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Il saluto fascista non è reato, forse sì, boh

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saluto fascista
In presenza di un governo di Destra – Centro che promette di durare l’intera legislatura e oltre, quelli che sono stati piazzati nelle alte magistrature dello Stato da una Sinistra immobile, che ormai non serve più neppure a se stessa, non hanno ancora deciso se abboccarsi con i nuovi detentori del potere, se combatterli a suon di sentenze o mettersi semplicemente in attesa di vedere che direzione prenderanno il vento della politica e gli equilibri di potere

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È da anni che la politica italiana, che ne avrebbe di cose serie delle quali occuparsi, vive appesa a un interrogativo: il saluto romano è apologia del fascismo o una libera espressione del pensiero? L’interrogativo è tornato di attualità lo scorso 7 gennaio quando, nel commemorare la morte di alcuni ragazzi della sezione dell’ex Movimento Sociale di Acca Larentia in Roma uccisi da estremisti di sinistra nel 1978, i convenuti hanno fatto il saluto romano provocando l’esagerata indignazione di chi sull’antifascismo ci campa ormai da anni. Sul tema la Cassazione aveva promesso di fare chiarezza nella seduta dello scorso 18 gennaio ma si è limitata a ribadire l’articolo 5 della legge Scelba e l’articolo 2 della legge Mancino rendendoli, se possibile, ancora più nebulosi: essa, infatti, ha stabilito che il saluto fascista è un reato, ma non lo è quando viene fatto durante una commemorazione. Come dire che il saluto col braccio teso si può fare, purché non si vada in giro vestito di orbace, con una bomba a mano appesa alla cintura, col pugnale tra i denti in stile squadrista della prima ora e, cosa difficile da stabilire, purché non si abbia in mente la ricostruzione del partito fascista. Ma così siamo punto e a capo! Insomma, il saluto romano è reato, oppure no? Temiamo che a questa domanda risponderanno i giudici di processo in processo e, stante la politicizzazione che appesta la giustizia italiana, è lecito sospettare che in futuro assisteremo a sentenze molto “creative” sul saluto fascista.

Lo scorso 19 gennaio il direttore de il Giornale, Alessandro Sallusti, ha commentato la (non) decisione della Cassazione con un editoriale dal titolo emblematico: “Siamo il Paese dell’eterno compromesso”. Ebbene, ciò che scrive Sallusti su qualsiasi argomento non è mai banale e, per questo, si fa leggere sempre con piacere ma questa volta non siamo del tutto d’accordo con lui perché, nell’editoriale, egli non spiega perché siamo il Paese dell’eterno compromesso. Ci perdoni per la presunzione il direttore, ma noi il titolo lo avremmo fatto così: “Siamo il Paese della triplice scappatoia”. Che cosa significa? Significa, a voler essere esageratamente concisi, che noi italiani, come pure la politica e la nostra civiltà giuridica, siamo figli della Chiesa cristiana cattolica romana, la quale per la vita ultraterrena prevede tre livelli d’intervento della Magistratura Divina per punire i reprobi, per dare una speranza ai semi-reprobi e per premiare i buoni.

Sì, avete capito bene, stiamo parlando dell’inferno, del purgatorio e del paradiso, per dire che un cristiano ha sempre una scappatoia a portata di mano per scapolarsela dal castigo eterno per le schifezze compiute in vita. E questo perché la Chiesa è sempre pronta a venirgli incontro con qualche indulgenza, non gratuitamente s’intende. D’altronde, lo scisma luterano avvenne proprio a seguito della compravendita delle indulgenze, mediante le quali si prometteva al fedele di poter “scalare” almeno una posizione per raggiungere il posto migliore nell’aldilà, a seguito di un esborso di denaro, cosicché da meritevole della pena infernale si potesse passare a quella del purgatorio, se non addirittura, in presenza di uno straordinario donativo alla Chiesa, alle eterne beatitudini. Sicché i ricchi pagavano e si pentivano, si pentivano e pagavano per andare nel regno di Dio; i poveri invece, che il loro inferno lo avevano già vissuto sulla terra, si fottevano anche nell’aldilà non avendo soldi da investire per comprarsi le indulgenze. Ma non usciamo fuori tema.

È deduttivo che in un terreno così concimato eticamente non potevano nascere la nettezza ideativa, la chiarezza e la linearità, anzi queste due qualità degli spiriti retti erano guardate con sospetto dentro e fuori la Chiesa, che da parte sua ha sempre avversato il libero pensiero, sottraendosi al confronto con un’esortazione del filosofo inglese John Locke: «Non vi può essere nulla di contrario alla ragione in una vera religione». Sicché, la doppiezza, l’ipocrisia e l’ambivalenza furono la caratteristica prevalente della nostra Chiesa nazionale, delle nostre istituzioni nazionali e, di riflesso, della nostra legislazione. Roba da cavillosi legulei più che da fedeli e da cittadini in cerca di giustizia e di certezze.

Ma i giudici di ultima istanza, come appunto lo sono quelli della Corte Suprema di Cassazione, gli organi di garanzia, come la Corte Costituzionale, e una Pubblica amministrazione tanto inefficace quanto autoreferente, in questo preciso momento storico, oltre alla tabe ereditaria della doppiezza e dell’ipocrisia, hanno anche il problema della collocazione. Ovvero, in presenza di un governo di Destra, che promette di durare l’intera legislatura, quelli che sono stati piazzati nelle alte magistrature dello Stato da una Sinistra immobile, che ormai non serve più neppure a se stessa, non sanno più che pesci pigliare, a quale padrone votarsi. Acconciarsi con i nuovi detentori del potere? Combatterli a suon di sentenze? Oppure mettersi semplicemente in attesa di vedere che direzione prenderà il vento della politica, come dire le future nomine negli organismi di vertice dello Stato?

Ecco perché non dobbiamo stupirci dell’insulsa pronuncia della Cassazione sul saluto fascista. Infatti, nonostante la scorribanda di qualche Procura nella campagna elettorale per le regionali, coloro che occupano i posti di vertice del potere nelle sue diverse estrinsecazioni sono pressochè fermi, in attesa di capire su quale carro salire nel prossimo futuro. Meglio, quindi, non scoprirsi troppo, non indisporre nessuno, magari dando un colpo alla botte della Destra e uno al cerchio della Sinistra com’è avvenuto lo scorso 18 gennaio.

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