Per nostra fortuna i cani non sanno scrivere
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Un aforisma al giorno toglie il medico di torno
L’epigrafe, che il poeta inglese Byron aveva fatto incidere sulla teca che racchiudeva i resti del suo cane Boatswain, oltre a essere in assoluto il più bel pensiero che un essere umano abbia mai dedicato a un animale, ci consente anche di tornare su di un argomento sul quale noi ci soffermiamo spesso: l’errato rapporto che, in generale, hanno gli esseri umani con i loro cani.
Oggi i cani nel nostro Paese sono all’incirca quattordici milioni e, per quanto bisognevoli di vasti spazi, il più delle volte vivono in appartamenti di pochi metri quadrati, con un chip nel sottocute, nutriti con “cibo bilanciato” e quasi sempre costretti a subire il supplizio della castrazione.
A riguardo di questa complessa creatura è appena il caso di ricordare ciò che scrisse il naturalista svedese Linneo: «Il cane mangia carne, animali morti, sostanze vegetali, farinacei. Digerisce le ossa; si purga rigettando dopo aver mangiato erba […] È docile, capace di cercare oggetti perduti, di fare la guardia, di annunciare l’arrivo dei forestieri, di badare al bestiame e ai campi, di proteggere buoi e pecore dalle fiere, di scovare la selvaggina, di strisciare, di portare la preda al cacciatore senza mangiarla».
Dalle parole di Linneo capiamo, a chiare lettere, che il cane non è un animale da appartamento. E non dobbiamo lasciarci fuorviare dal convincimento che, giacché egli vive a contatto con l’uomo, i loro modi di vivere siano perfettamente sovrapponibili, perché ogni essere vivente ha il desiderio, l’insopprimibile esigenza di vivere secondo la propria natura: l’uomo da uomo e il cane da cane.
E, invece, molte persone, per affetto o anche per egoismo, tendono a “umanizzare” il cane (ma anche il gatto che, però, essendo un animale scettico non ci prende sul serio e se la vive come vuole), non capendo che così facendo vanno contro l’ordine naturale delle cose. A questo punto cerchiamo d’inquadrare il problema a parti invertite, domandandoci che cosa scriverebbero sulla nostra tomba, se potessero farlo, i cani che abbiamo allevato, anche se un’idea a riguardo ce la siamo fatta: «Qui riposano i resti di una creatura che fu vanitosa senza curarsi di essere anche bella dentro, litigiosa senza essere coraggiosa, ed ebbe tutti i difetti che hanno gli esseri umani senza possedere le virtù del cane. E tuttavia l’ho tanto amata».
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