Il cannone di Pilsen
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Tra le bocche di fuoco prese dagli italiani, come preda bellica, agli austriaci vi furono centinaia di Obici 75/13, i quali passarono in carico al Regio Esercito che, a sua volta, li impiegò nella guerra d’Etiopia, di Spagna, di Albania e nel secondo conflitto mondiale. Il pezzo rimase in servizio nell’artiglieria da montagna italiana fino agli inizi degli anni Sessanta del Novecento
– Enzo Ciaraffa –
Un pezzo di artiglieria, indipendentemente dalla causa giusta o sbagliata per la quale viene utilizzato, è un “malnato”, perché tutte le volte che fa sentire la sua voce semina morti e rovine, e più lunga è la sua vita operativa più danni promette di fare. Tuttavia, ve ne sono alcuni che, pur avendo avuto un’esistenza molto lunga, per fortuna di danni ne hanno fatti pochi, come quell’obice prodotto nella Boemia Occidentale oltre un secolo fa e del quale ci stiamo oggi interessando.
Il nostro obice da montagna Škoda 7,5 cm Gebirgskanone uscì dalla catena di montaggio dalle acciaierie Škoda Werke AKT – AG di Plzeň (Pilsen) dove producevano armamenti per l’Imperial Regio Esercito austriaco e per i tedeschi. Questi furono i dati “anagrafici” del pezzo all’uscita dalla fabbrica: 7,5 cm M.15 GK. L/13, numero di matricola 192. Questo obice rimase, però, per pochissimo tempo al servizio dell’Austria perché nel 1915 fu catturato dagli italiani sul fronte tridentino e, una volta inserito nel registro delle artiglierie nazionali al numero 112/2794, trasmutò in Obice 75/13 Modello 1915 dal Regio Esercito Italiano.
In verità l’obice boemo non era del tutto sconosciuto agli artiglieri italiani che, già nel 1914, ne avevano ricevuti alcuni esemplari dal sequestro, nelle acque napoletane, di una nave tedesca diretta in Cina. In aggiunta al fatto che, nel corso della Grande Guerra, i nostri artiglieri impiegarono la versione nazionale del Gebirgskanone Škoda 7,5 che era stata approntata in pochi esemplari dall’Ansaldo e conosciuta anch’essa come Obice 75/13 Modello 1915. Forse la cifra dei «…non meno di cinquemila cannoni» abbandonati dagli austriaci, secondo il generale Diaz nel Bollettino della Vittoria, era un po’ esagerata anche perché, se fosse stata realistica, a quelle bocche di fuoco se ne sarebbero aggiunte altre 715 ottenute a ristoro dei danni di guerra, e l’Italia avrebbe avuto il parco d’artiglieria più grande (e obsoleto) d’Europa!
In ogni caso i Gebirgskanone costituirono una cospicua parte delle bocche di fuoco cedute al Regio Esercito e impiegati come Obici 75/13 nella guerra d’Etiopia, di Spagna, di Albania e nella II Guerra Mondiale. Il pezzo rimase in servizio nella nostra artiglieria da montagna fino agli inizi degli anni Sessanta del Novecento.
Il paradosso fu che qualche pezzo sopravvissuto a due guerre del Gebirgskanone, era discretamente possibile reperirlo in Austria, abbastanza facile trovarlo in Italia, ma del tutto introvabile nel Paese che lo aveva prodotto: l’attuale Repubblica Ceca. Ma i paradossi, di solito, non sono destinati a durare se sulla loro strada s’incontrano personaggi che non conoscono affatto l’aggettivo ineluttabilità.
Uno di questi personaggi è certamente Jozef Špánik, il consigliere d’Ambasciata della Repubblica Ceca in Italia nonché rappresentante permanente presso le agenzie Onu della Fao e del Wfp. Ebbene, Špánik – che oltre ad essere uno storico e poliglotta, è soprattutto un efficiente e fedele servitore del suo Paese – decise che almeno un Gebirgskanone uscito della Škoda di Plzeň doveva ritornare nella sua patria d’origine, in un museo delle Forze Armate Ceche, o nella sede dell’Associazione Nazionale dei Legionari Cecoslovacchi. Ma da dove partire?
E qui entrarono in ballo due amici di Špánik, ovvero chi scrive e l’allora comandante del Centro Documentale Militare di Milano, il Colonnello di Artiglieria Mauro Arnò. Fu, infatti, grazie alle loro indicazioni ed al loro aiuto che Špánik riuscì ad intraprendere la giusta strada per la cessione al suo Paese di un obice inerte da parte del governo italiano. Il resto, la parte più importante in verità, l’hanno fatto l’Ambasciata Ceca in Italia, il IV Reparto di Logistica e Infrastrutture dello Stato Maggiore della Difesa, e il Ministero per i beni e le attività culturali.
Nel mentre gioiamo assieme all’amico Jozef per la riuscita di quella che potremmo definire “Operazione restituzione della memoria”, ci rammarichiamo di non essere ancora riusciti a saperne di più sul Gebirgskanone. Con qualche giustificazione, in verità, perché dopo la distruzione di molti archivi dell’apparato statale cecoslovacco operato dai nazisti occupanti e successivamente dai sovietici, a un secolo di distanza dalla fine della Grande Guerra non ci aspettavamo che fosse facile documentarsi su quando il nostro obice era partito per il fronte dalla fabbrica di Plzeň, o sulla data precisa e sul luogo in cui fu preso dagli italiani.
Forse sul fronte dell’Isonzo nel giugno del 1915, quando Cadorna scatenò la prima delle sue famigerate e inutili “spallate”? O sul Carso a luglio? Oppure, trattandosi di un obice da montagna, avvenne per opera degli Alpini nel corso dell’offensiva sul Tonale di quei giorni? Qual è stato l’ultimo reparto dell’Esercito Italiano ad averlo avuto in carico?
Ancora non le sappiamo queste cose, ma promettiamo al consigliere Jozef Špánik e agli amici dell’Associazione nazionale dei legionari cecoslovacchi che ci attrezzeremo per saperne di più. Chissà che, partendo dal verbale di demilitarizzazione numero 277 redatto il 21 aprile 1995 dall’arsenale di Piacenza, non si riesca ad arrivare alle risposte che cerchiamo e, magari, a scoprire l’intera vita operativa del Gebirgskanone matricola 192. E restituire, così, alla Repubblica Ceca e agli artiglieri italiani, un altro tassello della loro storia, assieme alla nostra riconoscenza per l’ eroismo con il quale – fianco a fianco – essi si batterono nella Grande Guerra.