Siamo persuasi che il progresso vada gestito, amministrato e non fermato, e nondimeno riteniamo che l’umanità non possa più permettersi la corsa ai primati spaziali, ma soltanto uno “sviluppo integrato” teso a risolvere un problema che, quello sì, potrebbe portare alla fine della specie umana: il problema della fame che attanaglia quasi un miliardo di persone
– Enzo Ciaraffa –
Quando, alle ore 20,18 del 20 luglio del 1969, la navicella spaziale statunitense Apollo 11 con tre uomini a bordo si posò sulla Luna, potei assistere all’evento nel cinema della Scuola allievi sottufficiali di Viterbo. Ebbene, mentre vedevo le immagini e ascoltavo la voce di Tito Stagno dagli studi televisivi italiani e, dal centro spaziale della Nasa di Houston, il corrispondente Ruggero Orlando, benché avessi poco più di diciannove anni, mi posi una domanda che, a distanza di mezzo secolo, ancora non ha trovato una risposta: «All’umanità servirà a qualcosa quest’impresa?».
No, perché secondo noi non ha nessun senso spendere tanti miliardi per andare a piantar bandiera sulla Luna (perché alla fine di questo si è trattato) per un Paese come la Cina che, pur ospitando il 22% della popolazione mondiale, riesce a far produrre soltanto il 7% del suo suolo coltivabile, tant’è che con la pratica del land grabbing va a produrre in Africa i prodotti agricoli che consuma. Sicché si è venuto a creare il paradosso che il continente più affamato di tutti, sfami quello che oggi è tra i Paesi più ricchi del pianeta.
Ovviamente non intendiamo addossare alla Cina la colpa dei guai che affliggono l’umanità, resta però l’amaro in bocca nel pensare che le immani risorse spese non faranno mai germogliare un chicco di grano o sgorgare una goccia di acqua potabile nei deserti, a fronte di un grosso problema come quello che vede circa trentamila bambini (dato Unicef del 2015) morire ogni santo giorno nel mondo per complicazioni alla nascita, o per malattie tutto sommato gestibili in Occidente, come la diarrea, la malaria, il morbillo e l’Aids. Non parliamo poi dei 780 milioni di affamati – in prevalenza bambini – distribuiti tra Asia, Africa e America Latina.
Non siamo dei luddisti e, anzi, siamo convinti che il progresso vada gestito, amministrato e giammai fermato, e nondimeno pensiamo che l’umanità non possa più permettersi la corsa ai primati spaziali ma soltanto uno “sviluppo integrato” teso a risolvere un problema che, quello sì, potrebbe portare alla fine della specie umana: il problema della fame nel mondo.
Ma questo significa che le nazioni dovranno incominciare a pensare ad un futuro di alleanze tecnologiche per portare l’acqua nei deserti, come peraltro hanno già fatto Israele e i ricchi Paesi del Golfo Persico, per migliorare le colture di cereali e non certo per andare sulla Luna dove, secondo Ludovico Ariosto nell’Orlando furioso, può andare a finire soltanto il senno perduto degli uomini.