È nato in Lombardia l’Andrés Segovia italiano?
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Di Simone Cutuli, giovanissimo astro nascente della chitarra classica, prima dell’innato talento colpiscono il tratto signorile, l’umiltà e l’attenzione che egli pone per le cose che dice il suo interlocutore, chiunque esso sia. In sua presenza, infatti, non si ha la sensazione di trovarsi al cospetto del solito artista “pompato” e perciò presuntuoso e pieno di sé ma, al contrario, in presenza di un giovane che per capacità e stile si discosta parecchio dalla media dei suoi coetanei. In fondo sono proprio queste le caratteristiche primarie del grande musicista
– Enzo Ciaraffa –
Devo confessarti, Simone, che i forsennati ritmi della vita moderna non mi hanno sempre concesso la possibilità di fare una pausa dello spirito in compagnia di buona musica. Nel caso specifico, poi, non ascoltavo un grande della chitarra classica dal 1976, dall’esibizione di Andrés Segovia nella cornice dell’Alhambra di Granada. Ebbene, pur non inclinando a paragoni azzardati o caramellosi, devo dire che, dopo tanti anni, ho provato il medesimo piacere di quell’esibizione quando, lo scorso 19 settembre, ti sei esibito presso la Galleria Boragno di Busto Arsizio, a latere della mostra del pittore Bagela. Mentre pizzicavi le corde della chitarra ho captato, infatti, antiche assonanze, pensa che mi hai fatto perfino ritornare alla mente qualche verso de “La Guitarra” di Garcìa Lorca: «Incomincia il pianto della chitarra/È inutile farla tacere/È impossibile farla tacere…». Ma veniamo alla prima domanda che credo sia scontata: come e perché, nell’era dello sfrenamento digitale anche della strumentazione musicale, un ragazzino di cinque scopre la chitarra classica?
In casa mia si è sempre fatta della musica, sia prima che dopo la mia nascita, anche se devo confessare che il mio approccio con la chitarra iniziò con quella elettrica (che suono tutt’ora nel tempo libero); era “in parallelo” che suonavo anche la chitarra classica. Però, con gli anni e con la maturità artistica mi sono avvicinato sempre di più al mondo della classica, al punto da perdermi nella sua eleganza e nel suo studio. Penso che questa diversità, elettrica/classica, alla fine mi abbia arricchito e, cosa molto importante, mi abbia portato ad amare la musica senza etichette o pregiudizi. Casa mia, poi, è sempre stata ritrovo di incontri con amici musicisti e artisti. Insomma, non mi sono mai mancati momenti di musica ed arte.
Certo, però il livello di bravura al quale sei pervenuto fonda anche sulla predisposizione, o se vuoi su di un talento naturale, ma immagino che siano occorsi anche tanta preparazione e dei bravi maestri. Quando hai iniziato, quali studi hai fatto e chi sono stati i tuoi maestri in Italia e all’estero.
All’inizio del mio viaggio nel mondo della musica ho avuto la rara fortuna di avere due grandi maestri: mio padre e il maestro Matteo Pallavera che, in realtà, è un contrabbassista. Ebbene, è stato proprio lui che mi ha fornito le basi. Poi, dopo anni passati a studiare col maestro Pallavera fui ammesso nel Conservatorio “Giacomo Puccini” di Gallarate; da lì in poi ho avuto modo di affinare sempre di più la mia tecnica. Inoltre ho avuto modo di crescere anche grazie ad alcune master-class con i migliori chitarristi al mondo tra i quali David Russell, Oscar Ghiglia (già allievo di Segovia), e Christian Saggese: con quest’ultimo studio tutt’ora.
Salvo rare eccezioni, gli artisti non sono sempre appoggiati con entusiasmo dalle loro famiglie che, magari, per loro avevano delle aspettative più concrete ed immediate, mentre pare di capire che il tuo primo maestro sia stato papà. Avere i genitori come primi supporter della tua scelta è stato determinante?
Certo, fondamentale. Per i miei genitori la musica è arte, equilibrio e bellezza, sono perciò contenti della mia scelta e, come detto prima, mi hanno sempre sostenuto.
Lo studio della musica è conciliabile con un corso di studi regolari? Vorrei sapere, in realtà, se è possibile conseguire un diploma od una laurea universitaria mentre si studia musica.
Lo studio in conservatorio è già un percorso universitario, anzi è anche di più. Per un ciclo completo di studi in conservatorio ci vogliono, infatti, circa tredici anni, ovvero più di ogni altro corso universitario. Il corso si divide in otto anni per il diploma e altri cinque per la laurea. In ogni caso è possibile iniziare, in parallelo, qualsiasi percorso universitario classico.
