Felice Cavallotti e la politica italiana che non cambia mai
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Il Cavallotti uomo non fu diverso da quello politico perché anche in amore fu guascone, sfrontato, passionale e aggressivo, insomma un ribaldo che piaceva moltissimo alle languide signore dell’Italia Umbertina. La sua vita sentimentale si svolse in assonanza con le idee libertarie che professava perché, pur non essendosi mai sposato, ebbe due figli da quelle che tra i socialisti e i radicali del tempo si chiamavano “libere unioni”. Le sue libere unioni ebbero il volto di due bellissime attrici di teatro come l’ungherese Maria Feller e l’italiana Assunta Mezzanotte
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Quando, nel parco del sanatorio di Merate, il 18 agosto del 1910, il conte Ferruccio Macola si tirò una pistolettata alla testa, pochi in Italia ricordavano che era stato lui, dodici anni prima, a uccidere in duello l’uomo politico più noto del suo tempo, Felice Cavallotti. Ma la storia finita sulla punta della sciabola del conte suicida era iniziata molti anni prima.
A metà dell’Ottocento Milano e il suo circondario erano già meta di una massiccia immigrazione proveniente dal Veneto in ragione del fatto che, pur facendo parte anch’essa dei domini austriaci, vi si respiravano un clima più liberale e più concrete possibilità di trovare lavoro rispetto a qualsiasi altra parte d’Italia. Fu per questa ragione che Felice (Carlo Emanuele) Cavallotti nacque a Milano nel 1842 e non a Venezia da cui il padre era emigrato per venire a fare l’impiegato nell’esattoria della città di Milano.
Possiamo ritenere, dunque, che la fanciullezza di Felice Cavallotti non trascorse tra gli agi materiali e neppure in una famiglia che, perché legata al potere costituito, poteva permettersi la stessa visione liberale della maggior parte della società milanese fin da prima delle Cinque Giornate. Ciononostante Cavallotti divenne, almeno agli inizi, un sostenitore alla politica «Passo per passo» perseguita da Cavour al fine di realizzare l’Unità d’Italia anche se, in realtà, il suo carattere battagliero era più affine a quello di Giuseppe Garibaldi che non allo statista piemontese dal sangue ghiaccio.
Felice Cavallotti, infatti, non aveva neppure diciotto anni quando scappò da casa per arruolarsi nei Mille e, per quanto giovanissimo, una volta arrivato nella capitale dell’ex regno borbonico, a Napoli, capì che Vittorio Emanuele II e Cavour, dopo averlo mandato allo sbaraglio nella conquista del Sud, già brigavano per togliere la vittoriosa iniziativa dalle mani di Garibaldi. Fu in quella precisa contingenza storica che Cavallotti divenne un fiero antimonarchico (come, in verità, lo era la maggior parte dei volontari garibaldini) attestandosi su delle posizioni politiche radicali tanto da divenire, in pochi anni, il fondatore del Partito Radicale assieme al medico Agostino Bertani, un patriota e un politico che oggi definiremmo di estrema sinistra.
Come gli succederà di fare più volte, nel 1865 Felice Cavallotti fondò e diresse per un certo tempo il giornale Lo Scacciapensieri, una pubblicazione satirica specializzata nel mettere alla berlina il governo e la monarchia, insomma il potere costituito, ma che poi chiuse per assumere la direzione del Gazzettino di Milano, un giornale che, oltre alla politica, guardava con attenzione anche alle questioni sociali del tempo.
Dal punto di vista esistenziale poi, trovava insopportabile il conformismo dell’Italia post risorgimentale il che lo indusse da aderire alla Scapigliatura, un movimento artistico e letterario d’avanguardia composto d’individui che, se fossero vissuti un secolo dopo, li avremmo di certo chiamati beatnik o beat generation. Nata a Milano subito dopo l’Unità, la Scapigliatura si diffuse in tutta Italia, anche se fu nel capoluogo lombardo che ebbe i suoi maggiori sostenitori tra i quali appunto Cavallotti. Come lui, gli scapigliati erano nemici giurati della cultura tradizionale e dei benpensanti, come dire della chiusa borghesia dell’epoca.
