La giustizia e il malware figlio di trojan
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Dalla chat dell’ex presidente dall’ANM emergono tentativi di stravolgimento della struttura operativa dello Stato laddove sono stati fatti a pezzi, con poche frasi, almeno cinque articoli della Costituzione che fissa, in modo netto, i limiti e le prerogative di quei poteri che mantengono viva ed equilibrata la democrazia che, mai come in questo momento, è in serio pericolo anche per alcune complicità mediatiche
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Nonostante i nostri sospetti sulla loro imparzialità, in questa Italia ormai allo sfascio esistevano due poteri che ritenevamo più o meno indipendenti dalla politica, quello della magistratura e quello dei media. Come noterà il lettore abbiamo adoperato i verbi al passato, ciò perché da alcuni giorni è chiarissimo che i media e la magistratura non sono più terzi nel loro mestiere: un certo numero di magistrati, in combutta tra loro e con il fiancheggiamento esterno di qualche giornalista (e questo spiega la “tiepidezza” di alcuni media…), hanno ridotto la magistratura ad una specie di suk marocchino. A rivelarcelo è stato un malware chiamato trojan che, su disposto della Procura di Perugia, la Guardia di Finanza aveva inserito nel telefono di Luca Palamara, un ex consigliere del CSM del quale è capo il presidente della repubblica, nonché ex presidente dell’ANM – Associazione Nazionale Magistrati. Lo scandalo, tra l’altro, ha sfiorato, per la seconda volta in pochi giorni, anche il governo perché tra i magistrati coinvolti nelle intercettazioni vi erano almeno cinque collaboratori del ministro della giustizia, come quel noto Capo Dipartimento del DAP che, in ottemperanza a un decreto del governo, ha scarcerato 400 boss mafiosi. Ciò con la comica motivazione di proteggerli dal coronavirus, mentre nel Paese avveniva un’ecatombe di brava gente, di medici e d’infermieri operanti in prima linea, in una situazione di pericolo mortale reale e non supposto.
Ma in questa sede non vogliamo occuparci di come il governo ha gestito l’emergenza sanitaria, né della patente lottizzazione della magistratura, tantomeno dello stato di malato terminale nel quale essa verserebbe stando alle chat di Palamara, ma di un altro aspetto della questione che, a nostro avviso, è il più grave: l’interferenza della magistratura nella politica sotto gli occhi acquiescenti, se non con la complicità, della maggior parte dei media. E, d’altronde, per poter dimostrare i travalicamenti anticostituzionali di certa magistratura basta anche soltanto leggere la trascrizione della chat intercorsa tra Luca Palamara e il capo della Procura di Viterbo a proposito del segretario della Lega: «Salvini ha ragione sull’immigrazione, ma dobbiamo attaccarlo. Sull’immigrazione ha la gente con sé dobbiamo fermarlo. Salvini è una merda».
Nonostante le nostre perplessità sulla terziarietà della magistratura, neppure noi potevamo immaginare che la sua degenerazione in “partiti” e correnti fosse giunta addirittura al punto di attentare alla Costituzione e alla democrazia. E sì, dalla chat dell’ex presidente dall’ANM emergono tentativi di stravolgimento della struttura operativa dello Stato laddove sono stati fatti a pezzi, con poche frasi, almeno cinque articoli della Costituzione che fissa, in modo netto, i limiti e le prerogative di quei poteri che mantengono viva ed equilibrata la democrazia che, mai come in questo momento, è secondo noi in pericolo.
La democrazia italiana, però, non è tanto in pericolo per i decreti liberticidi del governo sulla gestione della pandemia e neppure per il travalicamento delle loro funzioni da parte di alcuni magistrati bacati o per l’assordante silenzio del primo magistrato d’Italia, il presidente della repubblica, quanto per il mortifero circuito autoreferenziale che, nei fatti, si è venuto a creare tra la magistratura, la Sinistra e, aspetto più inquietante di tutti, tra la maggior parte dei media nazionali. Circuiti di questo tipo si osservano solitamente nei regimi dittatoriali, un sistema di governo sul quale, eventi alla mano, sta incamminandosi il nostro Paese con delle avvisaglie che per alcuni loro aspetti hanno del paradossale.
È stata la prima volta, infatti, che al vertice dell’impalcatura statale abbiamo avuto un presidente della repubblica il cui fratello sia stato ucciso dalla mafia e che, senza battere ciglio, abbia firmato un decreto governativo, il Cura Italia, che avrebbe mandato a casa circa 400 boss di mafia e di camorra. Come crediamo sia stata la prima volta che un governo abbia schierato l’aviazione leggera, l’esercito e cinque forze di Polizia contro il proprio Paese, per tenere gli italiani bloccati in casa a causa della pandemia mentre, alla chetichella, agevolava tutti coloro che, illegalmente, dal Nord Africa puntavano sulla nostra penisola e, per farne arrivare altri, ne ha “regolarizzati” alcune centinaia di migliaia perché, secondo la ministro competente, “bisognava raccogliere i pomodori”, manco fossimo nell’Alabama della guerra di secessione! Ebbene, anche in questo caso, invece di fare le pulci a un governo assurdo che ha sbagliato tutto quello che si poteva sbagliare per fare evolvere l’epidemia da una situazione grave al dramma nazionale, la maggior parte dei media si è schierata acriticamente con i provvedimenti governativi omettendo – o per ignoranza, o per partito preso – di rappresentare i danni che tali provvedimenti avrebbero prodotto sull’economia e sull’apparato produttivo a breve – medio termine.
Ma ritornando da dove siamo partiti, anche se l’ANM si è praticamente auto-sciolta, perché ha avuto disgusto di se stessa, molti dei media nostrani hanno continuato a mettere un’incomprensibile sordina alle diffusione delle sue malefatte… qualcun altro oltre a noi sostiene che l’aplomb sia dovuto al fatto che dalle intercettazioni anche alcuni giornalisti di giudiziaria non ne escono bene sotto il profilo della correttezza e dell’autonomia professionale. Beh, forse a questo punto dovremmo iniziare a parlare apertamente di fascistizzazione del sistema di potere e, ognuno per la sua parte, iniziare ad agire di conseguenza per impedirlo con ogni mezzo che la Costituzione ci mette a disposizione.
Giambattista Vico sosteneva che, sebbene con protagonisti diversi, la storia umana si ripete sempre, e tuttavia aggiungiamo noi, gli uomini non traggono nessun insegnamento dal suo ciclico ripetersi sennò i giornalisti italiani ricorderebbero che vent’anni di fascismo furono anche opera dell’entusiastica adesione dei media a quel regime, della loro acquiescenza, dei loro opportunismi e delle loro vigliaccherie: essi stanno rifacendo lo stesso errore.