Le ciminiere spente significano fame
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Il senatore di Rignano sull’Arno sarà pure antipatico a molti italiani però pone un problema reale e dannatamente serio, quello della ripresa produttiva che, vuoi per demagogia, vuoi per il timore di perdere consenso, il governo è ben lontano dall’aver messo in gestazione e lontanissimo dall’elaborazione di una strategia per affrontarlo a viso aperto, meno che mai un Parlamento che, nel momento iniziale della battaglia, non ha trovato di meglio da fare che chiudere i battenti e starsene a casa
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Stare, per pressante necessità, confinati in casa per lungo tempo, costringendoci a intrattenere i rapporti col mondo esterno soltanto attraverso il computer, la televisione e il telefonino, ci ha scaraventati in un frullatore mediatico dove girano vorticosamente notizie false, montante rabbia, povertà antiche e nuove, senso d’impotenza, frustrazioni e, vivaddio, anche buoni sentimenti.
Sicché dal frullatore virtuale sta uscendo un po’ di tutto, dagli schizzi di fango al mendacio organizzato, dall’incoscienza al rigore, dall’individualismo al sublime eroismo… non si vede venir fuori, però, ciò di cui abbiamo più bisogno in questi giorni: la capacità di discernimento. Se, infatti, tutti noi avessimo posseduto una tale facoltà in misura sufficiente, in questi giorni di tragedia collettiva dovremmo stare già a fare dei progetti di prospettiva esistenziale e politica perché il mondo, la nostra esistenza, non finiranno col coronavirus: abbiamo un futuro da organizzare per i nostri figli!
E, invece, sono ancora pochi coloro che riescono a sottrarsi alle suggestioni millenaristiche di questi giorni, e tra essi devo annoverare il politico più bistrattato di questi ultimi anni dagli italiani, Matteo Renzi. Questi, infatti, sostiene, e non ha paura di sostenerlo, che «Serve un piano per la riapertura e serve ora. Le fabbriche devono riaprire prima di Pasqua. Facciamo un’autocertificazione in meno e un tampone in più».
Il senatore di Rignano sull’Arno sarà pure antipatico a molti italiani però pone un problema reale e dannatamente serio, quello della ripresa produttiva che, vuoi per demagogia, vuoi per il timore di perdere consenso, il governo è ben lontano dall’aver messo in gestazione e lontanissimo dall’elaborazione di una strategia per affrontarlo in modo congruo e deciso, specialmente adesso che l’UE a trazione tedesca propende a sfilarsi da un’eventuale parcellizzazione degli oneri di spesa. Meno che mai il governo ha un articolato piano per il dopo-virus, né lo sta elaborando un Parlamento che, nel momento iniziale della battaglia di contenimento, non ha trovato di meglio da fare che chiudere i battenti e starsene a casa.
D’altronde è infantile pensare – come in molti pensano nelle istituzioni – che in un sistema produttivo integrato, anzi globalizzato, si possa bloccare una fabbrica senza bloccare anche tutte le altre, come dovrebbe avere insegnato la drammatica mancanza di mascherine e di dispositivi per la ventilazione polmonare assistita. Il governo, infatti, pare non essersi reso conto nella sua inutile collegialità che, se si ferma una fabbrica di fusi meccanici – che in questo momento parrebbero non indispensabili – si fermano le fabbriche di macchine per cucire, e se si fermano le macchine per cucire nessuno potrà produrre mascherine e camici. Stessa cosa avviene quando si fermano le fabbriche che producono dei semplici chip… senza chip non si possono produrre i dispositivi per la ventilazione polmonare assistita, la cui mancanza sta contribuendo all’ecatombe di questi giorni dei ricoverati in terapia intensiva. E la riprova di ciò è nel fatto che la Ferrari, che normalmente produce auto di lusso e quindi si poteva tener chiusa, probabilmente produrrà alcune parti dei ventilatori polmonari occorrenti in questo momento.
