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Fingono di difendere la democrazia, in realtà la stanno uccidendo

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Gli esempi di tentato omicidio della democrazia non mancano, a partire dall’annullamento della prescrizione recentemente votata dal PD-M5S, che fa a cazzotti con “La ragionevole durata del processo” prevista dall’articolo 111 della Costituzione, la propensione alle manette del governo, la proscrizione del denaro contante, l’irruzione del fisco nei conti correnti dei cittadini, la criminalizzazione degli avversari politici e la loro eliminazione mediante i media o certa magistratura
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Il Generale prussiano Helmuth von Moltke, benché classificasse gli Ufficiali del suo Stato Maggiore in intelligenti, pigri, volenterosi e stupidi, riteneva che da ciascuno di essi, con opportuni accorgimenti, potesse trarre comunque il meglio. Il vecchio Generale temeva gli Ufficiali volenterosi ma stupidi, in altre parole i cretini.  Ebbene, partendo dai timori di von Moltke, possiamo senz’altro sostenere che se i cretini sono pericolosi in un’organizzazione gerarchizzata come quella militare, figuriamoci quali devastazioni essi possono produrre in un sistema di potere fuori controllo, anzi diremmo anarchico e, per di più, autoreferenziale e devastato da rigurgiti di onnipotenza, come quello vigente nel Belpaese.

In Italia un sistema di potere fuori controllo? «Diamine – penserà qualche ingenuo –  viviamo in una democrazia liberale, abbiamo una Costituzione, e i poteri dello Stato sono separati e indipendenti!». Ma la prima, grave degenerazione del nostro sistema viene fuori proprio quando andiamo a dare un’occhiata a questi tre poteri separati e indipendenti, come dire il potere legislativo (il parlamento) che dovrebbe fare le leggi, il potere esecutivo (il governo) che dovrebbe farle eseguire e il potere giudiziario (la magistratura) che avrebbe il compito di giudicare se la legge viene rispettata o meno dai cittadini.

Benché la nostra sia una repubblica parlamentare, dove il capo dello Stato non ha poteri diretti in campo legislativo, esecutivo e giudiziario, e dovrebbe pertanto rivestire soltanto una funzione di rappresentanza e di garanzia, dal 1994 ad oggi il Quirinale è andato via via arrogandosi poteri che non gli competono, come quello di condizionare pesantemente la formazione e la composizione dei governi.

Sorvolando sul fatto che i magistrati italiani spesso e volentieri si candidano al parlamento per poi ritornare, al termine del mandato – e cioè appena usciti da “una funzione di parte” – a fare i giudici super parte… un’offesa per la giustizia, una barzelletta che va a sostanziare ogni giorno l’aforisma del vignettista satirico Altan: «La giustizia è uguale per tutti. Non è colpa nostra se non tutti sono uguali». A tal proposito una domanda: che fine ha fatto l’inchiesta sul figlio di Beppe Grillo accusato di stupro di gruppo, lo scorso agosto, proprio mentre nasceva il governo PD-M5S? E questo è soltanto un esempio di indipendenza della nostra magistratura.

 Dal canto loro i governi, con sempre maggiore disinvoltura, inclinano a by-passare il parlamento, che neppure svolge bene il compito che a lui assegna la Costituzione, cioè fare le leggi e farle bene! Sicché spesso è costretto a legiferare con le correzioni della Corte di Cassazione o della Corte Costituzionale, composte da magistrati scelti dalla politica e dalla stessa magistratura. Allora, sempre più spesso, chiamata ad intervenire sull’incapacità del parlamento di varare provvedimenti che siano perfettamente aderenti alla legge ordinaria ed alla Costituzione, la magistratura ci ha preso gusto e un po’ alla volta è uscita dal seminato, trasformandosi da potere indipendente in potere ingerente anche perché spesso, sotto la toga, essa indossa la livrea politica. Nella primavera – estate dell’anno passato, l’organo di autogoverno della magistratura, ovvero quel CSM presieduto dal presidente della repubblica, è stato squassato da uno scandalo politico-giudiziario di proporzioni così vaste ed articolate che cinque consiglieri su sedici si sono dovuti dimettere, perché coinvolti in indagini avviate dalla Procura di Perugia. Nella circostanza e nel corso di una seduta plenaria straordinaria, il presidente della repubblica fu costretto a lanciare un monito ai magistrati che non si era mai sentito in Italia da parte di un capo dello Stato: «O sapremo riscattare con i fatti il discredito che si è abbattuto su di noi o saremo perduti».

