In tempo di forte crisi identitaria l’Unione europea vuole diventare un super Stato. Se mai ci riuscirà, lo edificherà sui cadaveri degli Stati nazionali, che alla fine spariranno per diventare cosa neppure lo immaginiamo…
– Vincenzo Ciaraffa –
Non crediamo alle premonizioni e, tuttavia, ammettiamo che certi eventi sembrano recare addosso il proprio destino fin dagli inizi. Il 25 marzo del 1957 è una data che
Nella circostanza, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha detto che per ultimare questa Unione mancano ancora dei pezzi e che la sua costruzione, quindi, è da completarsi. Per il Papa, invece, l’Unione Europea tenta di ridurre gli ideali fondativi alle necessità economiche e finanziarie. Infine, a nome di tutto il sindacato, il segretario generale della Cisl, Furlan, ha fatto sapere che nell’ultimo decennio la forza aggregante dell’Unione si è attenuata fino a perdere l’ispirazione originaria ed a ristagnare nella palude nella quale ancora si dibatte. Questo è il florilegio delle cose dette da sì autorevoli personaggi per celebrare il sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma:
più che una celebrazione, in verità, è sembrato il resoconto di un fallimento! Evidentemente neppure il politicamente corretto, che di solito si segue in certe rievocazioni, è riuscito a nascondere che l’Unione Europea è in crisi, se perfino il suo presidente, Jean-Claude Junker, ha affermato che essa non sa parlare delle cose che incidono sulla vita quotidiana delle persone ed è, perciò, per tale ragione che si sta allargando il divario tra le istituzioni europee e la gente comune.
Junker, evidentemente, si riferiva a quella gente comune che, per auto-assolversi da anni di dissennatezze ed astrusità dell’Unione, i politici chiamano, di volta in volta, euro-scettici, nazionalisti sporchi, brutti e cattivi o, come s’inclina a fare oggi, semplicemente populisti.
La verità è che non si trova il coraggio di dire che Antonio Segni, Christian Pineau, Konrad Adenauer, Paul-Henri Spaak, Joseph Luns e Joseph Bech quando firmarono i Trattati di Roma vagheggiavano un’unione di popoli e non soltanto di economie, confidavano in un futuro dove i cittadini europei – e non le banche! – si sarebbero affratellati, superando secoli di divisioni ideologiche e di egoismi nazionalistici.
Purtroppo le cose nell’Europa comunitaria non sono andate come speravano i suoi padri fondatori perché, a ben vedere, la situazione che oggi si riproduce nel Vecchio Continente è la stessa degli anni che precedettero la II Guerra Mondiale: la Germania vuol dettar legge e l’Inghilterra si chiude a difesa nella sua isola. Certo non si sente il
sibilo dei cacciabombardieri Stukas come allora, né si vedono le Panzer-Division dilagare in mezza Europa, ma è innegabile che la supremazia tedesca domini l’Unione Europea. Come dire che, se Hitler riuscì a mettere (e per poco tempo) la mano soltanto su di una decina di Paesi europei, la Germania di Angela Merkel sta gettando le premesse per un Deutschland über alles che potrebbe durare per secoli nel Vecchio Continente. E l’arma per realizzarlo è la bomba atomica dell’economia globalizzata: il Pil!
Non neghiamo che a noi questa Europa non è mai piaciuta perché ha prodotto i peggiori difetti degli Stati nazionali senza avere il pregio dei loro istituti caratterizzanti, quali – per fare un esempio – una banca e un esercito comuni. Ultimamente, poi, ci piace ancora di meno, se consideriamo che in tempo di crisi degli Stati nazionali l’Unione Europea voglia, peraltro velleitariamente, diventare essa stessa un super Stato. Ebbene, se mai ci riuscirà, lo edificherà sui cadaveri degli Stati nazionali che, dopo anni di sospensione nel limbo dell’incertezza identitaria, alla fine, si arrenderanno e spariranno per diventare cosa neppure riusciamo a immaginarlo.
Diciamo pure che allo scoccare del sessantunesimo anniversario dell’Unione Europea continuiamo a non vedere qualcosa che valga veramente la pena celebrare.