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Napoli nostra pazzia

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È pazzo anche il vecchio venditore ambulante di libri usati che, ogni mattina, piazza la sua bancarella sulle ruote davanti all’Università di corso Umberto I, convinto che tutti i giovani che frequentano l’ateneo siano in grado di leggere compiutamente un libro

– La redazione –

Dopo quella dei falsi ciechi sparsi, in verità, in tutta Italia da Nord a Sud, qualche anno fa a Napoli è venuta fuori la truffa dei finti pazzi. Infatti, parrebbe che la più alta panoramic-3109389_960_720concentrazione di sofferenti mentali d’Italia si rilevi nella zona del Pallonetto di Santa Lucia, quartiere notoriamente poco raccomandabile del capoluogo partenopeo. Se come sostenevano i padri latini il destino degli uomini è nel nome che essi portano, possiamo anche affermare che il destino di una città è nelle malattie che la affliggono.

Infatti, se è abbastanza logico che i milanesi si ammalino ai polmoni a causa dello smog, i veneziani di artrite deformante per l’umidità e i bolognesi di fegato per l’eccessivo consumo di Sangiovese, la malattia dei finti invalidi napoletani non poteva che essere la pazzia, perché a Napoli – in fondo – sono tutti pazzi. Non ci credete?

È pazzo il sindaco che, prima di essere eletto, dichiarò di voler fare di Napoli una città perbene, proponendosi, in pratica, di far da sindaco ciò che non era riuscito a fare da magistrato: eliminare la delinquenza e il malaffare a tutti i livelli. Il sindaco è, però, in buona compagnia.

È pazzo anche il vecchio venditore ambulante di libri usati che, ogni mattina, piazza la sua bancarella sulle ruote davanti all’Università di corso Umberto I, convinto che tutti quelli che frequentano l’ateneo siano in grado di leggere compiutamente un libro.

E come non dubitare della sanità mentale di quei disoccupati i quali – fiduciosi –  vanno Siamo_pazzi_arrendeteviad iscriversi al collocamento, o di quei giovani che si dedicano alla politica con il sincero intento di contribuire a cambiare le cose nella loro città dove negli ultimi 2500 anni l’unica cosa che è mutata è stato il nome della camorra: migliaia di anni fa, infatti, si chiamava fratria.

Nella città della sirena Partenope, che si lasciò morire perché pazza d’amore per Ulisse, anche il savio diventa pazzo quando si ferma al capolinea di piazza Garibaldi per chiedere a che ora parte la corriera e si sente rispondere dal serafico conducente: «Saglìte che ce ne jammo mò, mò».

Non inclina alla buona salute mentale neppure il netturbino comunale (stanco) che pretende di pulire i viali della Villa Comunale con la scopetta che usano le casalinghe per ramazzare il pavimento di casa.

Il sole, poi, è l’indiscusso sovrano della pazzia di Napoli perché – nonostante tutto – si ostina a risplendervi per 265 giorni l’anno, riflettendosi languidamente in un mare che fin dall’inizio del mondo risacca sospirando lungo il litorale che va da Punta Campanella al Capo di Posillipo.

È proprio dai sospiri che, in fondo, nascono le vere malattie di Napoli, quei sospiri di rassegnazione che non riescono a tramutarsi in urla di ribellione. Ma forse siamo pazzi anche noi che, sebbene lontani da anni, continuiamo disperatamente ad amarla.

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