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Fermate il frullatore della politica italiana

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caso generale almasri
Mentre gli italiani assistono disgustati e preoccupati al deteriorarsi del clima sociale e allo scontro tra i poteri innescato dalla Magistratura, dall’irresponsabilità della Sinistra e dall’ingenuità del Centrodestra, il rappresentante dell’unità nazionale, che è anche il capo del Consiglio superiore della Magistratura, non dovrebbe fare il pesce in barile mentre nel Paese si colgono i prodromi di una guerra civile strisciante

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Per quanto la dietrologia non mi abbia mai appassionato, sono pur sempre un ex militare che, in quanto tale, ha la naturale tendenza a valutare gli elementi ponendoli in relazione tra loro e, soprattutto, senza perdere di vista il quadro operativo generale. Perché una tale premessa? Perché, per quanto il nostro panorama politico pulluli di caporali, attendenti e nessun condottiero, l’offensiva politica in atto contro il governo si sta sforzando di seguire le stesse regole di un’offensiva militare, anche se a guidarla è (nominalmente…) una ragazzotta che ha scambiato la politica per un collettivo studentesco allargato. E, poi, siamo sicuri che Elly Schlein non venga tenuta in vita politicamente dai suoi diversi referenti soltanto per nascondere, dietro la sua vacuità tutto sommato innocua, un articolato piano per scalzare il governo Meloni senza passare per le urne? Ma per poter rispondere a questa e ad altre domande dobbiamo partire dalla fine, e non dagli inizi, di tutta una nutrita serie di avvenimenti.

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Segnatamente al casino procedurale fatto dalla Corte penale internazionale dell’Aia sul caso del generale Almasri (bisogna vedere quanto in buonafede…), lo scorso 4 febbraio su La7, nel programma di approfondimento “Otto e mezzo”, Paolo Mieli ha parlato di un pacco tirato a Giorgia Meloni da una persona che avrebbe operato dall’Italia e, trattandosi di un convincimento basato su degli indizi, l’ex direttore del Corriere della Sera ha ritenuto opportuno non fare nomi. Ma alla verosimile identità del cospiratore, o dei cospiratori, riteniamo di poterci arrivare lo stesso mettendo in relazione tra di loro alcuni recenti accadimenti, molto sospetti per la loro contemporaneità, considerando anche che il pacco poteva tirarlo soltanto un personaggio, o dei personaggi, con gli agganci giusti nelle Procure, nell’Ue, nella Corte penale internazionale e nei servizi segreti, quei servizi che, quando le torna utile, sarebbero deviati per definizione secondo la Sinistra.

Dopo anni d’ibernazione è comparso sulla scena politica l’ottantacinquenne ex presidente del Consiglio Romano Prodi, assurto a tale carica nonostante fosse stato, in veste di presidente dell’Iri, l’affrettato liquidatore del patrimonio economico e industriale italiano. Stavolta Prodi è risorto con l’intento dichiarato di far diventare quello democratico un partito riformista, come dire con una significativa convergenza al centro, che è un po’ la tentazione senza fine della politica italiana, un’operazione che peraltro non gli riuscì neppure col rassemblement dell’Ulivo col quale sconfisse Berlusconi. Ma se le cose stanno così, oltre all’obiettivo primario di far cadere il governo Meloni, che cosa spera per sé, a che cosa tende in concreto il movimentismo di Prodi?

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Anche se Prodi è anziano, nulla gli vieta di aspirare a sostituire Mattarella al Quirinale, un incarico che sembra fatto apposta per le cariatidi della politica. Ma come potrebbe avvenire ciò se il mandato dell’attuale inquilino del Quirinale scadrà nel 2029? È vero, ma con un governo progressista fresco fresco niente vieterebbe a Mattarella di dimettersi in anticipo allo scopo di far eleggere il suo successore da una plenaria parlamentare più gestibile. E, d’altronde, il Centrodestra non è stato capace di eleggere un presidente d’area neppure avendo la maggioranza di deputati e delegati regionali. Eh sì, perché come già fatto dopo la caduta del Conte II, Mattarella – che non ama Giorgia Meloni, né il suo governo – non indirebbe nuove elezioni e, ancora una volta, ricorrerebbe a un governo di salvezza nazionale a termine come furono quelli di Monti e di Draghi, quest’ultimo messo insieme proprio da lui… in due anni si possono fare molte cose brutte contro la volontà della maggioranza degli italiani. Peraltro, anche se la Destra non sembra avvedersene, secondo noi i ministri-ombra di un governo che vorrebbe scalzare quello attuale vanno discretamente proponendosi da alcuni mesi, da quando a Sinistra si è fatto più insistente il tam tam di un poderoso assalto al governo da più fronti.

A novembre 2024 l’uscente sindaco di Milano Beppe Sala ha provato a ritagliarsi il ruolo di federatore centrista del Pd, in realtà per rendersi ufficialmente disponibile sul mercato per più prestigiosi incarichi. Ambisce a diventare il futuro ministro dei Rapporti col Parlamento?

A dicembre del 2024 un figlio d’arte proveniente dalla vecchia Democrazia Cristina, Ernesto Maria Ruffini, senza una comprensibile ragione si è dimesso da direttore dell’Agenzia delle Entrate per fare (pure lui!) il federatore dell’area centrista del Pd.  Ambisce a diventare il futuro ministro delle Finanze?

A gennaio 2025 Elisabetta Belloni, direttrice del Dis, cioè dei servizi segreti, si è dimessa con cinque mesi di anticipo per assumere l’incarico di consigliera diplomatica della presidente del Consiglio europeo. I bene informati assicurano che le sue dimissioni furono dovute a diversità di vedute con la premier sulla liberazione della giornalista Cecilia Sala. Ambisce a diventare la futura sottosegretaria di Stato alla Presidenza del Consiglio con delega alla Sicurezza della Repubblica?

