È iniziata la fine della Repubblica
Share
Le prime, sottovalutate avvisaglie dell’approssimarsi della fine si ebbero il 20 aprile del 2013, quando il Parlamento in seduta plenaria si rivelò incapace perfino di scegliere con una votazione il nuovo presidente della Repubblica
– Enzo Ciaraffa –
Il 13 ottobre del 1815 l’ex re napoleonide di Napoli, Gioacchino Murat, fu fucilato dai borbonici a Pizzo Calabro. Mentre ciò avveniva il re delle Due Sicilie in carica, Ferdinando IV di Borbone, che si trovava a caccia nel sito reale di Carditello, così annotava nel suo diario: «Oggi ho ucciso 20 cucciarde (allodole) e 2 ciaole (cornacchie)». Come dire che non si era reso conto che con la morte di Murat – che era pur sempre un un tardivo figlio della Rivoluzione Francese – era sì finita l’epopea napoleonica in Italia ma era anche iniziata la lenta fine della sua retriva dinastia: essa sarebbe scomparsa 55 anni dopo con l’affermarsi delle idee di Libertà, Uguaglianza e di Fratellanza, che Murat aveva comunque contribuito a diffondere.
Ebbene, oggi 7 maggio 2018, scendendo improvvidamente dal colle del Quirinale, la classe politica non si è resa conto di avere intrapreso un cammino che porterà la Repubblica italiana a seguire lo stesso destino del Regno di Napoli, e questo perché essa – eccetto la Boldrini che l’ha capito fin troppo bene – non vuol capire di stare a sottovalutare quel “modellatore” di idee che è diventato il Social e, perciò, non riesce a raccapezzarsi di come governare un Paese che non capisce e non conosce più. Bisogna anche dire che le prime, preoccupanti avvisaglie si ebbero il 20 aprile del 2013, quando il Parlamento in seduta plenaria si rivelò incapace perfino di scegliere il nuovo presidente della Repubblica, sicché – fatto fino ad allora inedito nel nostro ordinamento – si dovette rinnovare l’incarico all’anziano Giorgio Napolitano. Figuriamoci, poi, dover esprimere capacità di governo e di ben amministrare un Paese di sessanta milioni di abitanti nell’era della globalizzazione!
I problemi adesso sono tutti di Mattarella che, per sbloccare lo stallo della Repubblica, non ha molto spazio di manovra: in base all’articolo 92 della Costituzione, egli «Nomina il presidente del Consiglio e, su proposta di questo, i ministri, scegliendo la persona considerata più adatta a interpretare l’indirizzo politico della maggioranza uscita dalle urne». Ciò significa che, se non si atterrà a questa disposizione nominando un governo neutro o super partes (in politica veramente non esiste né l’uno, né l’altro), farà certamente cosa indispensabile al Paese ma non rifletterà la “maggioranza uscita delle urne” e così facendo, in un certo senso, infrangerà la Costituzione.
Un suo predecessore, coinvolto nell’allegra gestione dei fondi dei servizi segreti all’epoca in cui era ministro degli interni, in ben altre circostanze dunque, informò gli italiani, a reti Rai riunite, che lui non ci stava! Per una causa certamente più nobile faccia qualcosa del genere Mattarella oggi, chiamando con un proclama la classe politica al senso di responsabilità verso il Paese e verso le future generazioni, se vuole almeno provare a salvare ciò che resta di questa Repubblica.
Temiamo, però, che una situazione economica e politica allucinante, in aggiunta ai guasti provocati dall’infantilismo di una generazione politica alla quale della Res Publica importa poco a niente, richieda dei giganti per essere raddrizzata e, purtroppo, Mattarella un gigante non lo è mai stato neppure lui. Lo è sembrato in qualche misura, in questi giorni, soltanto perché è stato costretto a rapportarsi con dei nani.