Disfunzione erettile e Covid: virilità a rischio?
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Non vi è dubbio che il grave momento epidemiologico abbia impresso un’accelerata a ricerche e a nuove ipotesi mediche, il che non sempre si è riverberato positivamente sulla conoscenza come nel caso dei possibili effetti del Covid-19 sull’apparato urogenitale ed è, perciò, comprensibile che qualcuna delle ipotesi formulate, sebbene non sia ancora supportata da inconfutabili risultanze, possa essere utilizzata per lodevoli campagne pubblicitarie tese ad avvicinare i giovani maschi alla vaccinazione. Così com’è saggio e lungimirante a questo punto, indurre i giovani a recarsi dall’urologo/andrologo almeno una volta l’anno
– *Francesco Gaeta –
Il giornalista e scrittore Indro Montanelli assicurava che il plagio di sé stessi non è un reato perciò, confortato da cotanto avallo, in questo articolo troverete alcune riflessioni e, se permettete, qualche intuizione espressa in tempi non sospetti nel mio libro “Questo virus ha rotto gli zebedei!”, un titolo indubbiamente sopra le righe ma che – sebbene lo faccia senza toni accademici – affronta con la dovuta serietà il problema sollevato dai ricercatori del Tongji Hospital di Wuhan, a proposito dell’apparato urogenitale dei maschi in relazione al Covid-19. Nel frattempo sono stati pubblicati ulteriori studi sull’argomento corredati di esperienze cliniche che, per quanto incomplete, parrebbero confermare l’ipotesi dei ricercatori di Wuhan. Il condizionale è d’obbligo perché tutte le ricerche legate a ipotesi scientifiche richiedono tempo per essere sperimentate, verificate e accettate, mentre alla data odierna gli studi sul Covid-19 e i suoi riflessi sulla sessualità maschile sono ancora interlocutori, speculativi o, se preferite, prospettici. Tali ricerche, difatti, terminano tutte con la locuzione-precisazione “Sono necessari nuovi studi con un maggior numero di pazienti”.
Inseguendo tali studi, mi sono imbattuto nell’iniziativa del gruppo americano degli “Urologi Uniti per l’educazione alla vaccinazione” i quali hanno pubblicato un video recante un avvertimento per i giovani maschi che possiamo così sintetizzare in lingua italiana: Se hai avuto il Covid-19 potresti avere circa sei volte in più la possibilità di sviluppare una disfunzione erettile… fai il vaccino altrimenti sei a rischio per le tue future erezioni! E non c’è la minima possibilità che il messaggio possa non essere recepito perché il filmato vede impegnati, tra gli altri, urologi del calibro di Amy Pearlman, Brian Le e Larry Levine intenti a sventolare l’hashtag #SaveTheFutureBoners che, con franchezza tipicamente yankee, esortano i maschietti a salvare le proprie erezioni con la vaccinazione. Il video e l’iniziativa si sono potuti realizzare grazie a due veterani della pubblicità statunitensi, Brian Siedband e Gordy Sang, e non a caso è uscito nel novembre scorso, un mese che ogni anno la comunità scientifica Usa dedica al problema dell’impotenza.
A tale video riconosco l’originalità, anche perché l’iniziativa non fonda su scelte ideologiche della medicina o della politica, per il resto nutro alcune riserve come urologo/andrologo e più avanti vi spiegherò il perché. Comunque, bisogna ammetterlo, l’idea di Siedband e Sang per convincere i riottosi alla vaccinazione è più divertente e, secondo me, più efficace della canzoncina natalizia dell’impensabile trio canoro Pregliasco – Bassetti – Crisanti, perché aiuta, con efficacia iconografica, a capire l’importanza della vaccinazione, rifuggendo da sofismi intellettuali e da moralismi. Insomma, l’iniziativa della quale parliamo si è rivelata più efficace delle precedenti campagne pro-vaccinazione, tanto da essere menzionata da Forbes, la prestigiosa rivista d’affari americana. Il successo immediato del video risiede anche nella semplicità e nell’anticonformismo del messaggio che riesce a veicolare, laddove inizia con un gruppo di ragazzi che discute, con franco ma corretto linguaggio, di erezioni. Subito dopo s’inserisce Tim Meadows, il noto comico del programma della televisione Nbc Saturday Night Live, il quale semina ad arte il dubbio di che cosa potrebbe succedere all’apparato riproduttivo maschile in caso di infezione da Covid. Poi la telecamera inquadra gli urologi Amy Pearlman, Brian Le e Larry Levine mentre informano, a loro volta, che i maschi infettati dal Covid-19 hanno sei volte più probabilità di sviluppare una disfunzione erettile. A quel punto Meadow si rivolge ai ragazzi che non hanno ancora ricevuto il vaccino e retoricamente domanda: “Che cosa state facendo? Andate a fare la vaccinazione. Stiamo parlando delle vostre future erezioni!”.