Pochi giorni fa, Franco Gabrielli, ex capo della Polizia, di punto in bianco, si è dimesso dall’incarico di delegato per la sicurezza e la coesione sociale del Comune di Milano, un incarico che in verità al capoluogo meneghino non ha portato né una maggiore coesione sociale e meno che mai la sicurezza. Uno smarcamento tattico in vista di possibili incarichi in un ipotetico prossimo governo progressista?

Nel frattempo, mentre gli italiani assistono sgomenti e preoccupati al deteriorarsi del clima sociale, dell’ordine pubblico e allo scontro tra i poteri innescato dai continui debordamenti della Magistratura, dall’irresponsabilità della Sinistra e del sindacato, oltre che dall’ingenuità del Centrodestra, che cosa fa il presidente della Repubblica che è anche il capo del Consiglio Superiore della Magistratura? Niente. Mentre il Paese si divide aspramente, che cosa fa il “rappresentante dell’unità nazionale”, come lo definisce l’articolo 87 della Costituzione più bella del mondo? Ancora niente. Eppure di occasioni per chiamare la Magistratura e il Parlamento al rispetto della reciproca, assoluta autonomia e indipendenza ne ha avute e, invece, i suoi rimbrotti hanno sempre la medesima direzione. Siamo prevenuti? Vediamo.

Lo scorso 5 febbraio, dall’Università di Marsiglia, in occasione della laurea honoris causa concessagli da quell’ateneo, Mattarella ha fatto un articolato discorso sullo stato delle relazioni internazionali (passate, presenti e future), in buona parte anche condivisibile eccetto nel punto in cui si è schierato contro i dazi, ovvero contro Trump che è il maggiore alleato dell’Italia e dell’Occidente, contro quelli che ha definito i nuovi corsari, ovvero Elon Musk, e indirettamente contro il capo del suo governo che con quei due ha un rapporto politico privilegiato e che a breve potrebbe dare rigogliosi frutti sul piano economico. Come se non fosse stato abbastanza chiaro a chi si riferisse, a Marsiglia Mattarella ha soverchiamente insistito sulla necessità di difendere il multilateralismo e tutte le organizzazioni internazionali riferendosi, immaginiamo, all’Onu, all’Unione Europea e al Tribunale penale internazionale dell’Aia che, guarda caso, ha messo nei pasticci il governo con la sua sciatteria procedurale e/o malafede.

A riprova che i rapporti tra la Meloni e l’inquilino del colle, che non dimentichiamolo proviene dallo stesso partito di Elly Schlein, non sono più tanto buoni – ammesso che lo siano mai stati – e nonostante i rimbrotti marsigliesi di Mattarella, il governo ha schierato l’Italia a fianco di Donald Trump sulle sanzioni inflitte dagli Usa al Tribunale penale internazionale dell’Aia (e volevamo pure vedere…), ovvero a una di quelle organizzazioni internazionali evocate dal presidente e che, secondo noi sono ormai in coma profondo perché lontane anni luce da ciò che pensano e anelano i popoli reali che, per questa ragione, se ne stanno progressivamente allontanando, anche perché non credono più nella loro utilità/imparzialità.

E ritorniamo al sospetto avanzato da Paolo Mieli lo scorso 4 febbraio cercando di dare un corpo al sospettato: chi dei personaggi sopra elencati si è incaricato di confezionare il pacco esplosivo da tirare alla premier? A riguardo ci viene da pensare a un senatore toscano che ha gli agganci giusti all’estero e nei servizi segreti, oltre ad avere un conto aperto con Giorgia Meloni che, con una legge, gli ha segato la possibilità di fare, contemporaneamente, il parlamentare e detenere lucrosi incarichi all’estero. E il fatto che possa essere stato lui non è una nostra illazione perché è stato lo stesso senatore a dichiararlo in qualche modo quando, a Natale scorso, nel fare gli auguri ai parlamentari del suo partito, ha anticipato che il 2025 sarebbe stato un anno a dir poco effervescente, concludendo con queste parole che più che sibilline sembrano un incarico ricevuto: «È come quando si pesca la carta del distruggi le armate di un certo colore: ecco, a me è toccata la carta obiettivo che mi impone di distruggere le armate… nere, ovviamente».

Vabbè che il senatore in questione è corregionale di quel mitico perculatore di Buffalmacco e ci tiene in modo particolare a passare per il distruttore/facitore di governi, nonostante la risibile percentuale elettorale del suo partito, certo è che, stante le sue conoscenze tra le barbe finte e lo strano rincorrersi di date, eventi e personaggi spuntati fuori tutti insieme, una dichiarazione come la sua è qualcosa di più di una millanteria.

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Il clima prevaricante di poteri non legittimati dal voto popolare che aleggia sulla nostra Repubblica è decisamente preoccupante e, siccome chi tace corre il rischio di passare – come minimo – per acquiescente, ci piacerebbe che a dissipare ogni dubbio sulla sua presunta partigianeria sotterranea il presidente della Repubblica facesse una cosa molto semplice e che ricade nelle sue prerogative costituzionali: che ad uso dei diversi contendenti ribadisse il suo essere super partes. Dovrebbe farlo perché glielo chiediamo noi? Non abbiamo la presunzione di essere letti dall’addetto stampa del Quirinale, però è questo che vorrebbero sentire gli italiani per tranquillarsi, per convincersi che nelle nostre pur malmesse istituzioni esiste ancora un arbitro imparziale capace di fermare il gioco in caso di violazione delle regole. Da parte di chiunque.

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