Le lacrime delle vittime del giorno dopo
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Speriamo che anche nel caso dell’atroce fine della piccola Giulia Loffredo di nove mesi non intervenga la giustizia del “giorno dopo” a dirci che v’erano stati dei mancati interventi da parte degli assistenti sociali o la presa sottogamba, da parte delle forze dell’ordine, di alcune segnalazioni dei vicini di casa sulla pericolosità del pitbull ritenuto responsabile della sua morte
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Proveniente da una famiglia di cacciatori, sono stato io stesso cultore dell’ars venatoria per alcuni anni, ragion per cui ho sempre convissuto con uno o più cani da caccia. Questa premessa per chiarire, fin da subito, che non ho nulla contro i cani, semmai contro i loro possessori e, soprattutto, contro quella che chiameremo la giustizia del giorno dopo, che in Italia fa più danni di animali e umani fuori controllo. Ma procediamo per gradi, iniziando con un episodio che sembrerebbe fuori contesto.
La mia taverna è finita allagata tre volte nel corso di altrettante bombe d’acqua, procurandomi un non lieve danno economico ogni volta. Ebbene, nel corso di questi eventi, mentre l’acqua oltrepassava le caviglie, ho sempre chiamato i Vigili del Fuoco ricevendone, nella sostanza, sempre la stessa risposta: «Se non vi sono persone in pericolo di vita non possiamo intervenire». Così, in famiglia, come in quelle vicine, ci siamo armati di secchi, pale concave, aspiratori d’acqua e di stracci e abbiamo ripulito la taverna, nel mentre ci scambiavamo, ad alta voce, irripetibili pensieri sull’utilità di pagare le tasse in Italia. Dopo aver pulito e bonificato la taverna, abbiamo dovuto chiamare anche un imbianchino, un falegname e ricomprare la lavatrice che non aveva neppure un anno di vita.
Poi, qualche giorno dopo, mi è toccato leggere i seguenti titoli su alcuni quotidiani nazionali e locali: “Gattino, i Vigili del Fuoco un’altra volta eroi – I Vigili del Fuoco salvano il gattino con l’autoscala sul Castello – Femminicidio a San Severo, spara alla moglie e si uccide. Aveva il braccialetto elettronico”. Dovete ammettere che, a fronte di cotanti titoli, è davvero difficile per un alluvionato lasciato solo dalle istituzioni non farsi girare le palle a turboelica. Ma non è neppure questa mancanza di senso delle proporzioni a sconcertarmi, semmai la concezione a metà strada tra Disney e De Amicis che le istituzioni italiane hanno di se stesse. Infatti, è in virtù di questa concezione che il magistrato inclina a occuparsi dell’indagato eccellente, quello che procura infinite conferenze stampa e notorietà, magari fottendosene dei reati minori che tanto angustiano il cittadino comune sui quali, peraltro, quando si esprime tende a fare il sociologo più che il giurista; il giornalista a inseguire lo scoop più che la notizia; il Poliziotto o il Carabiniere sempre pronto a farsi ritrarre con una vecchietta rimasta sola a ferragosto, alla quale hanno portato la spesa a casa.
Questo per dire che tutti i menzionati operatori amano mettersi in mostra invece di lavorare proficuamente? Saremmo davvero grossolani e ingiusti se sostenessimo una cosa del genere, certo è che alla gloria a buon mercato non vuole rinunciare nessuno, a maggior ragione quando il buttarla sul deamicisiano aiuta a nascondere gli errori e le manchevolezze delle istituzioni. Oddio, enumerare tutte le manchevolezze del nostro sistema-Stato sarebbe impresa ardua anche per un ragioniere bravo, ma per fortuna quella che a noi interessa evidenziare oggi è la mancata indagine nazionale sulla pericolosità dei Pitbull, un’indagine da farsi all’insegna di un semplice interrogativo: l’aggressività di questo cane è nella sua indole parossisticamente territoriale o nel Dna? Perché a seconda della risposta che ne verrebbe fuori si potrebbe stabilire, con una legge, la sua compatibilità o meno con i gruppi familiari. Anche se, a sua parziale discolpa, bisogna dire che in quanto ad aggressività il Pitbull è in ottima compagnia, stante che almeno un’altra decina di razze canine sono ritenute aggressive e pericolose al pari di lui.
Ma, visto il tema, soffermiamoci un attimo sul recente caso della bambina di nove mesi, Giulia Loffredo, che lo scorso 15 febbraio, ad Acerra, sarebbe stata sbranata in casa dal Pitbull del padre, un soggetto dichiaratamente dedito all’uso di stupefacenti. Questi avrebbe dichiarato agli inquirenti che, pur dormendo accanto alla bambina sul letto matrimoniale, non si era accorto di quanto stava accadendo… una balla indigesta per qualsiasi persona di normale buonsenso! Un cane di venticinque chilogrammi che mena scempio del corpo di una bambina, o di qualsiasi altra preda, fa una casino infernale udibile anche a grande distanza, senza contare le urla di dolore/terrore della piccola vittima. Di cotanto padre si occuperanno gli inquirenti, mentre da parte nostra vogliamo soltanto sperare che anche in questo caso non intervenga la pelosa giustizia del giorno dopo a raccontarci che, a monte dell’accaduto, v’erano stati dei mancati interventi del servizio di assistenza sociale o la presa sottogamba da parte delle forze dell’ordine di segnalazioni circa la pericolosità del cane ritenuto responsabile della morte di Giulia.
E chiudiamo con lo stalking, un altro ambito delittuoso dove spesso, troppo spesso, la giustizia arriva il giorno dopo, facendoci una domanda: se il giudice per salvare la vita a una donna minacciata dal partner impone a costui il braccialetto elettronico anti-stalking (parliamo di un dispositivo capace di segnalare all’interessata e alle forze dell’ordine l’avvicinarsi del pericolo), com’è che ci si accorge soltanto dopo l’uccisione della donna che si sarebbe dovuta proteggere che il braccialetto era stato manomesso dal suo assassino? Dove sta la falla nel sistema di protezione dal momento che solo nel 2024 in Italia abbiamo avuto 100 femminicidi? A questa domanda, che dovrebbe pesare come un macigno sulle coscienze di coloro che dovrebbero decidere, prima o poi qualche istituzione dovrà rispondere. Il giorno prima, possibilmente.
(Copertina di Donato Tesauro)
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