Enfatico ma tardivo il “grido di dolore” del presidente della repubblica perché – per come la vediamo noi – il Paese è già perduto e, detto con onestà, non tanto per colpa della mancata, sostanziale indipendenza della magistratura che, per forza di cose, tende ad occupare gli spazi lasciati vuoti dalla politica, e non tanto per l’incapacità coeundi della classe politica e dirigente, quanto per l’occlusione di quello che è il filtro purificante di ogni democrazia se fa bene il proprio lavoro: il sistema informativo.

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Ma può una democrazia come la nostra, che ha tanti contrappesi di garanzia ed istituti del controllo di legittimità degli atti di governo, andare in crisi soltanto perché il sistema informativo non fa il proprio lavoro, e cioè quello di oggettivamente informare? La risposta, però, è già intrinseca in questa domanda, se si va a vedere che cosa sono l’informazione e la disinformazione, laddove la prima è l’insieme dei dati oggettivi correlati tra loro e dai quali prende corpo la notizia, la seconda, invece, si realizza quando si “caricano”  ad arte i presupposti, il racconto e le conseguenze del fatto narrato, allo scopo di confondere, alterare e/o modificare l’opinione del fruitore della notizia. Sicché il confine tra l’informazione e la disinformazione diventa sottilissimo e impercettibile, avendo esse in comune, comunque, il medesimo accadimento.

Ma alla fine della fiera, a chi giova una notizia adulterata? Chi tira le fila della manipolazione? Per rispondere a queste domande basta vedere come il nostro sistema informativo sia in mano a holding, banche, gruppi industriali, finanziari e perfino in mano a capi di partito. Quale corretta informazione, ci chiediamo, potrebbe mai venir fuori da un tale coacervo d’interessi? Nessuna, sempre secondo noi, perché ognuno di questi soggetti ha interessi da difendere: il proprio partito di riferimento, un politico a loro “molto vicino”, un canale televisivo. Sicché un’informazione così lottizzata si trova a doversi quotidianamente produrre in quella che i comunisti russi, che ne furono i primi pianificatori, chiamavano disinformatia.

Il guaio è che, salvo qualche atollo di centrodestra, l’arcipelago della nostra informazione è orientato verso uno storicamente prodigale centrosinistra che oggi è rappresentato dal PD, che di questo è consapevole e compiaciuto. E ne ha ben donde! Con l’Ordine dei Giornalisti non sempre equidistante, con una parte della magistratura affetta da strabismo, con la generosità dei gruppi di potere (la fondazione “Open” della quale era referente Matteo Renzi, in cinque anni, ha avuto donazioni per 6,7 milioni di euro…) e con la smaccata vicinanza della maggior parte del sistema informativo, il PD ed il M5S sono ormai in preda ad un vero e proprio delirio di onnipotenza, sono pervasi da un senso d’impunità che, magari senza proporselo, li sta facendo lentamente slittare verso posizioni chiaramente autoritarie o, quantomeno, anticostituzionali.

