Frutti che non coglieremo
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Nell’animo del credente musulmano è sì presente il riferimento all’eterna, immutabile giustizia divina annunciata dal Corano ma il perseguimento di questa giustizia passa attraverso un travaglio spirituale tipico forse del primo cristianesimo
– di Vincenzo Ciaraffa –
Una delle cause che secondo il sociologo Zygmunt Bauman hanno reso “liquida” la società è la morte di Dio nel cuore degli uomini. Eppure, stando alla quarta indagine nazionale sull’insegnamento della religione cattolica diffuso dalla Conferenza Episcopale Italiana (Cei) e che ha coinvolto tremila insegnanti e ventimila giovani, l’88% degli studenti sceglie di avvalersi dell’ora di religione. Per quanto la Cei non precisi che il dato percentuale, pur essendo cospicuo, è in costante calo, fin qui è tutto abbastanza chiaro, le complicazioni arrivano quando tentiamo di trarre alcuni insegnamenti dai dati statistici o fare alcune comparazioni.
Secondo l’Unione delle Comunità Islamiche d’Italia gli italiani convertiti all’Islam dal 2012 a oggi sarebbero più di ottantamila però, stando all’Interdisciplinary Journal of Research on Religion, nel mondo ci sarebbero almeno dieci milioni d’islamici convertiti al cristianesimo negli ultimi anni. Questi dati, provenienti da osservatori evidentemente attendibili, mostrano un paradosso: mentre centinaia di migliaia di occidentali si convertono all’Islam arruolandosi perfino nell’Isis, milioni d’islamici abbracciano, invece, la fede cristiana.
Sarebbe facile liquidare la questione sostenendo che molti cristiani in crisi d’identità vadano a immergersi nella spiritualità dell’Islam mentre moltissimi islamici, stanchi della cieca violenza dell’integralismo, si rifugino nella filosofia dell’amore che è alla base del Cristianesimo. Potremmo perfino spiegare il paradosso in un altro modo, ricorrendo al vaticanista Vittorio Messori che, nel saggio “Ossessione Islam”, sostiene che la crisi dell’Islam è iniziata da quando è venuto «… a contato con i nostri acidi solventi, quelli stessi che hanno corroso il marxismo, sino al crollo». Le cose stanno veramente così, il Cristianesimo e l’Islam vanno “contaminandosi” a vicenda? Proprio non lo crediamo, anzi, siamo persuasi che queste due concezioni religiose stiano scoprendo, se non le radici comuni, alcuni punti di contatto e di possibile convivenza.
A una prima valutazione, infatti, quella islamica non appare tanto distante da altre religioni monoteiste e il Corano, nella sua globalità, non appare meno etico della Bibbia e del Vangelo, forse perché ebrei, musulmani e cristiani si ritengono tutti discendere dal profeta e patriarca Abramo. Perdurano, ovviamente, alcune differenze strutturali tra le tre religioni.
Per l’ebreo Dio è il sommo giudice che consegna all’uomo la sua legge scolpita su tavole di pietra, rimanendo a vigilare sulla correttezza della sua applicazione, premiando i buoni e punendo gli empi. La legge del Dio ebraico è la giustizia applicata in terra dall’uomo il quale sarà ricompensato o punito già durante la sua vita materiale.
Gesù Cristo, invece, introduce due aspetti opposti a questo sistema di relazione con Dio; il primo è quello della bipartizione dei poteri perché, nella risposta che fornisce ai provocatori pubblicani (rendete a Dio quello che è di Dio…) egli riconosce il potere terreno degli uomini. Il secondo aspetto è la mansuetudine che contraddistingue Gesù dal vendicativo Dio ebraico e, come vedremo, anche da quello islamico, ben più simili, in verità, ad alcune tonitruanti divinità dell’Olimpo greco e latino.
L’Islam, derivazione e sviluppo sia dell’ebraismo, sia del cristianesimo, chiama Allah con tanti ossequiosi nomi e gli attribuisce tante qualità, ma per il credente egli è inavvicinabile e inaccessibile, tant’è che la sua rappresentazione figurativa è considerata una blasfemia. Nell’animo del credente musulmano è sì presente il riferimento all’eterna, immutabile giustizia divina annunciata dal Corano ma il perseguimento di questa giustizia passa attraverso un travaglio spirituale del tutto sconosciuto all’ebraismo e forse tipico del primo cristianesimo. In altre parole, nell’Islam l’uomo diventa il sofferto partecipe della propria esistenza, interpretando con le proprie forze – quindi senza l’intermediazione di un sacerdote – la volontà di un Dio della cui guida sente un intimo e insopprimibile bisogno.
Ebbene, i paradossi e le similitudini appena sviscerate, indicano un dato difficile da condividere in un momento in cui la follia islamista sta lasciando dietro di sé lunghe scie di sangue in tutto il mondo: è in atto un flusso e riflusso tra Cristianesimo e Islam! Non si potrebbe spiegare altrimenti questo “scambio” di fedeli. Il processo di pacifica inter-religiosità che ne scaturirà sarà certamente tormentato, i Governi lo gestiranno probabilmente malissimo (come sta facendo quello italiano), la strada da percorrere sarà lunga prima di arrivare alla meta e, v’è da giurarci, lungo il suo cammino non mancheranno violenze, attentati o minacce. Eppure, basandola su di un calcolo razionale, non ci manca la fiducia nel fatto che alla fine questo flusso/riflusso produrrà dei frutti buoni. Anche se non sarà la nostra generazione a raccoglierli.