Busto Arsizio ha avuto un re per tre giorni
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Alla notizia della caduta di Bonaparte si sollevò anche Busto Arsizio, dove il carrettiere Andrea Crespi Bosinetti, conosciuto come Bilì dai suoi concittadini, intruppò il popolo minuto e occupò la città. I rivoltosi pur esprimendo istanze, che per quanto informi oggi definiremmo decisamente “di sinistra”, pensarono bene di trasformare Busto Arsizio in una sorta di monarchia comunista eleggendo a sovrano Bosinetti, che così divenne il re Bilì di Busto Arsizio, instaurando un regno che durò appena tre giorni
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La storia d’Italia è, in fondo, sempre uguale a se stessa da Nord a Sud, e sarebbe perfino noiosa se ogni tanto non comparissero sulla scena personaggi incredibili ed imprevedibili perfino per il più fantasioso degli storici: uno di questi personaggi fu sicuramente il re di Busto Arsizio.
Tutto ebbe inizio il 20 aprile del 1814 quando, giunta dalla Francia la notizia che Napoleone Bonaparte aveva abdicato a Fontainebleau, la prima cosa che fecero i milanesi fu di rivoltarsi contro il tiranno d’oltralpe in disgrazia e, per acquisire meriti resistenziali agli occhi del subentrante padrone austriaco, non trovarono di meglio che linciare Giuseppe Prina, l’efficiente ma odiato Ministro delle Finanze del napoleonide Regno d’Italia. A Varese, invece, i contadini delle campagne circostanti misero in piedi una sorta di rivoluzione rurale: il popolo dei campi contro quello della città.
Per induzione si sollevò anche Busto Arsizio, dove il carrettiere Andrea Crespi Bosinetti, conosciuto come Bilì dai suoi concittadini, intruppò il popolo minuto, che in verità era stato la prima vittima delle tasse dei francesi e della leva obbligatoria da questi introdotta, e occupò la città. I rivoltosi, pur esprimendo istanze, che per quanto informi oggi definiremmo certamente “di sinistra”, pensarono bene di trasformare Busto Arsizio in una sorta di monarchia comunista eleggendo a sovrano Bosinetti, che così divenne il re Bilì di Busto Arsizio.
Bisogna dire che nei tre giorni che durò il vuoto di potere, il “regno” del primo e unico re bustocco non fece grandi sfracelli, né si mise a tagliar teste come usava allora, ma iniziò con l’occupare il municipio per trafugarvi le cartelle delle tasse e gli elenchi dei giovani da arruolare per la leva militare, per poi bruciarli in un unico falò in piazza Santa Maria.
La presa di potere del re Bilì non ebbe marcate connotazioni di rivendicazione di classe, tant’è che l’unico danno che ne ebbero i ricchi nel corso del suo “regno” fu il saccheggio delle loro dispense, sicché grandi quantitativi di formaggelle, di prosciutti, di vino e di salumi vari furono ammassati in piazza e divisi tra il popolo a seconda dei bisogni delle famiglie. Insomma quello di re Bilì fu … ehm, un autentico reame comunista.
In realtà i maggiorenti, in primis gli industriali della città, un po’ lasciarono fare al nuovo “sovrano”, sia per non provocare il popolo che tutto sommato non ce l’aveva con loro ma con i francesi, sia per avere il tempo di capire come si stavano mettendo le cose tra gli austriacanti e i francesofili di Milano, dove i primi volevano il ritorno degli austriaci e i secondi mettere sul trono del Regno d’Italia il figliastro di Napoleone, Eugenio Beauharnais. I bustocchi, però, propendevano per gli austriaci perché i francesi, per favorire le loro esportazioni nazionali, avevano ostacolato l’importazione di filati, ed avevano reso difficile, se non impossibile, l’esportazione di tessuti e manufatti, condannando all’agonia una città come Busto Arsizio che viveva di tessile.
Finita, alfine, la scampagnata rivoluzionaria di re Bilì e dei suoi ormai sazi seguaci, sopravvenne la “normalizzazione”, nel senso che a ristabilire l’ordine provvide il nuovo padrone austriaco sostenuto dalla borghesia industriale e dai notabili bustocchi, tra i quali spiccavano cognomi ricorrenti nella storia produttiva della città: Giovanni Azimonti Gallora, Carlo Cesare Bossi e Paolo Tosi.
Pochi mesi dopo sopravvenne un’epidemia di tifo petecchiale che da Milano raggiunse anche Busto Arsizio sicché, presa a contrastare l’epidemia, la città fece presto a dimenticarsi del re Bilì, almeno fino a quando non lo arruolò nella folta schiera di personaggi della sua tradizione popolaresca.