Quell’adesione accentuò il suo atteggiamento di sfida nei confronti dei governi e della Destra storica che, come la Democrazia Cristiana a venire, ne detenne per molti anni il monopolio, così come rinfocolò il suo spirito democratico, l’avversione per la monarchia e per la corruzione politica che, evidentemente, affligge il nostro Paese fin dai suoi primi anni di vita. A riguardo, dal giornale Il Gazzettino Milanese Cavallotti fu il primo politico italiano della nostra storia a porre la “Questione morale” dopo che il deputato Cristiano Lobbia aveva denunciato un grosso gire di mazzette per pilotare l’appalto del Regio Monopolio dei Tabacchi.
Nel 1866 Felice volle seguire Garibaldi anche nella Terza Guerra d’Indipendenza che non si concluse brillantemente per l’Italia e, l’anno successivo, fu a Mentana dove le truppe garibaldine furono facilmente battute dai francesi e dall’esercito pontificio dotati del nuovissimo fucile francese a retrocarica modello Chassepot. Da quel momento l’anticlericalismo di Felice divenne ancora più forte, quasi ossessivo, ed ebbe modo di trovare sfogo sui giornali e in Parlamento dove fu eletto nel 1873, a soli 31 anni.
Ma l’Italia così come stava venendo su non gli piaceva per niente sicché Felice, oltre a essere un nemico della Destra storica, lo divenne anche della Sinistra quando questa salì al potere con Agostino Depretis che, in verità, era un grande maneggione e l’iniziatore di quel trasformismo politico che nel corso degli anni a venire si sarebbe chiamato connubio, governo di unità antifascista, compromesso storico, governo di scopo e, in questi ultimi anni, governo di solidarietà.
Nonostante le idee politiche fossero abbastanza simili, Felice non ebbe un buon rapporto con i socialisti che lo consideravano un deviazionista. Ciò anche perché nelle questioni sentimentali il Cavallotti uomo non era diverso da quello politico essendo, anche in quel campo, sincero, guascone, sfrontato, passionale e aggressivo, insomma un ribaldo che piaceva moltissimo alle languide signore del periodo umbertino. Infatti, la sua vita sentimentale si svolse in assonanza con le idee libertarie che professava perché, pur non essendosi mai sposato, ebbe due figli da quelle che tra i socialisti e i radicali del tempo si chiamavano “libere unioni”.
Le libere unioni di Felice ebbero i nomi di due bellissime attrici di teatro del tempo: l’ungherese Maria Feller e l’italiana Assunta Mezzanotte che gli diedero un figlio a testa, rispettivamente Mariuccia e Peppino. Il fatto strano, ma forse neppure tanto dato l’uomo, fu che Felice volle allevare personalmente quei figli nati fuori dal matrimonio, altro motivo di scandalo per quell’epoca.
Dopo la collaborazione con Il Gazzettino di Milano, durata sette anni, Cavallotti fondò un altro giornale, Il Lombardo, a sostegno della politica di opposizione al governo da lui avversato nella duplice veste di parlamentare e giornalista. Ciò che lo rese famoso tra gli italiani erano i suoi scatti impulsivi, le sue impennate oratorie e anche certe pose tribunizie nelle quali indugiava spesso. Per quelle caratteristiche, possiamo sostenere che, se ne avesse posseduta la calma serafica, Cavallotti sarebbe potuto diventare il successore di Garibaldi nell’immaginario degli italiani.
Il suo impegno politico negli anni che vanno dal 1876 al 1882 fu ampio e variegato: in Parlamento si batté gagliardamente per la riforma elettorale, per lo snellimento della burocrazia, per la soppressione degli enti inutili, per il divieto per i politici di cumulare cariche, per l’allargamento della base elettorale (all’epoca votava soltanto il 5% degli italiani), per lo scrutinio di lista, per la distinzione tra delitti comuni e politici e per l’abolizione di ogni discriminazione fra gli elettori.
