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Dai ragazzi dei Manga ai politici del menga

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Per capire come sono stati plasmati i politici nelle cui mani abbiamo messo le sorti del nostro Paese, basta ascoltarli quando parlano: sono incapaci di elaborare concetti articolati e di portare avanti un ragionamento creativo che tenda all’individuazione e alla soluzione dei problemi sul tappeto, senza parlare dell’assenza di duttilità mentale e della capacità di astrazione

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Non siamo mai stati d’accordo con coloro i quali sostenevano che l’Italia Unita sia nata handicappata perché realizzata tardi: diavolo, fosse stato così, avessimo avuto davvero tanto tempo a disposizione per metterla insieme, ne sarebbe uscito un capolavoro! E, invece, la nostra nazione fu realizzata in breve tempo, in appena tredici anni per la precisione, troppo pochi per non lasciarsi dietro incompiute, errori e ingiustizie. Infatti, dopo aver passato più di otto secoli a fottercene di chi fosse il nostro padrone straniero di turno, all’insegna del guicciardiniano “O Franza o Spagna, purché se magna”, all’inizio dell’Ottocento (stimolati dai padroni del vapore del Nord…) s’iniziò a capire che sette piccoli Stati in trecentomila chilometri quadrati non ci potevano stare senza diventare una dépendance economica di Francia e d’Inghilterra. Il guaio fu che l’Unità si fece sotto l’egida dei Savoia, una dinastia franco-piemontese retrograda, rozza e colonialista che, tra l’altro, diede tre pessimi sovrani all’Italia e si estinse, con grande infamia, nel corso di appena tre generazioni.

Nonostante un tale handicap, ma forse proprio per questo, lo Stato pre e post risorgimentale sfornò amministratori di buon livello (parliamo di livello politico perché la morale era quella del tempo…), come Camillo di Cavour, Marco Minghetti, Giovanni Giolitti, Sidney Sonnino e Francesco Saverio Nitti, chiamati anche notabili da Indro Montanelli. Tralasciando il ventennio dello Stato fascista, che dal 1922 al 1943 non ebbe più una classe dirigente ma soltanto un incapace guitto in stivali e orbace, dopo la Seconda Guerra Mondiale, che per noi si concluse in modo disastroso, fu chiamata a governare il Paese la generazione politica che si era formata alla scuola dei già menzionati notabili, come De Gasperi, De Nicola, Einaudi, Nenni, Saragat, Pertini, Gronchi e La Malfa, per dirne alcuni. Si trattava di gente che aveva esperienza, capacità e, quel che più conta, un progetto politico in testa, un progetto che si poteva apprezzare o disprezzare, ma al quale non si potevano non riconoscere la passione, la competenza, l’esperienza e gli studi che ne erano alla base. E fu l’Italia del boom economico, in un Occidente che stava vincendo la guerra fredda senza sparare un colpo grazie a leader iconici che, nel bene e nel male, furono i campioni politici e religiosi del loro tempo.

Poi venne la generazione politica dei loro allievi come quella degli Andreotti, dei Craxi, dei De Mita, dei De Lorenzo, dei Sullo, dei Berlinguer e del consociativismo quando, sottobanco, tutti i leader cedevano qualcosa agli altri non per disinteressata mediazione politica ma per demagogia, o per interessi privati. E fu l’Italia dell’esplosione del debito pubblico e di Mani Pulite, un fenomeno giudiziario che dal 1992 a oggi ha prodotto più guasti che benefici. Ciò perché, complici alcune alte cariche dello Stato del tempo, iniziò quel delirio di onnipotenza della Magistratura che, ancora una volta col silenzio-assenso di alte cariche dello Stato di adesso, ha fatto sì che il magistrato medio pensasse di essere diventato il lord protettore della Repubblica Italiana sovvertendo, spesso e volentieri, i disposti della Costituzione in materia d’indipendenza anche della politica. Ergo, se il sistema politico e amministrativo italiano non riesce a diventare più maturo ed efficace, la colpa è anche di costoro

Sarebbe lusinghevole per noi cittadini se potessimo dare la colpa soltanto agli altri per il degrado della classe politica, ma è soprattutto nostra dal momento che per un buon 50% (perché l’altro 50% se ne sta a casa) continuiamo a eleggerla pur sapendo quanto poco valga… evidentemente non siamo migliori di lei. Ma, posto che l’incompetenza in Italia è diventata perfino il manifesto programmatico di un movimento politico fondato da un comico e anche una caratteristica generazionale trasversale, dobbiamo chiederci da quando essa ha cominciato a mettere salde radici nel Paese. Il fenomeno ha molte cause che vanno dalla progressiva distruzione della scuola alla latitanza della famiglia intesa come cellula ideologica ed educativa, da un tondo analfabetismo al dirittismo spregiudicato, dalla fine del socialismo democratico a un populismo in uno stile che sta a metà strada tra i maranza e un comunismo alla Trockij, anche se dubitiamo che siano molti i politici a sapere chi questi fosse e men che mai che a ucciderlo fu lo zio materno dell’attore Cristian De Sica.   

