I cani desiderano una vita da cani
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Il cane discende dall’adattabilità del coyote, dall’astuzia del lupo, dalla robustezza della iena e certe “protezioni” servono ai nostri esibizionismi, non certo a lui che le accetta quietamente non perché è stupido ma perché ci ama e si fida di noi, una fiducia non sempre ben risposta
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La vicenda del cucciolo di pastore maremmano Calik, che lo scorso 10 giugno è stato buttato da un ponte di Alghero racchiuso in un sacco, come fosse spazzatura, e salvato da un pescatore, pur se ci indigna e ci disgusta per la sua barbarie, deve lasciarci la lucidità sufficiente per indurci ad analizzare i comportamenti di coloro che i cani, invece, dicono di amarli.
Stando a diversi reperti fossili, già alla fine del Pleistocene superiore (all’incirca 12.000 anni fa), i cani vivevano in simbiosi con gli esseri umani e possiamo soggiungere che poiché quell’era fu dominata dalla glaciazione, l’uomo e il cane furono tra le specie che riuscirono ad adattarsi meglio. Oggi i cani nel nostro Paese sono all’incirca sette milioni e, per quanto bisognevoli di vasti spazi, il più delle volte vivono in pochi metri legati ad un corto guinzaglio. Vengono anche marchiati con un numero di matricola nell’orecchio, nutriti con delle schifezze definite croccantini e, molto spesso, subiscono il supplizio della castrazione.
Ma ritornando al modo in cui sono costretti a vivere i nostri amici a quattro zampe, viene naturale porre una domanda ai loro padroni: «Siete sicuri di conoscerli?». Noi, in verità, riteniamo di no ma prima di motivare questo convincimento consentiteci di proporvi quanto scritto sul cane dal papà della zoologia Carl von Linné meglio conosciuto come Linneo: «Il cane mangia carne, animali morti, sostanze vegetali, farinacei. Digerisce le ossa; si purga rigettando dopo aver mangiato erba […] È docile, capace di cercare oggetti perduti, di fare la guardia, di annunciare l’arrivo dei forestieri, di badare al bestiame e ai campi, di proteggere buoi e pecore dalle fiere, di scovare la selvaggina, di strisciare, di portare la preda al cacciatore senza mangiarla…». Dalle parole di Linneo emerge una verità che soltanto un cieco potrebbe ostinarsi a non voler vedere: il cane non è un animale da appartamento!
E non dobbiamo lasciarci fuorviare dal convincimento che, poiché vive a contatto con l’uomo, i loro due modi di vivere siano identici perché ognuno di essi ama vivere secondo la propria natura: l’uomo da uomo, e il cane da cane. Molte persone, per affetto od anche per egoismo tendono, invece, a “umanizzare” il cane – ma anche il gatto – non capendo che così facendo vanno contro l’ordine naturale delle cose. Alla fine, infatti, essi riescono a fare solo danni perché il cane che d’inverno è costretto in appartamenti con temperature superiori ai 20°, non è un cane amato ma, semmai, maltrattato perché il suo organismo è stato creato per farlo vivere all’aperto in ogni stagione. Pertanto, sballottolandolo tra un appartamento ben caldo e il parco gelato dove lo si porta a fare la pipì d’inverno, per lui ammalarsi di bronchite canina è soltanto questione di tempo.
E, poi, smettiamola di portarlo in giro con addosso delle ridicole copertine, o con ciuffi di peli legati da variopinti nastri, o con un foulard al collo, così ne facciamo dei fenomeni da postare su Facebook, non certo degli animali felici. A questo punto i casi sono due: o non sappiamo che il cane discende dall’adattabilità del coyote, dall’astuzia del lupo e dalla robustezza della iena, oppure lo sappiamo e allora dobbiamo confessare che certe “protezioni” servono ai nostri esibizionismi, non certo a lui.
E sbagliamo a pensare che il cane sia stupido soltanto perché si sottomette docilmente alle nostre discutibili attenzioni, lo fa perché ci ama e si fida di noi anche quando non lo meritiamo. La stupidità, d’altronde, è una prerogativa della razza umana, non del cane e a sostenerlo non siamo noi ma lo Zend Avesta, le sacre scritture della Persia zoroastriana: «Il mondo si regge sull’intelligenza del cane».
Mica su quella degli esseri umani.