A questo punto non si può fare a meno di rilevare che, dai tempi di Cavallotti a oggi, la politica italiana non ha fatto grandi passi in avanti dal momento che i partiti stanno ancora ad azzuffarsi sui medesimi problemi di allora. Comunque, la sua autentica passione riformatrice fece di lui il «bardo della democrazia» e gli conferì la leadership della Sinistra Radicale e una grande popolarità.
Terminata quella breve e agitata esperienza da direttore di giornale, Felice pensò di scrivere la storia del Risorgimento ma non andò oltre la stesura di alcuni capitoli iniziali: non era uomo da papalina in testa e penna in mano fino a notte tarda. Purtuttavia, nel 1871, su incitamento dello scrittore scapigliato Carlo Righetti, passò a scrivere per il teatro dove le sue opere – che rispecchiavano il suo temperamento – ebbero un vasto successo perché rompevano gli schemi culturali e morali dell’epoca come, per citarne uno, il dramma I pezzenti incentrato su di un triangolo moroso nella cornice storica della rivolta olandese contro la Spagna di Filippo II.
La maggior parte dell’attività politica e giornalistica di Cavallotti si svolse durante quella che gli storici amano ricordare come «Italia umbertina», cioè in un Paese intriso di perbenismo di facciata e di uzzoli imperialisti sproporzionati alle sue reali capacità militari, economiche e politiche. Per questa ragione egli fu un irriducibile avversario della politica coloniale di Francesco Crispi, ritenendola giustamente velleitaria per un Paese che, su 31 milioni di abitanti, rilevava 25 milioni di analfabeti.
Anche quando nel 1885, passando dalle parole di solidarietà ai fatti, partì volontario per la Sicilia dove era scoppiata un’epidemia di colera, fu la cattiva coscienza di un’Italia che – come quella di oggi – parlava, parlava senza misurarsi con la realtà e, soprattutto, con se stessa.
A seguito di un attacco subito dal giornale conservatore La Gazzetta di Venezia, Cavallotti ne sfidò a duello con la sciabola il direttore, il Conte Ferruccio Macola… oggi un politico che si sente calunniato dai media si rivolge al tribunale, ma all’epoca le cose finivano spesso a sciabolate.
Quel duello pareva non dovesse avere storia perché Felice ne aveva già sostenuti, e vinti, ben trentadue, ma il destino quella volta aveva disposto diversamente per quell’incrociare di sciabole che ebbe luogo a Roma, nel parco di Villa Cellere, nel primo pomeriggio del 6 marzo 1898. Durante lo scambio di colpi Cavallotti fu attinto da una sciabolata alla gola che gli recise la carotide facendo sì che, nel giro di pochi minuti, egli fosse soffocato dal proprio sangue.
Con la prematura morte di Cavallotti sparì dalla scena l’unico uomo politico capace di cantarle al perverso sistema di potere che andava strutturandosi fin da quegli anni. Era sì un generoso e intemerato pasticcione che affrontava la lotta politica alla garibaldina maniera, ma era un onesto pasticcione di cui anche gli errori profumavano di bucato, come indirettamente colse Filippo Turati nel discorso che pronunciò ai suoi funerali, che si tennero tra Milano e Dagnente, sul Lago Maggiore e frazione di Arona: «Non fra due anni, come novella il lunario, ma oggi qui il secolo si suggella, qui non a un uomo diciamo addio ma a una generazione di uomini, a quanto fu in essa di bello, di alto, di fiero». Come dire – senza le circonvoluzioni oratorie di Turati – che, una volta spariti gli uomini veri come Felice Cavallotti, nel panorama politico italiano sarebbero sopravvenuti i corrotti, gli “eunuchi” e le mezze seghe.
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