Come ogni fine di una civiltà, anche la nostra decadenza culturale, che di quella politica è il presupposto, ha avuto un suo periodo d’incubazione che, secondo noi, è iniziato negli anni Settanta, quando esauritasi la spinta ideale del ’68 la maggior parte dei giovani, dopo aver messo a ferro e fuoco le piazze, dismise il colbacco della rivoluzione e se ne tornò dalla mamma, dalla morosa e dalla Cinquecento in garage ai Parioli. Coloro che in quegli anni erano bambini – ovvero la generazione politica che oggi ci governa o vorrebbe governarci – solitari e senza mediazione, in una società ormai in dissolvimento si affacciavano su di un mondo impossibile e improbabile, rappresentato anche da due Manga televisivi giapponesi, ovvero Jeeg robot d’acciaio e Lady Oscar, che possiamo considerare la prima eroina transgender della televisione. Queste e molte altre cause, in primis il crollo del carattere avvolgente della famiglia, portò i ragazzi di allora a un ripiegamento narcisistico su se stessi, come dire al culto della loro immagine che andava sviluppandosi indifferente e insensibile al mondo esterno che non capivano, incapaci di provare sentimenti autentici e perdendo perfino il senso del tempo, che è un po’ ciò che in forma più estrema sta accadendo anche ai ragazzi di oggi.

Ebbene, degli adulti nati da cotanto ceppo, specialmente in politica, come potevano sviluppare un senso estetico dell’esistenza? Potevano concepire la carriera politica un dovere civile o come quello che Sant’Agostino chiamò amore di provvedere? Certamente no! Da Berlusconi in poi, passando per Renzi, la carriera politica è diventata un ben remunerato lavoro di nominati (e non preselezionati), che coinvolge addirittura intere famiglie, come nel caso Fratoianni-Piccolotti che staranno pure a Sinistra però hanno il portafogli a Destra visto il reddito che producono a nostre spese. Sicché, non dovendo più competere o battere il territorio paese per paese allo scopo di essere eletti, i politici non emergono più da un cursus honorum o da una designazione pubblica, ma dalla volontà del segretario del partito o del leader di turno. Seguendo tale criterio Berlusconi riempì il Parlamento di …ehm… amiche compiacenti e di suoi avvocati. Come dire che i trastulli del Cavaliere e gli avvocati che lo difendevano negli innumerevoli processi giudiziari li pagavamo sempre noi.

D’altronde, per capire la pasta di scarto con la quale sono stati plasmati i politici nelle cui mani abbiamo messo le nostre sorti, basta ascoltarli quando parlano: sono incapaci di elaborare concetti e di portare avanti, perfino sulla breve distanza, un ragionamento creativo che tenda, in qualche modo, all’individuazione e alla soluzione dei problemi della gente, senza parlare della mancanza di duttilità mentale e capacità di astrazione. Quel poco che hanno da dire e che hanno imparato a memoria, lo devono buttare precipitosamente fuori prima che se ne dimentichino. Le rare volte in cui qualche giornalista serio tenta di tastarli su qualche problema leggermente articolato ne vengono fuori cazzate clamorose come quella dell’onorevole Luigi Di Maio, il quale pensava che Matera fosse in Puglia; o di quel sottosegretario suo collega di partito agli Affari esteri (pensate in che mani!) che assegnava la città di Beirut alla Libia. Questa deprimente trasmutazione morale e culturale non è avvenuta soltanto in Italia ma in tutti gli altri Paesi europei, alcuni dei quali come l’Italia stretti nella morsa di un becero wokismo. La stessa Unione Europea si trova in queste condizioni sicché, quando due settimane fa il vice presidente degli Usa, JD Vance, è venuto in Europa a rinfacciarci di non avere «…né apprezzato né rispettato tutte le straordinarie benedizioni della libertà: la libertà di sorprendere, di commettere errori, di inventare, di costruire…», aveva certamente ragione.

Siamo persuasi che i filoamericani e i filo-atlantisti ricorderanno per molti anni il discorso fatto a Monaco da Vance che, più o meno direttamente, ha esortato l’Europa a riaffermare il ruolo eurocentrico che ha sempre avuto sullo scacchiere della politica mondiale e che, purtroppo, sta progressivamente perdendo per le sue scelte ambigue in materia di sicurezza, immigrazione, religione ed economia, non ultima quella di andare a infilare la testa nel cappio della via della seta cinese, come voleva entusiasticamente fare l’Italia di Conte allora grillino. Ma, come abbiamo anticipato nella premessa, la fine di una civiltà ha molte cause e una di queste è l’esaurirsi della spinta morale di una religione che, per quanto ci riguarda, ha raggiunto il punto di massima caduta con papa Bergoglio che, purtroppo, in questo periodo non gode di buona salute. Ebbene, per parlar chiaro come egli stesso ha esortato a fare dal Policlinico Gemelli, ove dovesse lasciare il suo gregge, nel toto-papa, che sotto sotto in molte segreterie già stanno facendo, il suo probabile successore potrebbe essere il cardinale arcivescovo congolese Fridolin Ambongo Besungu. Per carità, non sarebbe né il primo papa africano nella storia della Chiesa, né il primo proveniente da fuori dell’Europa, fatto è che, in questo greve momento storico una sua eventuale elevazione al soglio pontificio sancirebbe, anche sotto il profilo della centralità religiosa, lo squagliamento dell’Europa.

Così, nel mentre facciamo gli auguri al Papa di rimettersi al più presto, idealmente soli, scorati e con poche speranze di superare indenni questo brutto momento della storia europea, continuiamo a domandarci in nome di quale follia abbiamo scelto per governarci dei politici allevati a pane e Manga, che ci stanno portando verso un futuro del menga.

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