La Resistenza, troppo importante per lasciarla nelle mani dell’ANPI
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È stato un errore lasciare il patrimonio ideale della Resistenza soltanto nelle mani dell’ANPI, che in tutti questi anni non ha fatto altro che contrapporla ad un fascismo che non c’è più o al nemico che si sceglie di volta in volta, peraltro anche con iniziative offensive e grottesche come quando, il 25 aprile dell’anno scorso a Milano, ha contestato i rappresentanti della Brigata Ebraica che, al contrario di molti antifascisti dell’ultima ora, si era battuta contro i nazisti fino a Berlino, coccolando invece quei rappresentanti dei palestinesi i cui nonni avevano militato nelle SS naziste
– Enzo Ciaraffa –
Ieri, il giorno in cui si è celebrata la Resistenza, mi sono volutamente astenuto da ogni tipo di commento al precipuo scopo di non trovarmi intruppato, neppure per sbaglio, con i nostalgici delle Brigate Nere tantomeno con quelli delle Brigate Comuniste. Peraltro, le guerre civili, quelle lotte fratricide che ho visto in azione all’estero nella veste di Ufficiale dell’Esercito, mi hanno sempre sgomentato poiché in quella precisa circostanza l’essere umano dà il peggio di sé quando non insegue la vittoria o l’affermazione dei suoi ideali ma soltanto la vendetta, il regolamento dei conti con nemici vecchi e nuovi.
Ovviamente, comunque la si pensi sulla guerra di liberazione, non bisogna mai perdere di vista il fatto che nel biennio 1943-1945 a fronteggiarsi in Italia furono la libertà e la negazione della libertà, ovvero i naufraghi del fascismo ventennale contrapposti a forze molto eterogenee politicamente perché, tra azionisti, monarchici, socialisti, liberali e democristiani, i comunisti furono i più organizzati ma non i più numerosi: memorizzate quest’ultima precisazione per dopo. Bisogna anche dire che, fino al defenestramento di Mussolini, la maggior parte dei Quadri della Resistenza se ne stette al sicuro in America, in Russia o dentro le mura del Vaticano fino all’arrivo degli Alleati a Roma, tant’è che Sandro Pertini poté rinfacciare al suo compagno di partito, Pietro Nenni, di essersi nascosto sotto la talare del papa, una cosa «Poco consona con i doveri di un combattente antifascista».
Cionondimeno i socialcomunisti si attribuirono per buona parte il merito della Resistenza, mentre le Forze Armate, ancora barcollanti sotto la pesante croce dell’8 settembre 1943, quando trecento Generali se ne scapparono dietro al re abbandonando i loro uomini alla mercé dei tedeschi, si fecero mettere da parte insieme alle altre forze politiche democratiche. Eppure bastava soltanto ricordar loro il numero dei militari morti combattendo tra le fila partigiane in Italia, in Grecia, in Jugoslavia, e quelli morti nei campi di concentramento tedeschi, per non aver voluto tradire il giuramento di fedeltà alla Patria. Al riguardo, se andiamo a dare un’occhiata al numero dei caduti Alleati in Italia, di quelli dei militari italiani passati nella Resistenza e dei civili in essa inquadrati, numeri forniti dagli archivi di istituzioni ufficiali tra i quali uno è proprio quello dell’ANPI, ci accorgiamo che, riferita agli anni 1943-1945, la storia è un po’ diversa da come ce la raccontano da anni:
– caduti USA: 32.000 (Fonte: American Battle Monuments Commission);
– caduti del Regno Unito: 45.000 (Fonte: The Imperial War Graves Commission);
– caduti militari italiani: 87.000 (Fonte: resistenzaitaliana.it-ANPI);
– caduti civili italiani: 37.288 (Fonte: Ufficio Storico dello Stato Maggiore Esercito).
Numeri alla mano, dunque, tra gli oltre 200.000 uomini e donne, che tra Alleati e nostri connazionali caddero per liberare l’Italia dal nazifascismo, soltanto 37.000 erano combattenti civili il che, facendo le debite proporzioni, la dice lunga su chi abbia effettivamente condotto il nostro Paese alla libertà e alla democrazia. Tuttavia, sono del parere che dal punto di vista psicologico la celebrazione della Resistenza abbia una sua ragione d’essere a condizione, però, che si comprenda quali siano le due realtà in campo: la necessità civile di poterci agglomerare intorno a dei valori condivisibili dopo vent’anni di acquiescenza verso la dittatura, e una mistificazione storica che, ad essere sincero, non mi scombussola più di tanto, perché a ben vedere fu proprio la capacità di “accomodare” la storia che creò il mito di Roma prima e dell’Unità d’Italia dopo.
