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Le intenzioni di Trump…

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Tycoon
Oggi, anche se la politica fatica a capirlo, non c’è più spazio per le filosofie e i dogmi, se non nei congressi e nei dibattiti televisivi, se vogliamo porci utilmente di fronte alle sfide lanciate dal neo presidente Usa. Per negoziare con lui ci vogliono persone che lui rispetti, che capiscano il suo linguaggio e che da lui siano capaci di farsi capire. Di persone con queste caratteristiche ne vediamo soltanto due all’orizzonte

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Qualche giorno fa, il Segretario della Difesa degli Stati Uniti, Pete Hehseth, ha detto senza giri di parole che il presidente Trump non permetterà a nessuno di trasformare lo Zio Sam nello Zio Zuccherino (alias rimbambito) come era avvenuto sotto l’amministrazione Biden. Le parole di Hehseth, in un certo senso, anzi in tutti i sensi, sono state, anche prima di quelle di Vance, il definitivo benservito alle illusioni dell’UE e della NATO sul fatto che il Tycoon americano, nei loro confronti, non avrebbe dato letterale applicazione alla nuova politica daziaria e al restringimento dei cordoni della borsa in merito alle spese dell’alleanza militare, come aveva promesso in campagna elettorale. Infatti, a partire dal prossimo 2 aprile gli Stati Uniti applicheranno dazi del 25% sulle importazioni di acciaio e di alluminio provenienti dall’Unione Europea e, prima o poi, pretenderanno che tutti i Paesi aderenti all’Alleanza Atlantica spendano intorno al 5% del loro Pil per la difesa militare comune, invece di continuare a contare esclusivamente su di loro.

In verità, le serrate richieste del nuovo inquilino della Casa Bianca non sono così cervellotiche come sembra, posto anche che i dollari derivanti dal gettito daziario e dalla diminuzione del contributo americano alla NATO sono di primaria importanza, perché gli consentirebbero di tagliare le tasse che è il sogno di ogni presidente repubblicano. Tuttavia, a voler guardare le cose in modo superficiale, come inclina a fare il mainstream europeo, si coglierebbe una contraddizione in tali richieste perché, se da un lato gli USA spingono gli alleati europei ad armarsi meglio in funzione prevalentemente antirussa, dall’altro lato allacciano contatti ufficiali proprio con i russi per arrivare in qualche modo, e al più presto, alla pace in Ucraina, escludendo per adesso l’Europa ed accettando con sufficienza la partecipazione del diretto interessato: Zelensky.

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Ma se vogliamo essere intellettualmente onesti, dobbiamo dire che la contraddizione americana s’innesta su di una grande disonestà europea, perché mentre gli USA si svenavano per sostenere la NATO, molti dei Paesi aderenti a questa alleanza, in primis la Germania, arricchivano Mosca acquistando massicciamente il suo gas. Sicché, lo sganassone che, come vedremo più avanti, il vice presidente Vance ha mollato agli alleati europei nel corso della disastrosa conferenza di Monaco è stato duro ma anche motivato. Il risvolto positivo del suo gesto è che in un modo o nell’altro costringerà gli europei a guardarsi dentro e fare, finalmente, delle nette scelte di campo, senza per questo abbandonare il metodo della negoziazione che in politica è fondamentale.

In una certa misura è rassicurante il fatto che, come si faceva ai tempi dei blocchi e della guerra fredda, ogni atteggiamento aperturista della Russia o della Cina viene bilanciato da uno minaccioso degli americani, e viceversa. Insomma, è il ritorno alla politica del bastone e della carota che, sapientemente applicata, ha evitato fino ad oggi la III Guerra Mondiale, anche se l’Europa occidentale fa fatica a ricordarlo. Ebbene, muovendosi in questo perimetro di pensiero, nel corso di un’intervista al Wall Street Journal, il vice presidente americano, James David Vance, non ha escluso (per la tranquillità di Zelensky…) l’invio di truppe americane a difesa dell’Ucraina se la Russia non dovesse negoziare la pace in buonafede e, come dal surriferito rituale, il Cremlino ha subito chiesto spiegazioni a riguardo. Ma v’è da scommettere che i contatti stiano comunque proseguendo con discrezione, visto che una delegazione russo-americana s’incontrerà già domani in Arabia Saudita, un Paese che odia la teocrazia iraniana e che, a sua volta, è amica di uno degli ospiti, ovvero di Putin. Altra contraddizione? È da millenni che la politica del mondo si costruisce sulle contraddizioni!