Credo non sia né facile, né economico mantenersi nello studio della musica: nonostante il fatto che in Italia la musica e la cultura in generale siano pressoché neglette per i governi, quale ente regionale o privato ti ha aiutato con qualche borsa di studio?
A dir la verità nessun ente mi ha mai aiutato sul piano economico. Esistono, certo, enti privati che ti permettono di fruire di borse di studio dopo una severa selezione mediante delle competizioni strumentistiche detti concorsi, nazionali ed internazionali.
Se non ricordo male, esistono due principali tecniche per suonare la chitarra classica, ovvero con le dita della mano, con le unghie o con quella farfallina flessibile che voi musicisti chiamate plettro: qual è la differenza e la resa tra questi diversi metodi.
Nel mondo della classica il plettro non viene utilizzato perché essendo la chitarra uno strumento preposto per la polifonia ed il contrappunto, l’utilizzo del plettro inibirebbe la possibilità di creare armonia. Inoltre nella chitarra classica la qualità del suono con le dita non è sostituibile dal suono del plettro.
Nell’immaginario di noi profani è radicata l’idea che la chitarra sia uno strumento eminentemente solista mentre si ha notizia di pezzi scritti per duetti, terzetti e perfino per quartetti. Ti sei mai esibito con altri musicisti?
Sì, mi sono esibito con un quartetto e recentemente in un duo chitarra e violoncello. Ho avuto anche modo di suonare con altri strumenti come il flauto, il clarinetto e il violino. In aggiunta esistono non solo duetti, terzetti e quartetti, ma anche dei veri e propri concerti per chitarra e orchestra.
Il maestro francese di chitarra classica e famoso chitarrista egli stesso, Judicaël Perroy, ha detto di te: «Sei un super talento, non vedo nessun limite per te». Questo prestigioso attestato è per te un punto di arrivo o di partenza?
I complimenti che ho ricevuto dai grandi maestri per me sono sempre stimolanti, ma non li considero punti di arrivo o di partenza. D’altronde, il risultato degli apprezzamenti anche da parte di grandi maestri, si ottiene dalla qualità del proprio studio costante, ogni giorno.
Quali sono i luoghi più importanti dove ti sei esibito fino ad oggi, oltre alla Sala Gaber del Grattacielo di Regione Lombardia assieme a “Le migliori chitarre di Lombardia”, e al Castello Sforzesco.
In Italia per i musicisti classici, e non solo, le occasioni di esibirsi sono ridotte rispetto agli altri Paesi europei. Grazie anche ai concorsi ho avuto modo di suonare in Spagna, precisamente al Palao de la musica di Valencia, a Stoccarda, a Pleven in Bulgaria, oltre che in alcune località italiane.
Data la tua giovane età, ciò che mi ha colpito quando ci hanno presentati è stato il tratto signorile, la tua umiltà e attenzione per le cose che dice l’interlocutore, chiunque esso sia. Per dirla con chiarezza, non avuto la sensazione di trovarmi al cospetto del solito talento presuntuoso e pieno di sé. Con chi mi devo complimentare per questo tipo di educazione, con la mamma, con il papà, con i maestri o con la fidanzata… a proposito ce l’hai una ragazza?
Innanzitutto la ringrazio per questo bel complimento. Sicuramente l’esempio dato dai miei genitori ha influito sul mio modo di essere… sì, ho una ragazza.
Da Boragno hai magnificamente eseguito la Suite 1008 di Bach, l’Andante della sonata romantica e il Tema variato finale di Ponce, oltre alla Sonata k53 di Scarlatti. La domanda che ti faccio è: ti secca se durante un’esibizione ti chiedono di eseguire anche un motivo “leggero”, popolare come si suole dire.
In verità non mi è ancora capitato che il pubblico mi facesse richieste esulanti dal programma. Generalmente un concerto classico non include musiche popolari a meno che non sia il musicista stesso ad inserirle nel repertorio del concerto. Personalmente non le inserirei, ad eccezione di qualche trascrizione di melodie popolari.
Insomma sei un mostro di garbatezza e di tatto, un talento naturale anche nella vita. Bene Simone, siamo ormai giunti alla fine dell’intervista: con quale esecuzione ti piacerebbe salutare gli amici del nostro blog.
Va bene se le dico con l’esibizione nell’ambito della mostra di Bagela del 19 settembre in Galleria Boragno a Busto Arsizio?
Va benissimo … se ti accontenti della modestia dei nostri mezzi, una modestia che un po’ ci fa sentire in colpa di fronte al tuo talento.