La libidine del potere
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Quando parliamo di libidine del potere non intendiamo soltanto l’aspersione di feromoni da parte degli uomini e delle donne, rivestiti di una carica politica o dirigenziale, parliamo in realtà di un’altra libidine: quella dell’ottusa tracotanza. Come dire di una mentalità che in Italia è più diffusa di quanto si creda, una mentalità che gode soltanto quando può fare, ostentandole, le cose precluse a noi comuni mortali
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Non ci scandalizziamo di certo se due giovani in vacanza si lasciano andare in effusioni amorose in pubblico, perciò l’immagine un po’ hard di Luigi Di Maio e della fidanzata Virginia Saba nel mare di agosto, in Sardegna, non ci ha scandalizzati ma ci ha messo a pensare. Come ci ha messo a pensare pure l’autore di quello scatto, il fotografo del settimanale “Oggi” Alex Fiumara. Costui, infatti, prima ha scattato una foto che non lascia nulla all’immaginazione e l’ha venduta al suddetto settimanale, dopodiché su Twitter ci è venuto a fare la morale: «Trovo assurdo e sessista che qualcuno ci speculi sopra!». Quando si dice che uno ha la faccia come quella parte del corpo dove non batte mai il sole… ma che cosa volete farci, ormai nel mondo politicamente corretto è in atto la più grande operazione di “Chiagni e futti” che la storia ricordi.
Ma veniamo alla foto del ministro degli esteri e della fidanzata in una situazione che è difficile non definire pre-orgasmica. Perché essa ci ha messi a pensare? Beh, le ragioni sono parecchie ma una prevale su tutte: quell’immagine è la perfetta rappresentazione della libidine del potere, una libidine che è uguale in ogni parte del mondo e che è un po’ ostentazione, un po’ impudenza e un po’ grossolanità dei parvenu.
Prima di andare avanti, bisogna dire che non è la prima volta che nell’Italia repubblicana il potere si è manifestato anche attraverso la libidine, della quale però un tempo ci si fingeva scandalizzati e, sotto sotto, si considerava la faccia nascosta del potere.
Infatti, già nel 1948, un anno difficile per l’Italia, il cattolicissimo e morigerato presidente del consiglio Alcide De Gasperi fu costretto a porre un interrogativo ai suoi collaboratori: «E adesso che cosa ne facciamo di Sforza?». Era successo che, per quanto lui ne avesse sostenuta la candidatura per la presidenza della repubblica al posto di Enrico De Nicola, il ministro degli esteri Carlo Sforza dovette rinunciare alla designazione perché erano venute fuori alcune storie goderecce che lo avevano visto protagonista, storie di letto insomma. In realtà quelle di Sforza erano state vicende che, a confronto dei bunga-bunga, che fino a qualche tempo fa hanno agitato il mondo politico italiano, a confronto delle foto del Giggino nazionale al mare e di quelle di Salvini a letto con la bella Isoardi, potevano definirsi un capolavoro di signorilità e di discrezione.
Ma quando parliamo di libidine del potere non intendiamo soltanto l’aspersione di feromoni da parte degli uomini e delle donne, rivestiti di una carica politica o dirigenziale, parliamo in realtà di un’altra libidine: quella dell’ottusa tracotanza. Come dire di una mentalità che in Italia è più diffusa di quanto si creda, una mentalità che gode soltanto quando può fare, ostentandole, le cose precluse a noi comuni mortali.
Parliamo della libidine di un potere che può secretare il modo con il quale ha speso le tasse, che può decidere dei vertici dei servizi segreti a proprio piacimento, che può nascondere le omissioni sulla gestione della Pandemia da Covid-19 e che può impunemente mandare in ospedale un povero giornalista che, per quattro euro, stava facendo il proprio lavoro, come ha fatto Grillo a Bibbona. E senza pagare dazio.
Parliamo della libidine di un potere che se ne impipa di mantenere gli impegni presi con gli elettori, che in meno di due anni può far salire di 120 miliardi il debito pubblico e stare ancora a governare questo Paese. E senza pagare dazio.
Parliamo della libidine del potere di un ordine giudiziario che, con dieci milioni di processi inevasi, utilizza la macchina della giustizia come una clava per colpire gli avversari dell’una o dell’altra parte politica. E senza pagare dazio.
Parliamo della libidine del potere di un capo del governo che pensa di poter governare esautorando, di fatto, il Parlamento e arrogarsi attribuzioni che sono proprie di una presidenza della repubblica che, per quanto dormiente, prima o poi dovrà svegliarsi perché, anche se ostaggio di Conte e Casalino, quella nostra è ancora una repubblica parlamentare. E senza pagare dazio.
Ebbene, raffrenando in noi la rabbia repressa dei comuni cittadini e cercando di mantenerci nell’ambito della valutazione giornalistica, dedichiamo ai libidinosi al potere, e di potere, il pensiero di Albert Einstein, secondo il quale l’amore del potere non vale niente, perché il potere senza amore è energia spesa invano. Come dire con parole nostre che i massimi rappresentanti di questo potere non valgono un cacchio.
Ma neppure noi valiamo molto visto che, oltre alla colpa di averli eletti, abbiamo anche quella di girarci dall’altra parte mentre stanno sfasciando il Paese.