Il guaio, semmai, è stato quello di lasciare il patrimonio ideale della Resistenza nelle mani dell’ANPI, che in tutti questi anni non ha fatto altro che contrapporla ad un fascismo che non c’è più o al “nemico” che si sceglie di volta in volta, peraltro anche con iniziative offensive e grottesche come quando, il 25 aprile dell’anno scorso a Milano, ha contestato i rappresentanti della Brigata Ebraica che, al contrario di molti antifascisti dell’ultima ora, si era battuta contro i nazisti fino alla fine, coccolando invece i rappresentanti palestinesi i cui nonni avevano militato nelle SS naziste. Ma la storia e la memoria non contano niente per l’ANPI (e come vedremo più avanti neppure le regole), sennò si ricorderebbe che nel 2018 il presidente della repubblica concesse la medaglia d’oro al valor militare alla Brigata Ebraica per il suo valoroso contributo alla resistenza italiana.
Un tal Carlo Azeglio Ciampi, defunto presidente della repubblica, aveva già capito quale piega avrebbero preso gli eventi, un uomo politico al quale in fatto di resistenza al fascismo nessuno avrebbe potuto insegnare niente, che non ebbe timore di sostenere che bisognava avere “comprensione per i ragazzi di Salò” … Ciampi era passato dall’altra parte? Evidentemente no, voleva soltanto dire, da uomo intelligente e col senso della contingenza storica, che molti giovani che avevano militato nella RSI lo avevano fatto in buonafede.
Non si può dire la stessa cosa per l’ANPI che ieri, a mio vedere, ha dato il peggio di sé lasciandosi andare ad iniziative così fuori dall’attuale contesto da rassomigliare a certe forme protestatarie di Casa Pound. Mi spiego: i primi pilastri, sui quali si basano la libertà e quella democrazia che l’ANPI rivendica quesi come suo patrimonio esclusivo, non sono il rispetto delle regole e delle prerogative altrui? Ebbene, se è così quest’associazione, che pure ebbe iniziative migliori a difesa della libertà, ieri ha dimostrato un volto che non mi piace, violando il lockdown in alcune città a fronte del fatto che perfino il presidente della repubblica si è recato in solitaria all’Altare della Patria per celebrare il 25 Aprile a nome di tutti gli italiani.
Per come la vedo io, l’ANPI deve ritornare ad essere quel che in effetti è, un’associazione privata che ormai ha fatto il suo tempo e che, anzi, è motivo di divisione nel Paese. E non lo dico io ma, sebbene indirettamente, un politico di sinistra che certamente è più vicino all’ANPI di quanto non lo siano le mie idee di vecchio liberale, Luciano Violante, che nel suo primo discorso di presidente della Camera nel 1996 disse: «Mi chiedo se l’Italia di oggi non debba cominciare a riflettere sui vinti di ieri. Non perché avessero ragione, o perché bisogna sposare, per convenienze non ben decifrabili, una sorta di inaccettabile parificazione tra le due parti. Bisogna sforzarsi di capire, senza revisionismi falsificanti, i motivi per i quali migliaia di ragazzi e soprattutto di ragazze, quando tutto era perduto, si schierarono dalla parte di Salò e non dalla parte dei diritti e della libertà. Questo sforzo, a distanza di mezzo secolo, aiuterebbe a cogliere la complessità del nostro Paese, a costruire la Liberazione come valore di tutti gli italiani, a determinare i confini di un sistema politico nel quale ci si riconosce per il semplice e fondamentale fatto di vivere in questo Paese, di battersi per il suo futuro, di amarlo, di volerlo più prospero e più sereno. Dopo, poi, all’interno di quel sistema, comunemente condiviso, ci potranno essere tutte le legittime distinzioni e contrapposizioni».
Peccato che in quella circostanza Violante non andò oltre e dire, chiaro e tondo, che per tutte le ragioni da lui elencate la celebrazione della Resistenza in tutta Italia era un’incombenza dello Stato democratico e non certo dell’ANPI che, a ben vedere, ha la stessa dignità di tutte le altre associazioni combattentistiche e d’arma. E voi avete mai visto, ad esempio, l’Associazione Nazionale Bersaglieri sostituirsi allo Stato?
Al momento la mia preoccupazione è tutta concentrata sulla facilità con la quale questo governo, che non saprei proprio come definire, ci ha privati delle nostre libertà costituzionali con un semplice tratto di penna e, da quando si riesce a capire, ancora non si è orientato a restituircele, in nome della nostra salute dice.
Per quanto sbagliata in ogni caso la sua violazione della quarantena in alcune città italiane, l’ANPI sarebbe stato almeno coerente se ieri fosse scesa in piazza per chiedere (sommessamente… ) la cessazione del viral-fascismo del governo.