Ma poi, a parte questa intelligente pubblicistica, esiste una relazione provata tra il Covid-19 e la disfunzione erettile? Al riguardo, questo è quanto scrissi nel mio libro all’incirca due anni fa: «Da ciò che sappiamo in Occidente è che i ricercatori di Wuhan hanno esaminato i dati preesistenti alla pandemia e dimostranti una caratteristica che già conoscevamo a proposito del recettore Ace2, l’ormone coinvolto nei meccanismi di regolazione della pressione sanguigna ma che può diventare anche il vettore mediante il quale il Covid-19 entra nelle cellule, insomma una specie di cavallo di Troia del coronavirus […] L’Ace2 è altamente espresso nelle cellule dei testicoli e dei reni». D’altronde – pensai allora – non sarebbe la prima volta nella storia dell’umanità che un evento morbigeno si accanisca sull’apparato genitale maschile come informa lo storico greco Tucidide nell’opera “La guerra del Peloponneso” della quale ho riportato un passo a pagina 53 del mio libro.
Ovviamente – e per fortuna – non sono stato il solo specialista del settore uro-andrologico che in questi ultimi due anni ha cercato di monitorare la relazione eventualmente esistente tra il Covid-19 e l’insufficienza erettile però, mentre io posso aggiungere alla generale esperienza di ricerca soltanto quella di urologo e andrologo laddove, per esempio, ho indagato alcuni pazienti affetti da orchialgia (dolore ai testicoli) subentrata dopo infezione da Covid-19, altri medici e istituzioni universitarie hanno potuto fare studi e più ampie ricerche che, purtroppo, non sono ancora del tutto esaustive. Ne cito due per tutte. L’Università di San Diego in California e l’Health Services Consulting Corporation di Boxborough nel Massachussetts. Ebbene, per le loro indagini i ricercatori di tali istituti hanno studiato circa 693 pubblicazioni scientifiche contenenti dei lavori sulla connessione eventualmente esistente tra Covid-19 e disfunzione erettile, tra queste ne hanno selezionato soltanto 60, quelle che a loro parere affrontavano meglio l’argomento. Dalle loro valutazioni sono emersi quattro ambiti di indirizzo:
- l’impatto biologico dell’infezione sulla disfunzione erettile, dimostrata, in via indiretta, attraverso l’aumento di pazienti di sesso maschile con problemi di salute riproduttiva durante la pandemia, dovuti a potenziale danno endoteliale, neurogenico o endocrino;
- l’impatto sulla salute mentale e, indirettamente, sulla disfunzione erettile attraverso un aumento dei disturbi causati dallo stress post pandemico e dall’alterazione dei comportamenti sessuali durante la pandemia;
- l’impatto sulla gestione medica della disfunzione erettile e il difficile accesso al suo trattamento dovuto al rinvio di interventi chirurgici e di cure specialistiche durante la pandemia;
- le disparità sanitarie e l’impatto sulla disfunzione erettile, soprattutto in Paesi come gli Usa dove la pandemia ha causato la perdita del lavoro e dell’assicurazione sanitaria, senza contare che vi ha accresciuto la disparità di razza e di genere.
A questo punto s’impongono alcune riflessioni. Non v’è dubbio che nuove e approfondite conoscenze si stiano sviluppando sul Covid-19 e sulle sue possibili (e al momento ipotetiche) incidenze sull’apparato urogenitale, ed è comprensibile che qualcuna di queste ipotesi, sebbene non supportata da inattaccabili studi, possa essere utilizzata per lodevoli campagne sanitarie. Tuttavia, come specialista in un campo della medicina dove a determinare la disfunzione erettile contribuiscono molti fattori tra i quali anche la componente psicologica del soggetto interessato, mi chiedo se un similare messaggio lanciato dai medici Usa, nel nostro Paese non potrebbe avere più effetto del green pass, dei ciclici Dpcm e delle canzoncine dei virologi televisivi tese a promuovere la campagna vaccinale, o non finisca, invece, per diffondere una generalizzata ansia da prestazione nei pazienti post-Covid che ormai sono milioni.
Pertanto la medicina moderna, sempre più legata a linee guida e al consenso degli esperti, dovrebbe stare attenta ai messaggi che veicola e alle loro conseguenze sull’immaginario collettivo. Abbiamo visto come nel caso del Covid-19 abbia fatto più danni l’eccesso di parole, di concetti e di ipotesi (infodemia) che non la stessa pandemia. Per questa ragione e pur essendone quasi divertito, temo che messaggi del tipo “Il covid aumenta di sei volte il rischio di disfunzione erettile – Salva le tue future erezioni”, seppure coinvolgenti nel contesto di una campagna mediatica permeata di buone intenzioni, possano alla lunga ingenerare immotivate e premature paure, tali da scatenare impulsi repulsivi o attrattivi intorno al binomio sarò capace/non sarò capace di avere l’erezione. E aggiungere tali paure a quelle già causate dalla pandemia e dai lockdown sulla psiche dei ragazzi sicuramente non fa bene né alla loro salute sessuale in generale, né alle loro performance erettive in particolare. E questo almeno è stato provato da legioni di neurologi, psicanalisti e sessuologi.
Dunque, se proprio vogliamo lanciare un messaggio emotivamente coinvolgente a un giovane renitente al vaccino, congegniamolo di questo tipo: “Vaccinati, perché se non la fai, potresti ammalarti e sottrarre spazio all’espressione della tua sessualità”.
E dovrebbe funzionare pure meglio del filmato degli americani: siamo o non siamo il Paese nel quale è stato coniato il proverbio “Tira più un pelo di… che una pariglia di buoi”?
* Specialista in urologia e andrologo certificato dalla Società Italiana di Andrologia
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