Molti di noi, in compagnia dei media che li odiano perché essi non rispondono ai loro cliché di politically correct e, anzi, vincono puntualmente le elezioni nonostante i loro nefasti vaticini, abbiamo affibbiato ogni tipo di epiteto al presidente americano Trump e al premier inglese Boris Johnson per la loro riottosità a voler bloccare il ciclo produttivo nei rispettivi Paesi, nonostante ciò accrescesse le possibilità di contagio da coronavirus per i loro connazionali. Nessuno, però, si è chiesto il perché della loro riottosità dal momento che essi sono tutt’altro che stupidi. Trump poi, il folklorico populista dalla testa vuota secondo alcuni, in questo momento si sta addirittura “riprendendo” l’Europa grazie all’asse economico USA – Francia – Italia – Regno Unito (addio via della seta di Grillo e Di Maio?) e non è escluso che si aggreghino altri Paesi del Sud Europa.
Eppure il deriso Trump è stato il primo a cogliere i pericoli insiti nel blocco dei mezzi di produzione: «Se dipendesse dai dottori loro direbbero, teniamo tutto chiuso, chiudiamo il mondo intero, ma non si può fare una cosa del genere ad un Paese, soprattutto il numero uno dell’economia mondiale, provocherebbe problemi più grandi dell’originale». Sì, perché alla fine il vero pericolo è proprio quello del blocco della produzione ad oltranza evocato, e poi in parte attuato, dal presidente USA, a fronte anche del fatto che la Cina ha già incominciato ad aprire le sue fabbriche e tra poco inonderà il mercato mondiale di prodotti a basso costo, che daranno il colpo di grazia alle aziende scampate al Covid -19 e che, anche per questa ragione, saranno costrette a licenziare, aggiungendo dei disoccupati ai disperati o, se credete, disperati nuovi a quelli vecchi.
Che cosa si voglia noi dire è in alcuni fatti di cronaca. Lunedì scorso un commando, sulla statale 96 tra Sannicandro e Bari, ha sequestrato e svuotato, non un furgone porta valori, bensì un autoarticolato carico di generi alimentari. Gruppi sempre più numerosi di persone vanno al supermercato per rifornirsi di cose da mangiare e, quando arrivano alla cassa, dichiarano semplicemente di non avere i soldi per pagare. I vicoli di Napoli, Bari e Palermo sono in agitazione controllata perché, languendo qualsiasi attività, soprattutto quelle in nero, e quindi senza nessuna tutela sindacale, la gente dei “bassi” sente avvicinarsi sempre più il reale spettro della fame. Molte di tali persone, tra l’altro, in questo momento stanno ricevendo “sussidi” dalla camorra e dalla mafia che – ed è tutto dire! – per loro sono molto più efficaci del governo. Sicché, se continueremo a bloccare la maggior parte delle attività produttive del Paese, se continueremo a tenere sessanta milioni di italiani chiusi in casa, a breve il governo dovrà prepararsi a gestire anche le piazze in fermento aizzate da mafia e camorra, specialmente al Sud. Chi sta, dunque, soffiando indirettamente sul fuoco della protesta sociale con i suoi ritardi non è, come sostiene Stachanov-Travaglio, il Centrodestra ma lo stesso governo che, bisogna riconoscerlo, si trova con molti fronti aperti ma con scarse munizioni a disposizione.
Perciò, e torniamo da dove siamo partiti, è ingeneroso dare addosso a Trump, a Johnson oppure a Renzi soltanto perché, prima degli altri, si sono posti un ineludibile interrogativo: in un momento storico così imprevedibile e pesante, i governi, i popoli, devono acconciarsi a correre qualche sia pur minimo rischio nel ripristinare gradualmente le attività produttive, e gestire al meglio le derivanti risorse, oppure gestire la fame e i sommovimenti sociali che ne deriverebbero? Perché poi alla fine la scelta sarà per tutti questa.
Tanto vale, allora, affrontare subito il problema come ha fatto Matteo Renzi al quale, dobbiamo ammetterlo perfino noi che non lo abbiamo apprezzato molto in passato, il coraggio non manca.