E se Netanyahu non fosse un fetentone?
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Il premier israeliano ha saputo combattere e vincere su tre fronti. Grazie anche a lui, al momento, abbiamo due regimi dispotici che si stanno sputtanando in Medio Oriente (uno di essi soprattutto in Ucraina), anche se questo non ci rassicura perché le mosse dei despoti, quando sono alla canna del gas, diventano sempre irrazionali o disperate
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Le dittature finiscono tutte allo stesso modo: l’eliminazione del despota di turno se non è già scappato, poi di quelli che potrebbero mettere in imbarazzo i nuovi padroni rivelando i loro passati traccheggi e, infine, si procede all’eliminazione dei simboli come insegne, statue e bandiere. Si continua scandagliando la vita privata e familiare del dittatore, con l’obiettivo di mettere alla berlina i suoi presunti vizi e perversioni, spesso inventati di sana pianta. I garibaldini, per esempio, quando accorsero a difendere la Repubblica Romana di Mazzini, Armellini e Saffi nel 1849, sostennero di aver trovato nei palazzi dei cardinali scappati a Gaeta al seguito del papa Pio IX alcuni di quegli oggetti che oggi chiamiamo sex toy. Del dittatore siriano Bashar al-Assad, scappato dal suo ignavo protettore di Mosca, sappiamo che, oltre a essere stato un macellaio del suo stesso popolo, aveva un garage pieno di auto di lusso come Ferrari, Lamborghini e Bmw… il solito vezzo dei media occidentali d’indugiare sugli aspetti folclorici di una dittatura ormai defunta e non sulle conseguenze geostrategiche che la sua fine può provocare. Intanto bisognerebbe domandarsi che cosa farà il capo degli insorti siriani, Abu Mohammad al Jawlani, adesso che è a Damasco, fermo restando che la coalizione jihadista Hayat Tahrir al Sham per l’Onu e per molti Paesi occidentali è una derivazione dell’Isis, ovvero un’organizzazione terroristica.
Riguardo alla Siria, con la solita scarsa lucidità e coerenza strategica, gli Stati Uniti, per bocca del presidente uscente Biden hanno fatto sapere che non vi permetteranno il ritorno dell’Isis, dimenticando che gli insorti sono stati aiutati anche dalla Turchia loro alleata nella Nato. Ciò mentre chi sarà alla Casa Bianca tra poche settimane, Donald Trump, ha anticipato che non gliene può fottere di meno della questione siriana e che gli Stati Uniti faranno bene a restarne fuori anche perché, maligniamo noi, c’è sempre il loro forte alleato israeliano a fare la guardia nell’area. Ma, mentre scriviamo, sta per riunirsi il Consiglio di sicurezza dell’Onu dove anche la Russia e la Cina detengono il diritto di veto, sicché è scontato che questo pletorico consesso non deciderà niente di concreto, anche perché non è detto che Putin accetti di andarsene dalla Siria, dove ha due basi militari, con una mano d’avanti e l’altra dietro, anche per non dare l’idea agli autocrati dell’area di essere un alleato poco affidabile. Ma neppure l’Iran vorrà sentirsi con due piedi in una scarpa adesso che è molto più debole di ieri grazie a Israele che ha facilmente annientato i suoi proxy, mettendo anche a nudo la sua scarsa incisività militare in almeno tre occasioni.
È vero che i jihadisti non appena sono entrati a Damasco hanno assaltato la sua ambasciata, ma questo potrebbe non significare niente neppure a fronte del fatto che la formazione vincente in Siria è salafita, mentre l’Iran è a maggioranza sciita, come dire due correnti religiose islamiche diverse fin dalle origini e perfino in lotta tra di loro. Esse, però, sono simili sul piano operativo tant’è che oggi, pur dopo un’evoluzione storica diversa, si trovano entrambe sul versante dell’Islam antioccidentale e conservatore, pertanto non si può escludere a priori un qualche futuro abboccamento tattico. Non a caso, secondo noi, l’Iran ha fatto subito sapere di avere attivato dei canali di comunicazione con il nuovo padrone della Siria Abu Mohammad al Jawlani anche se questi, rinnegando gli antichi legami con Al-Qaeda, continua a fare professione di moderatismo. Per la verità, anche i talebani si dicevano moderati agli inizi.
L’unico Paese con le idee chiare in questo momento è Israele, che in qualche maniera (in molte maniere probabilmente…) ha contribuito alla vittoria dei jihadisti siriani debellando i loro principali nemici anche in terra di Siria, come dire i proconsoli iraniani di Hezbollah e di Hamas che combattevano per Assad. L’esercito israeliano, infatti, senza sapere né leggere e né scrivere, è andato subito a occupare alcune posizioni strategiche avente per centro il monte Hermon, in previsione di qualche inedita saldatura futura tra jihadisti e ayatollah. Ovviamente è troppo presto per prevedere in modo credibile che cosa succederà adesso in Siria e, tuttavia, un’analisi alla buona possiamo già farla partendo da due date: il 24 febbraio 2022 e il 7 ottobre 2023. Nella prima Putin attaccò l’Ucraina pensando di farne un boccone nel giro di qualche settimana e affermare, così, la sua leadership imperiale; nella seconda l’Iran pensò d’infliggere un duro colpo (soprattutto morale) a Israele tramite i macellai di Hamas prima e di Hezbollah dopo.
Ebbene, a distanza di due anni e dieci mesi, Putin si trova ancora impantanato nel Donetsk e il suo esercito, che pare abbia avuto fino a oggi uno spropositato numero di morti, riesce a operare grazie agli aiuti della Cina, della Corea del Nord e dei droni iraniani. In meno tempo, invece, gli ayatollah di Teheran, che avevano sul Medio Oriente le stesse mire imperiali del loro amico Putin, sono stati riportati con i piedi per terra da quel fetentone di Bibi Netanyahu, che ha saputo combattere e vincere su tre fronti contemporaneamente. Grazie anche a lui, dunque, al momento abbiamo due regimi dispotici dei quali uno è finito nella polvere e l’altro si sta sputtanando anche in Siria, ma questo non ci rassicura perché le mosse dei despoti, quando sono alla canna del gas, si rivelano sempre irrazionali e pericolose. Almeno fino a quando quell’altro fetentone di Donald Trump non riuscirà a portare Putin al tavolo delle trattative sulla concreta ipotesi di uno “scambio bilanciato” tra il dossier siriano e quello ucraino. A volte i fetentoni fanno di questi miracoli perché sono pragmatici e non come molto spesso sono i peggiori nemici della pace: sognatori.
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