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In quanto donna

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In quanto donna
Per affermare i diritti delle donne ognuna di noi, in quanto madre, figlia, zia, nipote, in quanto donna, deve assumersi la sua parte di responsabilità per il fatto che questa non-cultura in fatto di parità continui a persistere. Una responsabilità, quella nostra, che risiede nei giudizi velenosi che dispensiamo nei confronti delle donne che hanno successo, che sono belle, che raggiungono i loro obiettivi, che infrangono i tabù e la morale di una società conservatrice e bigotta
– *Patrizia Kopsch –

Ho pensato a lungo che cosa poter dire di nuovo e di diverso rispetto a quanto già ampiamente pubblicato sul “caso Friedman”. Niente, proprio niente. O forse no, forse qualcosa di diverso si può dire, si possono sempre guardare le cose da una prospettiva diversa magari salendo sopra il banco di un’aula di scuola, come gli studenti del college americano nel film “L’attimo fuggente”.

Peraltro sarebbe un lungo e già noto elenco quello delle volte in cui i diritti delle donne sono stati calpestati, gli episodi in cui siamo state vittime di violenza, di discriminazione, di pregiudizi.

E proprio per questo mi chiedo: che cosa ho fatto io per evitare che tutto questo succedesse? Poco contano le volte che siamo scese in piazza, i “Se non ora quando!” e i reggiseni bruciati dalle femministe. Penso e mi chiedo a quanto le mie vibrate proteste siano davvero servite a cambiare la cultura di una società ancora profondamente patriarcale e strutturata a misura d’uomo. Non di donna.

E, ancora, mi chiedo se oltre al dissenso e alla piazza, non vi sia qualcosa di più radicato e profondo, di meno estemporaneo, che si possa fare per modificare il Dna di questa società, per cambiare davvero partendo dal nocciolo, dalla culla nella quale si formano questi retaggi culturali: la famiglia.

Perché ognuna di noi, in quanto madre, figlia, zia, nipote, in quanto donna, deve assumersi la sua parte di responsabilità per il fatto che questa non-cultura continui a persistere. Una responsabilità che risiede nei giudizi velenosi che dispensiamo nei confronti delle donne che hanno successo, che sono belle, che raggiungono i loro obiettivi, che infrangono i tabù e la morale di una società conservatrice e bigotta.

Penso più che altro al nostro quotidiano, a quell’insieme di piccole, corrosive azioni, parole, atteggiamenti che pesano più delle pietre usate per lapidare le donne colpevoli di adulterio nei Paesi dell’islamismo radicale: ma quale tribunale lo stabilisce?

E, poi, penso a Malala Yousafzai e al suo coraggio ma ancora di più al suo struggente desiderio di evolvere nella conoscenza, di elevarsi dalla condizione di sottomissione e di ignoranza nella quale era stata relegata.

Penso a Greta Thunberg e al suo impegno per difendere il pianeta, a quanto sia stato trascinante il suo esempio e abbia saputo coinvolgere il mondo intero nelle sue proteste.

Penso ad Amanda Gorman, la giovane poetessa che ha parlato ieri all’inaugurazione del mandato del presidente statunitense Joe Biden e all’ammirazione che ha suscitato in me vedere quanta passione trasparisse dai suoi gesti e dalle sue parole.

E, più in là nel tempo, penso a Rosa Parks, la sartina dell’Alabama che si rifiutò di cedere il suo posto a un bianco su di un autobus. Era il 1955 e la Corte dell’Alabama aveva appena stabilito che la segregazione razziale violava la Costituzione.

Penso a questi piccoli, giganteschi gesti che hanno cambiato la storia, che possono cambiare la storia e penso che ognuna di noi, in quanto donna, possa e debba fare tutto quello che è in suo potere per far crescere e affermare la persona che desidera essere, per spendere e accrescere tutti i suoi talenti e per fare in modo che ogni donna su questo pianeta possa farlo. É solo con l’esempio che possiamo sradicare i pregiudizi, è solo facendoci carico delle nostre responsabilità e alzandoci in piedi che cominceremo a sgretolare le roccaforti del maschilismo e del sessismo.

E, infine, penso che Alan Friedman debba porgere le sue scuse a Melania Trump, che non ha fondato un movimento in difesa del pianeta, non ha scritto poesie sulla sua nazione, non è stata vittima di un attentato dei talebani né è stata il fattore scatenante della nascita del movimento di Martin Luther King. Friedman non le deve le sue scuse soltanto in quanto donna, ma anche in quanto essere umano e come tale titolare di quel diritto inalienabile alla dignità e al rispetto che a ognuno di noi spetta, al di là di ogni genere, etnia o credo religioso: soltanto così potrà affermarsi una vera e concreta parità dei diritti.

* Giornalista e consulente per la comunicazione digitale
autrice e conduttrice della rubrica DigitalNews ascolta il podcast

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