guadagnata nelle urne il diritto di guidare il Paese, cosa che sta facendo egregiamente in Italia e nei rapporti internazionali, diventando anche uno dei personaggi più affidabili della politica globale. Ecco, una donna così è abituata alla lotta, anzi talvolta sembra perfino cercarla: soggetti con tali stimmate caratteriali, se messi alle strette, si comportano come tigri ferite e lottano fino alla fine, con ogni mezzo messo loro a disposizione dalla Costituzione, quella che i magistrati nelle loro sceneggiate invocano, sbandierano ma non leggono.
Crediamo, pertanto, che anche nel caso di ingarbugliamento della matassa, Giorgia Meloni deciderebbe di cadere in Parlamento col voto, in modo da far imprimere nella mente degli italiani il nome degli eventuali venduti, traditori e ignavi, una rivelazione che per lei si tramuterebbe in una inarrestabile valanga di consensi che, stando alle intenzioni di voto dei nostri connazionali, è già al 41% per il governo e al 42% per lei. (Fonte: Istituto Ipsos del 27.1.2025). Come dire che, a meno di un ben orchestrato golpe con la complicità del Quirinale e di Forza Italia (non sarebbe la prima volta…), stavolta la Magistratura non riuscirà a intimidire facilmente questa piccola, grande donna che non ha aziende da difendere – le uniche cose che, in fondo, interessavano al suo predecessore Berlusconi – ma soltanto qualcosa di inarrestabile e di grandioso: un progetto politico di ampio respiro per il Paese che intende portare caparbiamente avanti. Perché la piccoletta è anche caparbia per chi non lo avesse ancora capito. E, se riuscirà nel suo intento, immaginiamo che avrà la gratitudine della maggior parte degli italiani. Invece, la Magistratura, la Sinistra piazzaiola che – ultima trovata – vuol disertare il Parlamento per protesta, e i media amici soltanto qualche uffa e, temiamo per loro, tanti vaffanculo. Lo temiamo sinceramente perché a noi che amiamo l’Italia dispiace il deterioramento delle istituzioni e la squalifica dei loro rappresentanti. E al Quirinale?
Copertina di Donato Tesauro
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