E anche in questo caso gli esempi non mancano di certo, a partire dall’annullamento della prescrizione recentemente votata dal PD-M5S, che fa a cazzotti con “La ragionevole durata del processo” prevista dall’articolo 111 della Costituzione, la propensione alle manette, la proscrizione del denaro contante, l’irruzione del fisco nei conti correnti dei cittadini, la criminalizzazione degli avversari politici e la loro eliminazione civile attraverso la magistratura, come si era fatto a suo tempo con Berlusconi e come si sta tentando di fare con Matteo Salvini oggi. Il caso del segretario della Lega è, poi, paradigmatico della deriva partigiana di certa magistratura e dell’informazione: nonostante la richiesta di archiviazione proposta dal PM locale, il tribunale di ministri di Catania vuole processare per sequestro di persona un ministro che, nel legittimo esercizio delle sue funzioni, pur salvandoli, rifocillandoli e curandoli, impedì lo sbarco dalla nave militare Gregoretti agli immigrati clandestini salvati nel Mediterraneo, mentre si decideva della loro destinazione. In questo atto così specioso non vediamo la soggiacenza alla legge di tutti i cittadini ministri compresi, ma solo la fine della democrazia, laddove è certa magistratura a volere imporre le regole della democrazia rappresentativa.

Con una sospetta sintonia, il capo del governo, del quale faceva parte Salvini e i suoi ex alleati grillini, non sono stati toccati dall’accusa arrivata da Catania, anzi se ne sono tirati fuori, sostenendo che il blocco della Gregoretti fu un’arbitraria iniziativa dell’allora ministro degli interni Salvini. Ed è qui che entrano in scena gli stupidi e volenterosi tanto temuti da von Moltke, è qui che inizia la deriva partigiana dell’informazione, dove nessuno dei tanti media “allineati” ha osato chiedere a Conte e a Di Maio che proprio  in queste ore è intento a distruggere ciò che resta del M5S, come facessero a chiamarsi fuori stante il disposto dell’articolo 95 della nostra Costituzione: «Il Presidente del Consiglio dei Ministri dirige la politica del governo e ne è responsabile – I ministri sono responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei Ministri…». È l’ABC delle prerogative, dei doveri e delle funzioni di un governo democratico e ci stupisce (ma neppure tanto in verità) che, nonostante ciò, autorevoli testate abbiano entusiasticamente avvallato la tesi degli ex alleati di Salvini senza battere ciglio, senza farsi venire almeno qualche dubbio, senza muover loro qualche brandello di critica.

Crediamo sia chiaro, a questo punto, che se in Italia c’è il pericolo di una deriva antidemocratica – e c’è, ed è inutile negarlo –  la colpa non è del bieco Salvini, ma di coloro che tradiscono ormai impudicamente e impunemente quella terziarietà di funzione che assegna loro la Costituzione, come dire che buona parte dell’informazione, invece di fare le pulci a quelli che governano, se la prende invece con chi non governa niente: con le opposizioni!

In un Paese normale dei media così operanti  sarebbero periti sotto tonnellate di sdegno e di sonore spernacchiate, cancellati dal mercato sul quale, invece, si mantengono grazie all’ossigeno dei capitali di “controllori” privati e al finanziamento pubblico elargito dai governi in carica. Ciononostante, i giornali vengono letti sempre di meno, anche se va di moda la vulgata che essi siano entrati in coma profondo a causa della concorrenza dei social; ad essere in crisi di credibilità è il giornalismo stesso che, come nel caso italiano, è diventato l’ariete di una sola parte politica avallando metodi che dovrebbero ripugnare ogni cittadino democratico, che non sia volenteroso e stupido allo stesso tempo.

Lo stupido volenteroso oltre che servo è, dunque, pericolosissimo anche per la democrazia che, a questo punto, può essere salvata soltanto dai suoi ultimi anticorpi: quei cittadini che non ci stanno più a rendersi complici passivi dei liberticidi di qualsiasi colore annidati nelle istituzioni e nelle redazioni dei giornali e che, prima o poi, dovranno scegliere la piazza, quella reale e non la mediatica che farebbe il loro gioco, per fermare la deriva manipolatoria e oppressiva dell’intero sistema.

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