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Mameli era un chierichetto, altro che inno divisivo!

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Mameli
Chissà perché tutti quelli che si dichiarano di Sinistra hanno poi il portafoglio a destra perché, come l’attore Luca Marinelli, che prima ha interpretato per soldi Benito Mussolini sullo schermo e poi è venuto a piagnucolare per la sofferenza che avrebbe provato a fingere di essere “lui”, anche la signorina Francamente si sarà fatta pagare per eseguire l’Inno di Mameli a suo dire divisivo

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Si racconta che il barbuto poeta Giosuè Carducci ritenesse che la principale prerogativa degli imbecilli fosse quella di far domande appunto imbecilli che, però, hanno il potere di togliere il sonno. A riguardo il tosco poeta riferiva di quando un suo conoscente, che non brillava per intelligenza e originalità, gli chiese se dormisse con la fluente barba sopra o sotto la coperta, egli trascorse parecchie notti insonni per accertarsene.

Questo aneddoto per introdurre il fatto che, pur avendo trascorso quasi mezzo secolo della mia vita a cantare l’Inno di Mameli ogni mattina all’alzabandiera, non mi ero mai posto il problema che questo potesse essere divisivo se non fosse intervenuta l’imbecille di turno, tale Francesca Siano che mi dicono faccia la cantante con lo pseudonimo di Francamente, un avverbio. Ebbene, chiamata a cantare l’inno di Mameli alla finale della Coppa Italia di Volley femminile, tenutosi lo scorso 10 febbraio a Casalecchio di Reno, costei, che si definisce una donna queer qualsiasi cosa ciò significhi, prima si è esibita e poi è corsa sui social a postare un video nel quale annunciava di aver pensato di cambiare il testo del nostro Inno perché, a suo dire, non sarebbe inclusivo.

Questa la sintesi del suo pensiero a riguardo: «L’Italia si riconosce in un tricolore anacronistico, quando viene scritto l’Inno di Mameli si pensa a unificare diversi Stati sotto un’unica bandiera. Bene, noi questa bandiera ce l’abbiamo da tantissimo tempo e penso che oggi l’obiettivo dovrebbe essere quello di unificarsi sotto una bandiera di pace e inclusività […] Le persone queer, transessuali o non binarie esistono, e non sono cittadini, cittadine di serie B, ma hanno pari doveri e soprattutto diritti di ogni italiano e italiana». Ma chi, in questo fin troppo tollerante Paese, ha mai pensato di nuocere ai diritti di qualcuno? Che cosa c’entra questo con l’Inno? E, poi, sono già anni, ormai, che all’ombra della bandiera italiana gli unici diritti in pericolo sono quelli delle persone perbene.

Intanto, dobbiamo osservare a latere che tutti quelli che si dichiarano di Sinistra hanno poi  il portafoglio a destra perché, come l’attore Luca Marinelli, che prima ha interpretato per lo stipendio Benito Mussolini sullo schermo e poi è venuto ad ammosciarci la uallera per la sofferenza che avrebbe provato a fingere di essere “lui”, anche la signorina Francamente si sarà fatta pagare per eseguire l’Inno a suo dire divisivo: scusate, ma se voi artisti di Sinistra avete lo stomaco così delicato, perché non rinunciate alla notorietà e ai soldi che certi ruoli procurano invece di chiagnere e fottere?  

A questo punto, per quanto riteniamo sia del tutto inutile dal punto di vista pedagogico, a riprova delle stupidaggini dette dalla suddetta signorina-avverbio vorremmo fare un agile ripassino sulla storia della nostra Bandiera e sull’Inno Nazionale da lei tirati inopinatamente in causa. Intanto bisogna dire che, contrariamente a quanto narra la storia ufficiale che la fa nascere a Reggio Emilia il 7 gennaio del 1797, in realtà la nostra Bandiera nacque un anno prima di quella data e fu un dono di Napoleone Bonaparte che, alle ore cinque pomeridiane del 6 novembre 1796, in piazza Duomo a Milano, consegnò alla Legione Lombarda della Repubblica Transpadana quello che sarebbe poi diventato il nostro emblema nazionale, un vessillo che era una chiara derivazione del tricolore dalla Rivoluzione Francese (fonte: Ufficio Storico dello Stato Maggiore Esercito “Due secoli di tricolore” di Oreste Bovio).

Ciò posto le domande che vorremmo porre alla signorina Francamente sono tre: può non essere convintamente unificante e rispettoso dei diritti di tutti un vessillo che è figlio della triade rivoluzionaria Liberté, Égalité, Fraternité? Come fa ad essere divisivo il testo di un Inno scritto da un ragazzo cattolico di vent’anni, un repubblicano con la testa piena di sogni, di spirito evangelico e di ardore patriottico? La signorina Francamente se lo era letto il testo prima di criticarlo? Lo avesse fatto, si sarebbe evitata una figura da stronzettina saccente perché si sarebbe accorta – perfino lei! – che, in alcuni punti, il testo è così inclusivo che sembra essere stato scritto per gli oranti seminaristi di Sant’Antonio da Padova: “Uniamoci, amiamoci/ l’Unione, e l’amore/ Rivelano ai Popoli/ Le vie del Signore…”. Non sappiamo quanto vale come cantante la signorina Francamente, certo è che di storia italiana non ne sa un ca… volo.

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