La lealtà degli uomini del super presidente
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Di là della gestione futura dei soldi grazie a due dicasteri di peso come quello dello sviluppo economico e del turismo, Salvini ha oggi la necessità politica e aritmetica di incassare qualche dividendo da buttare in pasto all’elettorato della Lega, sennò corre il serio rischio di regalare a Giorgia Meloni la leadership del Centrodestra. Senza parlare della inaffidabilità di Forza Italia che, da quando il Pd ha fatto balenare la possibilità che, dopo ben 36 processi, Berlusconi potrebbe aspirare al Quirinale, è prontissima a mettere in piedi un nuovo compromesso storico con gli eredi del comunismo
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L’appoggio al governo guidato dal più europeista tra i leader europei, Mario Draghi, da parte del partito più antieuropeista, la Lega, è stato tanto improvviso quanto impensabile anche per il più fantasioso degli analisti politici. Per quanto stupiti dal suo triplo salto mortale, anche noi, quando Salvini ha deciso di diventare un po’ europeista, un po’ immigrazionista e appoggiare il governo Draghi ci siamo domandati quale fosse il suo reale obiettivo politico oltra a provare a infilar dentro il governo qualche ministro e un po’ di sottosegretari. Parimenti ci siamo domandati, nella circostanza, perché nel nuovo governo del “tutti dentro” la coabitazione della Lega con il M5S avrebbe dovuto funzionare, laddove era naufragata nei sudori estivi del Papeete qualche anno prima. La risposta più immediata che ci è venuta è stata che l’obiettivo fosse la gestione da parte della Lega di almeno una quota della vagonata di soldi in arrivo da Bruxelles.
Ma siccome il Matteo è un soggetto che prima fa il tuffo dal trampolino e poi si domanda se vi sia l’acqua nella piscina sottostante, soltanto in questi giorni deve essersi sforzato di capirci un po’ di più circa le intenzioni di Draghi e sul Recovery Plan – Pnrr. Questo piano, secondo alcuni economisti come Brancaccio e Realfonzo dell’Università del Sannio, andrebbe preso per quello che è perché «Se esaminiamo i 209 miliardi che il Recovery Plan stanzierà per l’Italia per i prossimi sei anni, 127 sono prestiti che prevedono solo un risparmio sullo spread tra tassi di interesse nazionali ed europei: anche con previsioni pessimistiche sui tassi italiani, non più di 4 miliardi all’anno. Per quanto riguarda i restanti 82 miliardi di risorse a fondo perduto, l’importo netto dipenderà dal contributo dell’Italia al bilancio europeo».
Come dire che i miliardi in arrivo dipenderanno da quelli che l’Italia verserà nel bilancio comunitario… mah, sarà perché non siamo economisti, ma il costrutto di questo meccanismo proprio ci sfugge. Magari lo avrà capito Salvini visto che in una trasmissione televisiva dello scorso mese di gennaio, pontificò che «I soldi a prestito del Recovery Plan, da restituire con gli interessi, sono due terzi dell’ammontare, non li prenderei perché li posso chiedere al mercato a tassi migliori». Salvo che, a distanza di appena 120 giorni da quella dichiarazione, si accinge ad appoggiare il Recovery in Parlamento, ben sapendo che una delle condizioni sine qua non per farlo approvare da Bruxelles è la definitiva soppressione di un suo cavallo di battaglia ovvero la Quota 100 per le pensioni. A quel punto o la Lega uscirà dal governo, oppure abbozzerà facendo, in pratica, come hanno fatto i grillini fino ad oggi: si sono rimangiati tutte le promesse elettorali! E Giorgia Meloni ringrazierà…
Insomma, di là della gestione futura dei soldi grazie a due dicasteri di peso come quello dello sviluppo economico e del turismo, Salvini ha oggi la necessità politica e aritmetica di incassare qualche dividendo da buttare in pasto all’elettorato della Lega, sennò corre il serio rischio di regalare alla Giorgia nazionale la leadership del Centrodestra. Senza parlare della inaffidabilità di Forza Italia che, da quando il Pd ha fatto balenare la possibilità che, dopo 36 processi, Berlusconi potrebbe aspirare al Quirinale, è prontissima a mettere in piedi un nuovo compromesso storico con gli eredi del comunismo.
Ecco perché Salvini ha dovuto innalzare, pur stando dentro il governo, la bandiera della liberazione, a partire da quella del coprifuoco per gli esercenti di bar, alberghi e ristoranti o, almeno, ottenere lo slittamento di un’ora dell’inizio del coprifuoco – alle 23,00 invece che alle 22,00 – e lo ha fatto tramite l’hashtag #nocoprifuoco, con il quale ha iniziato a raccogliere firme contro una decisione del governo del quale, però, fa parte. In questa circostanza, il segretario del Pd, Letta, e media mainstream hanno scritto parole di fuoco sull’incoerenza del segretario della Lega, facendo passare sotto traccia ben altre incoerenze. Infatti, nelle stesse ore, intervistato dal Corriere della Sera, il ministro del lavoro e delle politiche sociali, il piddino Andrea Orlando, ha avuto accalorate parole di nostalgia per il governo Conte, segno che neppure a lui è in sintonia con il governo di cui è parte e non soltanto Salvini.
Ad accrescere il caos che regna nel governo nonostante l’aplomb di Draghi, sono intervenuti la signora ministro per gli affari regionali e le autonomie di Forza Italia e il sottosegretario agli interni, del M5S: la prima ha assicurato che l’inizio del coprifuoco è applicabile in modo elastico, mentre il secondo ne ha ribadito la pedissequa applicazione.
Questa è la “parte visibile” del governo Draghi che ieri, presentando il Recovery- Pnrr alla Camera, ha spiegato che «Nell’insieme dei programmi c’è anche e soprattutto il destino del Paese». Il che è sacrosantamente vero.
Ma è proprio questo che ci spaventa, visti la situazione e i personaggi che quei programmi dovranno realizzare… noi i banchi a rotelle e i monopattini non li abbiamo ancora dimenticati.
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