Ilva, l’inflessibilità di Conte e l’inizio del Medioevo industriale
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I dilettanti nel governo non ricordano la faccenda delle tangenti all’India per l’acquisto di elicotteri della Finmeccanica ed altre forniture militari seguite dal sequestro dei nostri due marò. E neppure sanno che la Francia di Macron farebbe di tutto per acquistare, con quattro soldi, ciò che resta delle nostre aziende di punta. Togliendo unilateralmente lo scudo penale ad ArcelorMittal, questo governo di grillo-esaltati e di piddini in erezione indotta, ha fatto di tutto perché un’ipotesi del genere diventasse realistica, come anche il licenziamento di cinquemila operai
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Nella legge di Bilancio 2020 approvata lo scorso 3 novembre il governo ha tolto lo scudo penale ad ArcelorMittal, l’azienda franco-indiana che ha provato a gestire l’Ilva di Taranto a seguito delle macerie prodottevi dai precedenti responsabili, dai politici locali, dai sindacati e dalla magistratura che, tra arresti, inchieste, sequestro di siti, e senza essere ancora addivenuta a qualche grado di giudizio, ha creato una cappa intimidatoria sui vertici gestionali dell’azienda italiana dell’acciaio. Com’era fatale che accadesse, ventiquattrore dopo questa bella pensata del governo giallorosso, l’ArcelorMittal ha ufficialmente comunicato che intende mollare la gestione e il risanamento dell’Ilva. A tale annuncio e di fronte alla prospettiva di fare andare a finire 20.000 lavoratori di Taranto e delle altre città interessate in mezzo alla strada con la loro leggerezza di dilettanti allo sbaraglio, nel governo tutti hanno tentato di correre forsennatamente ai ripari per non essere cacciati a randellate da Palazzo Chigi dopo una caz… di questa portata!
C’è stato, però, anche chi nella circostanza ha conservato un po’ di aplomb. Infatti, in impeccabile idioma anglosassone (della serie fatti in là gvillino buzzuvvo…) il nostro ministro dell’economia, Roberto Gualtieri del PD, ha sintetizzato il marasma nel governo: Whatever it takes, ossia «Faremo tutto il necessario». Come dire che non sanno ancora a quale santo votarsi.
Il premier Giuseppe Conte, invece, poco prima di ricevere i vertici indiani di ArcelorMittal a Palazzo Chigi, è andato oltre la citazione anglosassone del suo ministro, con un’uscita che sarebbe comica – perfino più comica della dichiarazione fatta da Di Maio l’anno scorso quando annunciò di aver risolto la crisi dell’Ilva – se non ci trovassimo al cospetto di un problema che angustia migliaia di lavoratori e le loro famiglie: «Saremo inflessibili!». Sembrava Alessandro Magno alla battaglia di Isso. In realtà Conte è pronto ad appecorinarsi se gli indiani accetteranno anche di licenziare “soltanto” 5.000 operai.
L’ArcelorMittal, la più grande azienda siderurgica al mondo, con la produzione di 114 miliardi di tonnellate di acciaio ogni anno, con 209.000 dipendenti in organico, un fatturato annuo medio che si aggira intorno agli 80 miliardi di dollari, come dire quattro manovre economiche italiane, non pensiamo proprio che stia tremando dalla paura per l’inflessibilità verbosa del nostro “Giuseppi” nazional – transoceanico. Sta tremando così poco che a Conte ha ribadito l’intenzione di andarsene dall’Italia ed ha già avviato la procedura per restituire la palla ai commissari e i 20.000 dipendenti dell’Ilva, con l’indotto, che andranno con molta probabilità a finire in mezzo ad una strada nonostante le ipocrite rassicurazioni dei sindacati e il ruggito del coniglio proveniente da Palazzo Chigi. Sì, perché eventuali misure ritorsive contro la regina mondiale dell’acciaio sono del tutto impensabili, avendo quest’azienda alle spalle il governo indiano e quello francese, i quali, per ragioni diverse, già ce l’hanno a morte con noi per delle storie del recente passato, figuriamoci con quanta foga esse difenderebbero la loro principale azienda contro l’Italia.
Peraltro un evento del genere è già accaduto ma i dilettanti allo sbaraglio nel governo certamente non ricordano la faccenda delle tangenti all’India per l’acquisto di elicotteri della Finmeccanica ed altre forniture militari seguite dal sequestro dei nostri due marò per ritorsione. E neppure vogliono capire che la Francia di Macron, altra probabile vindice degli interessi di ArcelorMittal, farebbe di tutto per acquistare, con quattro soldi, ciò che resta delle nostre aziende di punta. Togliendo unilateralmente lo scudo penale, questo governo di grillo-esaltati e di piddini in erezione indotta, ha fatto di tutto perché delle ipotesi del genere diventassero realistiche.
Nella circostanza tace o parla poco della brutta faccenda la maggior parte dei media “amici” del PD, ma a tacere – e se ne capisce anche la ragione – è pure l’ex ministro del lavoro e dello sviluppo economico, Luigi Di Maio … non ha nulla da dire sulla faccenda, vuole assumersi qualche responsabilità o pensa di starsene nascosto fino al termine della legislatura? In ogni caso Chapeau! Sotto la sua guida i grillini alla fine sono riusciti a mettere la prima pietra della decrescita felice: grazie a loro, infatti, nel nostro già disgraziato Paese è iniziato il Medioevo industriale.