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Ovviamente il presidente cinese Xi Jinping si è detto favorevole all’abboccamento russo-americano sull’Ucraina e la ragione, a nostro avviso, è chiara: pensa di poter soppiantare l’Europa in un futuro, inedito trilateralismo. D’altronde, quale che sarà l’esito dei colloqui russo-americani sull’Ucraina, Putin uscirà fortemente ridimensionato da una guerra che non è riuscito a vincere e nella quale era entrato da invincibile duce, per uscirne oggi vassallo della Cina. Capito come si sta rimettendo in moto la politica globale mentre in Italia la Sinistra è occupata a polemizzare sulle canzonette di Sanremo? Evidentemente non è ancora chiaro a tutti quanto sia scarso il peso dell’Unione Europea, che pure rappresenta all’incirca mezzo miliardo di persone ed è la terza economia mondiale. Ciò perché la sinistra europea che fa il bello e il cattivo tempo a Bruxelles, al cospetto delle sfide poste dalla società globale, non ha saputo proporsi come alternativa vincente alla ormai sbiadita utopia americana, lasciandosi trascinare nella stagione dell’astrattismo politico e producendosi in un crescendo amore-odio verso l’America. Eppure, nei confronti degli amici stellati, l’Europa avrebbe milioni di ragioni per esser loro riconoscenti, come ha rilevato Vance a Monaco prendendo letteralmente a pesci in faccia i leader europei con un discorso chiaro e diretto, che trova compendio in una frase molto americana ma efficace: «In città è arrivato un nuovo sceriffo». Si riferiva, ovviamente, a Trump del quale egli si ritiene il vice sceriffo.

Se non fosse che ci viviamo, verrebbe da dire che l’Unione Europea se la merita la marginalizzazione politica e militare che è alle viste se non torna con i piedi per terra, perché, mentre tutto quanto sopra si andava apparecchiando, nonostante le avvisaglie di profondo rigetto della vecchia politica da parte di fasce sempre più ampie di elettori europei, essa ha continuato a fare il contrario di quanto gli elettori chiedevano. Un esempio quel progetto folle per gli obiettivi, per i tempi di realizzo e per le sue nefaste conseguenze sull’industria europea, chiamato Green Deal. Tra una follia e l’altra l’Unione Europea si è anche data da fare per massacrare l’agricoltura continentale, ha favorito (sempre a nostre spese) l’immigrazione clandestina, si è spesa perfino per rendere legale il consumo di insetti e vermi con delle leggi ad hoc e per imporre   – mediante un fanatico politically correct – perfino pratiche traviatrici dell’eugenetica come facevano i nazisti, anche se con altri metodi. In breve, mentre la politica globale tornava ad affacciarsi nelle stanze del potere grazie agli elettori conservatori subito etichettati come sovranisti, l’Europa le chiudeva la porta in faccia occupandosi di minuzie da basso ceto impiegatizio.

Ma è su come l’Europa si accinge ad affrontare i dazi trumpiani e l’eventuale partecipazione alla trattativa per la pace in Ucraina che non sappiamo se ridere o piangere per lo sconforto. Sapete a chi è stata affidata la risposta politica dell’Unione ar puzzone della Casa Bianca? A due premier falliti, come dire il francese Macron e il tedesco Scholz: il primo, con un capolavoro di autocastrazione è riuscito a far imbastire un governo in Francia (dove è odiato a destra quanto a sinistra) soltanto grazie all’acquiescenza dei suoi avversari politici; il secondo tra pochi giorni nelle urne sarà spazzato via dalla scena politica tedesca per le conseguenze delle fallimentari scelte sul “Green Deal”, sull’economia e sull’immigrazione. Come dire che l’Europa vorrebbe impressionare il Tycoon mandandogli contro, alla meglio, Tartarin di Tarascona e il Barone di Münchhausen.

