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Miriam Diez Dago, un ingegnere tra calcoli, amore e arte

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Miriam Diez Dago
Anche se il mare che bagna la sua città natale non è il Mediterraneo ma l’Atlantico, Miriam Diez Dago è portatrice di una visione esistenziale mediterranea, perché in qualche modo, magari inconsapevolmente, tesa a riannodare quel legame culturale che unisce le popolazioni campane alla Spagna fin dai tempi del Vicereame

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La Spagna si compone di 17 regioni amministrative, ognuna con tradizioni proprie. Poi v’è Gijón, una turgida città delle Asturie che affaccia sul Golfo di Biscaglia, quasi un universo a sé e per molte ragioni. Infatti, oltre a essere all’avanguardia in campo cantieristico, economico, industriale e artigianale, ha dato i natali a Don Pelayo di Fafila, l’antesignano della Reconquista spagnola, più il fatto di essere stata culla di grandi artisti come Evaristo Valle e Nicanor Pedro Piñole Vicente Rodriguez. Ed è soprattutto grazie all’impronta artistica lasciata da loro se la città di re Pelayo è sede di un cenacolo post-impressionista, noto come “Scuola di Gijón”.

Venendo a noi, che spagnoli proprio non siamo, ci domandiamo che cosa unisce la città di Aversa, o meglio Gricignano d’Aversa, a Gijón. Potremmo sbrigativamente ed elegiacamente rispondere che a unirle è l’arte e l’amore, ma così facendo non renderemmo onore né all’arte, né alla poesia dell’amore. E sì, perché la cerniera, che ha unito le due città, ha il viso di una giovane asturiana di nome Miriam Diez Dago da Gijón, un ingegnere elettrico che lavora per una nota azienda multinazionale, la Prysmian Group, con diverse diramazioni e sedi in Italia e all’estero.

L’incontro fatale col suo “lui” per Miriam avvenne nella sede aziendale di Pignataro Maggiore, nel casertano, dove, dopo un’algida conoscenza, se non proprio un sentimento di reciproca antipatia, s’innamorò (corrisposta) di un altro ingegnere, che per motivi di privacy chiameremo soltanto Raffaele, e insieme andarono a vivere in quel di Gricignano, appunto alle porte di Aversa.

Ma la neo-coppia era troppo giovane per accontentarsi di condurre una piatta vita privata, soprattutto perché Miriam, che parla quattro lingue, aveva interagito fin dalla nascita con gli straordinari stimoli artistici e culturali della sua città natale quali, per citarne alcuni, l’appuntamento annuale di letteratura internazionale, la Settimana nera di Gijón e il Salone del libro – libero americano, che un tempo fu diretto anche dall’esule scrittore cileno Luis Sepùlveda.

Sicché, anche se il mare che bagna la sua città non è il Mediterraneo ma l’Atlantico, Miriam è riuscita a portare a Gricignano d’Aversa una prospettiva esistenziale che potremmo definire “mediterranea”, perché inconsapevolmente votata a riannodare quel legame culturale e artistico che unisce il sentire delle popolazioni campane a quello degli spagnoli, fin dai tempi del Vicereame di Napoli.

Chi seppe intravedere fin da subito le sue potenzialità artistiche fu Raffaele, che pensò bene d’indirizzare Miriam verso il laboratorio del maestro aversano Carlo Cordua, un pittore di fama internazionale e considerato uno dei più grandi pastellisti napoletani viventi. E bene fece, perché sotto la guida di cotanto maestro, el ingeniero si è disvelata una pittrice di qualità e dalle multiformi sfaccettature. Oddio, le opere da lei fin qui prodotte sono soltanto tre, un numero che di certo non ci consente di assegnarla a un genere o una corrente… ma poi è così importante comprimere in un cliché le espressioni artistiche di una pittrice esordiente? Secondo noi no, perché lo stile di un’artista è l’addizione figurativa delle sue emozioni ed esperienze e, pertanto, non dovrebbe seguire schemi prefissati dal momento che i trasalimenti emozionali sono tanto rapidi quanto mutevoli.

Poco innanzi abbiamo detto che le opere fin qui prodotte da Miriam Diez Dago sono soltanto tre (quelle che la grafica ha inserito nella copertina), ma è il caso di accennare a come e perché è nata ognuna di esse. Il quadro della donna col cappello rosso calato sugli occhi è un acrilico 40×30 titolato “Olvido”, dedicato a una persona cara molto importante per la sua formazione artistica e venuta troppo presto a mancare: il cappello calato sugli occhi è il rifiuto di vedere la verità, di fare i conti col dolore del distacco.

Il fiore, invece, è un acrilico 60×50, titolato “Ricominciare”, ovvero rinascere alle lusinghe dell’amore dopo una parentesi sentimentale negativa. E, infine, v’è “El cansancio del atardecer”, un altro acrilico 40×30, raffigurante una donna che potrebbe essere africana ma anche latino-americana la quale, dopo una giornata d’intenso lavoro, rientra nel suo villaggio, nella sua capanna per farsi bella e lasciare così l’altra parte di sé, la più travagliata, fuori dalla capanna. Ecco, è proprio per questa capacità introspettiva che noi riteniamo Miriam Diez Dago un’esordiente votata a sicura fortuna. D’altronde in Italia abbiamo avuto ingegneri che sono diventati famosi poeti e scrittori, perciò non ci sorprenderemmo se a breve un altro ingegnere dovesse diventare una rinomata pittrice o – come ha vaticinato la collega giornalista Patrizia Kopsch – la Frida Kahalo del nuovo millennio.

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