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Perché Giorgia Meloni se la può ridere beatamente

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la Meloni
Coloro che, per sminuire la figura e l’ascesa della premier, pensarono bene di destinarle appellativi, per citare soltanto quelli più citabili, come pesciaiola e coatta della Garbatella, non capirono (e continuano a non capirlo) che con il loro modo di fare stavano incoronando la regina dei ceti popolari italiani

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Dal 2016 a oggi, nel Regno Unito, sono cambiati ben cinque primi ministri conservatori e ognuno di essi ha fatto sempre peggio del predecessore, raggiungendo un autentico record con Liz Truss che, per la sua patente incompetenza, fu costretta a dimettersi dopo appena 39 giorni di permanenza al numero 10 di Dowing Street. Oddio, neppure l’attuale premier laburista Keir Starmer sembra possedere quelle qualità che fanno di un primo ministro un ricordevole statista. In appena centocinquanta giorni è riuscito ad imporre tasse per 41 miliardi di sterline a fronte di una spesa pubblica che, essendo incentrata prevalentemente su sanità e giustizia, penalizzerà i ceti medio-alti. Insomma, dopo averlo appena eletto alla guida del Paese, molti inglesi oggi butterebbero volentieri Starmer dalle scogliere di Dover.

Le cose non vanno meglio in Germania dove il cancelliere Olaf Scholz, dopo aver messo insieme una bomba a tempo come un governo che intruppa Socialdemocratici, Verdi (fanatici paladini del verbo green) e Liberali (fautori di una politica economica e industriale pragmatica), in tre anni ha portato avanti una disastrosa politica economica ed estera tant’è che oggi la Germania è in recessione, le fabbriche automobilistiche chiudono e il governo del Paese è sfiduciato dai suoi stessi componenti e, a quanto sembra, presto lo sarà anche dagli elettori. Senza parlare del fatto che Scholz sull’aggressione russa all’Ucraina, nel giro di alcuni mesi, si è trasformato da colomba in falco. Sicché, un cancelliere “zombizzato” e senza prospettiva tirerà avanti fino alle elezioni politiche che si terranno il prossimo mese di febbraio, quando si prevede che nelle urne prenderà una mazzata memorabile dalle destre avanzanti.

Peggio ancora la situazione in Francia dove il presidente Macron, dopo la batosta presa dal suo partito Renaissance/La République En Marche nelle ultime elezioni europee, ha avuto la bella pensata d’indire elezioni politiche anticipate con l’intento di ridimensionare  la Destra del Rassemblement Nazionale di Marine Le Pen e le Sinistre de La France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon, con il risultato che,  ancora una volta, è stato stracciato  nelle urne dove il suo partito ha ottenuto un deprimente terzo piazzamento. A quel punto l’inquilino dell’Eliseo ha avuto un’altra idea geniale: la nomina di un premier centrista (cioè appartenente al partito che ha perso le elezioni…), Michel Barnier, contando sulla compiacenza indovinate di chi? Ma di Marine Le Pen e di Jean-Luc Mélenchon ovviamente, cioè di coloro che volevano e vogliono la sua testa. Come dire che la caduta di Barnier era scritta nelle stelle, salvo poi le president andare in televisione a dire ai francesi che «La responsabilità della caduta del governo Barnier e della mancata manovra, non è mia, ma del parlamento». Un gentiluomo e un autentico cuor di leone questo Macron, non v’è che dire! Ma vediamo quale altro pasticciaccio farà nel sostituire il centrista Barnier con un socialista.

A parte il fango e le bastonate non metaforiche ricevute dagli alluvionati di Paiporta nel valenciano, pare che non stia tanto bene neppure il compañero premier spagnolo, Pedro Sanchez, anche lui tallonato dalle destre di casa e da qualche scandalo riguardante la consorte.

Cosa hanno in comune questi premier in difficoltà nonostante i prestigiosi curricula? Come mai loro che provengono dalla ruling class inglese come Keir Starmer, o sono figli di papà provenienti dall’École nationale d’administration e dalla banca d’affari Rothschild, come Macron, o dalle stanze del sottopotere dell’Unione Europea come Sanchez e Scholz, sono destinati a un rapido tramonto mentre una popolana della Garbatella, senza neppure la laurea, è l’unico premier saldo al potere nell’Europa che conta? E questo nonostante una modesta squadra di governo e l’handicap di avere contro il pensiero dominante, il caravanserraglio della sinistra, una parte piuttosto significativa della magistratura e i media più importanti. Ma facciamo un passettino indietro prima di arrivare a quella che secondo noi è la risposta agli interrogativi di cui sopra, una risposta che riteniamo si trovi nel cursus honorum di Giorgia Meloni, che è ben diverso da quello patinato dei suoi colleghi europei, a partire dall’età di quindici anni, quando aderì all’organizzazione giovanile del Movimento Sociale Italiano, il “Fronte della Gioventù”.

Ebbene, da quel momento la Meloni ha iniziato un percorso politico lungo trentadue anni che l’ha portata a scalare, anno dopo anno, tutta la gerarchia partitica e degli incarichi ministeriali, grazie a una liaison con i ceti popolari, la cosiddetta destra sociale, che non le hanno fatto mai mancare il sostegno, anche perché, essendo una di loro, ne capisce e ne parla il linguaggio, ne conosce le esigenze e sa cosa vogliono. Insomma, mentre i suoi avversari si davano da fare con le armocromiste a trecento euro l’ora, con la salvaguardia di male usati sederi, con termini come presidenta, avvocata e cessi gender, lei parlava di sicurezza, d’immigrazione, di poti di lavoro, di tasse, di sanità e di buste paga. Poveri sciocchi coloro che in Italia, per sminuirne la figura e l’ascesa, pensarono bene di destinarle appellativi, per citare soltanto quelli più citabili, come pesciaiola e coatta della Garbatella, senza capire ciò che stavano facendo: stavano incoronando la Meloni come regina dei ceti popolari! Che la leader di un partito di destra assurga a vindice dei ceti popolari è di per sè un paradosso in termini teorici, in pratica fotografa l’insussitenza delle sinistre avvitate, ormai, sull’esasperazione del dirittismo invece che sui problemi sociali.

La vita e la carriera politica di Giorgia Meloni, evidentemente, sono state molto diverse da quelle dei premier e leader due punto zero, o della milionaria che gioca a fare la capa dei centri sociali, Elly Schlein, oppure ancora dei rampolli dei poteri forti sovrannazionali, come i capi dei maggiori Paesi dell’Unione Europea. Per costoro il “popolo” è un diagramma, un dato statistico, mica ne conoscono il linguaggio, le fatiche, il sudore e le aspirazioni: nella migliore delle ipotesi per loro il popolo è una tendenza di voto. E d’altronde un proletario vero essi da vicino non l’hanno mai visto, perchè hanno studiato negli istituti più esclusivi, hanno lavorato nelle banche più prestigiose, mica hanno mai vissuto tra quel popolo lavoratore che spesso pranza con un panino e una birra. Sicché, quando la Meloni si confronta su qualsiasi dossier, loro hanno alle spalle le élite e tanta teoria mentre lei ha quel popolo, che poi lo stesso che va materialmente a depositare il voto nelle urne e la elegge. Alla Meloni si può fare qualsiasi critica, alcune promesse elettorali il suo governo le deve ancora realizzare, ma una cosa è certa: è un personaggio “vero” al cui cospetto i leaderini eurpei e quelli casalinghi sembrano pulcini nella stoppa.

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