Pasqua e l’uovo
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La speranza nel futuro è rappresentata anche dal dono dell’uovo pasquale, una tradizione che gli ebrei avevano preso in prestito dagli egiziani durante la loro cattività e la trasmisero successivamente ai cristiani. Gli egiziani, infatti, facevano derivare la nascita dell’universo e di ogni cosa vivente da un grande uovo, ovvero da una sorta di Bing Bang col coccodè
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Si avvicina a grandi passi la Pasqua cristiana e, se il significato del Natale è universalmente noto, quello della Pasqua lo è un po’ meno, ciò probabilmente perché la prima festività ricorda la gioia di una nascita, la seconda quella di una morte violenta. Anche se, a ben vedere, in ambedue i casi ci troviamo in presenza di una nascita e di una rinascita, ma lasciamo queste cose alla teologia filosofica e sforziamoci di conoscere un po’ meglio quello che è ritenuto il periodo della passione, morte e resurrezione di Gesù Cristo. Intanto, partiamo col dire che il termine Pasqua potrebbe derivare dal latino Pascha, o anche dall’ebraico Pesah, che significa transito, ma non mancano filologi che lo fanno discendere da un verbo egiziano che potremmo tradurre come “colpire”, mettendolo in relazione con la decima piaga che Jehovah inflisse all’Egitto durante la cattività israelita. Soltanto con l’avvento del Cristianesimo la ricorrenza divenne la solennità liturgica con la quale ancora oggi viene rappresentato il mistero della Resurrezione, perché ai primordi della Chiesa la Pasqua era celebrata ogni otto giorni e precisamente la domenica. Si pervenne, poi, alla sua celebrazione annuale, anche se rimaneva la confusione sulla data. Fu il Concilio di Nicea, nel 325 d.C., a stabilire che fosse celebrata nel medesimo giorno in tutto l’orbe cristiano.
Ma per comprendere il recondito significato della Resurrezione dobbiamo prima chiederci chi fosse Josuè, Jesus, o Gesù, nato a Nazareth oppure a Betlemme (sulla località neppure gli Evangelisti concordano…) nell’anno 750 della fondazione di Roma. Era un visionario, tra i tanti che si segnalarono in quell’area mitogenetica situata tra il Tigri, l’Eufrate e il Nilo, o veramente chi «…è stato piagato per le nostre iniquità, è stato spezzato per le nostre scelleratezze»? La risposta a questa profezia di Isaia è da ricercarsi nel cuore di ognuno di noi, un recesso accessibile soltanto alle sublimi passioni, e per milioni di persone, Gesù è una di esse.

Lo storico francese delle religioni Ernest Renan, nel libro “Vita di Gesù”, sosteneva che Gesù fosse uscito dalle fila del popolo e che anche la sua famiglia avesse avuto una connotazione popolare, e mai affermazione ha avuto più capacità di spiegare il travolgente successo del cristianesimo! Il falegname burbanzoso Giuseppe, la pia casalinga Maria, la loro numerosa figliolanza (perché Giuseppe e Maria ebbero altri figli oltre a Gesù), sono figure che di soprannaturale non hanno molto e, perciò, sono identificabili con ognuno di noi, per cui, di là di ogni disputa teologale, la famiglia di Gesù a Pasqua diventa un po’ la nostra famiglia ed egli un fratello. La vita terrena del Redentore dei cristiani non fu facile perché egli si ritrovò contro tutti quelli che avrebbero dovuto appoggiarlo, a partire dai fratelli dei quali non conosciamo il nome. Coloro che comunemente sono accreditati come i suoi discepoli erano in realtà cugini, figli di una sorella della Madonna, anch’essa chiamata Maria. Il numero dei nemici di Gesù e del suo movimento religioso era destinato ad aumentare man mano che si estendeva la predicazione, anzi si può dire che ogni parabola, ogni sua esortazione, lo avvicinava alla condanna a morte, perché strideva con le ipocrisie e le contraddizioni della società giudaica del tempo. Quando, ad esempio, portarono a Gesù una prostituta per domandargli se meritasse o meno la lapidazione, la sua risposta fu la salvezza della donna e uno sberleffo per gli accusatori: «Chi fra voi è senza peccato, getti la prima pietra». Ma fu perduto quando attaccò frontalmente, e consapevolmente, la casta sacerdotale.

Fu, dunque, l’ubbidienza e l’accettazione della sua missione terrena, non il coraggio e neppure il tradimento di Giuda, a condurre il Gesù – uomo a compiere la volontà del suo Padre Divino. Renan ipotizzò che, prima del sacrificio finale, Gesù potrebbe aver avuto nostalgia di dolci memorie e perfino paura per il suo ineluttabile destino. Questa ipotesi è bellissima perché, fondata o meno che sia, gli attribuisce alcune delle nostre debolezze, restituendocelo uomo tra gli uomini. La vita terrena di Gesù terminò tra viltà e tradimenti da parte dei suoi stessi seguaci, con in aggiunta la paura del Sinedrio di alterare lo status quo del potere spartito con l’occupante romano: per mantenere questo equilibrio nessuna sofferenza e umiliazione gli fu risparmiata, neppure quella di preferirgli, per la grazia pasquale, un delinquente comune, un tal Bar-Rabban, meglio noto come Barabba. Con la crocifissione di Gesù, è innegabile, iniziò il crepuscolo del vecchio mondo e l’inizio di una parabola che avrebbe cambiato l’esistenza di tutte le generazioni a venire, anche di quelle che non si riconobbero in lui, perché sul Golgota si aprì una breccia dalla quale passarono le successive conquiste spirituali e civili dell’umanità, come la mitigazione dei costumi, delle leggi e, più tardi, la separazione del potere politico da quello religioso.

La Pasqua cristiana, dunque, andrebbe ricordata da tutti, anche dai laici o da chi ha soltanto una visione storica di Gesù. Infatti, dovrebbero farci un pensiero anche gli scettici e gli sfiduciati perché essi, più di tutti, hanno bisogno dell’unica cosa che rende accettabile il vivere su questo malmesso globo terracqueo: la speranza. Quella speranza nel futuro rappresentata anche dal dono dell’uovo pasquale, una tradizione che gli ebrei avevano preso in prestito dagli egiziani durante la loro cattività e la trasmisero successivamente ai cristiani. Gli egiziani, infatti, facevano derivare la nascita dell’universo e di ogni cosa vivente da un grande uovo… una sorta di Bing Bang col coccodè.

L’uovo, dunque, come simbolo di nascita e rinascita: pitturato sul guscio, di cioccolata o appiccicato al casatiello pasquale dei campani, continua a simboleggiare il perpetuo rinnovarsi della vita, così come la risorgenza di Gesù dal sepolcro simboleggia la capacità di ognuno di noi di rinascere nel bene. Il dramma storico è che nella terra di Gesù, la Palestina, questo non sta avvenendo perché continua ad imperversare la guerra e meglio non va in Ucraina e in altre parti del mondo.
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