Tuttavia, dopo un altro impensabile cicchetto somministrato all’UE anche da un filo-trumpiano che non ti aspetti come Mario Draghi, che in una intervista rilasciata al Financial Times ha detto chiaramente che il problema dell’Europa non sono i dazi ma la sua frammentarietà, la presidente della commissione europea, Ursula von der Leyen, pare essersi convertita all’idea della dazione reciproca e a quella della scorporazione dei soldi per la difesa dal patto di stabilità, come da lungo tempo richiesto dal governo italiano. Chissà, forse anche la Baronessa tedesca, sta cominciando a realizzare che, nel bene e nel male, con Trump alla Casa Bianca si è messa in moto un’era che né l’UE e né la sinistra globale riusciranno più a fermare, perché i mutamenti epocali sono come l’acqua: puoi sbarrare le porte quanto vuoi, ma non la fermi perché passa di sotto. Ma a sinistra sono così stupidamente avvitati su se stessi che faranno fatica a comprendere che, quando non si riesce a fermare i cambiamenti, allora bisogna farseli amici in qualche modo: si chiama realpolitik.

Ebbene, dopo le chiarissime parole di Vance a Monaco, è stato ancora l’ex enfant prodige della politica francese, Macron, ad attivarsi organizzando un summit sull’Ucraina anche se non si capisce con quali obiettivi ed autorità.  Un incontro che fonti ufficiali dell’Eliseo hanno definito una “riunione informale” – cioè improvvisata – con i capi di governo di Italia, Germania, Gran Bretagna, Polonia, Olanda e Danimarca (alla quale brucia ancora il culo per le mire di Trump sulla Groenlandia), più il segretario generale della NATO e la presidente del consiglio europeo. E per decidere che cosa poi?  Dichiarare guerra agli USA perché non ci vogliono tra i piedi? In effetti all’Eliseo è finita così: sono state prese in esame (dalla quarta parte dei Paesi dell’Unione…) tutte le richieste di Trump facendo finta che sia stata una deliberazione dei (più) “grandi d’Europa”. Avendo condiviso le critiche che Vance ha mosso agli europei a Monaco, Giorgia Meloni ha, desumibilmente, partecipato alla riunione macroniana per dovere di firma, guarda caso qualche giorno dopo che la Francia ha dichiarato che appoggerà la linea dell’Italia sui migranti in Albania presso la Corte di Giustizia Europea… ma un eventuale do ut des non ci scandalizzerebbe perché anche questo sarebbe realpolitik.

La conclusione è che oggi non c’è più spazio per le filosofie politiche, se non nei congressi e nei dibattiti televisivi, per porsi utilmente di fronte alle sfide lanciate dall’America. Per trattare con Trump ci vogliono persone che lui rispetti, che capiscano il suo linguaggio e che da lui siano capaci di farsi capire. Di persone con queste caratteristiche ne vediamo soltanto due all’orizzonte che magari manco si piacciono ma, anche se non lo sanno, sospettiamo che siano in qualche maniera condannate ad operare di concerto nel prossimo futuro per il bene dell’Italia: Giorgia Meloni e Mario Draghi. Come dire la “pesciarola” ed il banchiere. E che cosa è il Tycoon americano se non un ircocervo un po’ pescivendolo e un po’ banchiere?

P.S. – È ancora forte la polemica tra il Quirinale e Mosca, innescata da una ragionata similitudine tra nazismo, Russia comunista e quella putiniana fatta da Sergio Mattarella – che non è proprio un ingenuo politico di primo pelo – all’università di Marsiglia lo scorso 5 febbraio. Dal punto di vista storico quanto affermato dal presidente è inconfutabile, come abbiamo già scritto esprimendogli la nostra solidarietà… ma era opportuno ribadirlo proprio nel momento in cui si comincia a parlare di pace in Europa?

(Copertina di Donato Tesauro)

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