I padri costituenti quando lavorarono alla Costituzione non potevano avere il polso del popolo italiano se non i numeri del risultato referendario del 2 giugno del 1946, perché a quel tempo, e fino al 1968, la volontà popolare si esprimeva prevalentemente attraverso le elezioni, non avendo i cittadini il modo di far conoscere ai palazzi del potere – come invece avviene oggi attraverso i social – le proprie delusioni, i propri desideri e le proprie arrabbiature in tempo reale. Insomma un Saragat, un Terracini o un Enrico De Nicola, non avevano il polso del Paese, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella invece sì
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La tormentata vicenda politica di questi giorni, al netto della pochezza stratosferica di tutti i suoi attori, almeno una cosa l’ha chiarita: la nostra Costituzione necessita di un restauro urgentissimo! Molti italiani sono a domandarsi perché, dopo la fine ingloriosa del governo retto dal M5S e dalla Lega, il presidente della repubblica voglia dare l’incarico di formare un nuovo governo allo stesso Conte che ha convocato al Quirinale, sorretto questa volta da una diversa maggioranza, e perché invece non abbia dato la parola agli elettori, come loro stessi avrebbero preferito. Tra l’altro, dovendo essere questo di Conte un “governo del cambiamento” come sostengono i diretti interessati, vuol dire che egli dovrà disfare ciò che ha appena fatto assieme a Salvini, alla faccia della decenza e della coerenza politica e personale.
Purtroppo, ad ogni crisi di governo entra puntuale in campo l’articolo 94 della Costituzione, il quale impone e/o consente al presidente della repubblica di verificare l’esistenza di una nuova maggioranza in Parlamento prima di eventualmente decidere per le elezioni, ciò perché «Il Governo deve avere la fiducia delle due Camere». Come dire che deve avere i voti necessari per tirare avanti, e il governo giallorosso li ha.
Tutto a posto allora?
Ma proprio per niente! Anzi, a questo punto una riflessione s’impone sul vizietto da repubblica delle banane di prodursi impunemente in disinvolti salti della quaglia tradendo gli elettori, a maggior ragione in un momento che forse vedrà la più vistosa incrinatura della storia tra l’Italia ufficiale e quella reale.
Una legge, anche la suprema legge dello Stato, è figlia del suo tempo e perciò, fatti salvi i principi di intangibilità della democrazia, essa va quantomeno attualizzata perché – giusto per capirci – l’Italia e il mondo di oggi sono totalmente diversi dal 1946/47 quando fu scritta la nostra Costituzione. Tra l’altro, i 552 costituenti che la prepararono (per la maggior parte da poco rientrati dall’estero perché esuli) erano, per età e formazione, dei figli dell’Ottocento che si trovarono a dover decidere per una società che era già avanti di loro di almeno 10 anni. Ma bisogna anche dire che quando essi lavorarono alla carta costituzionale non potevano avere il polso del popolo italiano se non i numeri del risultato referendario peraltro parziale perché non poterono votare gli italiani della provincia di Bolzano, di alcuni Comuni della provincia di Trento, Gorizia, Trieste, Pola e Fiume, più centinaia di migliaia di prigionieri di guerra all’estero. In ogni caso, a quel tempo, e fino al 1968, la volontà popolare si esprimeva attraverso le elezioni, non avendo i cittadini modo di far conoscere – come invece avviene oggi attraverso i social – le proprie delusioni, i propri desideri e le proprie arrabbiature. Insomma un Saragat, un Terracini o un De Nicola, non potevano allora avere il polso del Paese, Sergio Mattarella invece sì. Egli sa benissimo, insomma, che la maggior parte degli italiani non voleva questo “nuovo” governo, ma nuove elezioni.
E se non lo sapeva, per scoprirlo non gli sarebbe servito chissà cosa: bastava chiedesse al suo capo ufficio stampa quali erano le prevalenti desiderata della maggior parte di quei 55 milioni di italiani che si collegano ogni giorno ad internet, oppure di quei 35 milioni di essi che vanno a tumultuare sulle piattaforme social (Fonte: We Are Social con Hootsuite), dove la stragrande maggioranza dei cittadini esprime il proprio pensiero in tempo reale. Questo panegirico per dire che Mattarella, prima di ridare l’incarico a Conte, dovrebbe ricordare che la maggioranza parlamentare che si accinge a sostenere il governo non rispecchia più la volontà della maggioranza del popolo, e pertanto quello che tra poco inizierà sarà un governo nato contro la maggioranza del popolo italiano. E non ci venga a dire che lui non è un presidente social perché la tornata precedente – quando i grillini ancora fingevano di essere parossisticamente democratici – dovette aspettare nelle dorate stanze del Quirinale il responso della piattaforma Rousseau prima di poter assegnare l’incarico.
Governo che nascerà, dunque, contro il popolo italiano?
Si, per una ragione semplice e allo stesso tempo molto complessa: l’articolo 1 della nostra Costituzione afferma il presupposto che «… la sovranità appartiene al popolo…». Come dire che, stante i tempi, i personaggi in campo e la discrasia venutasi a creare tra il popolo e il Parlamento, alcuni articoli della Costituzione stanno tradendo il loro presupposto fondante. E sarà sempre peggio perché la velocità dei tempi con i quali si palesa la volontà delle masse non coincidono più con quelli della politica. È un bene? È un male? Di certo è un fatto.
In questi giorni di passione è stato spesso citato, anche a sproposito, un predecessore di Mattarella al Quirinale, Sandro Pertini, del quale vogliamo ricordare un passaggio del suo messaggio di fine anno 1982 agli italiani: «Cercate di darvi una fede politica, respingete però quelle idee politiche che non presuppongono il concetto di libertà, altrimenti andreste verso la vostra rovina».
E in coscienza non crediamo che, nonostante i tentativi di usare la Costituzione come paravento, il trasformismo di questi giorni e quanto è avvenuto in queste ore nei palazzi alti della politica abbiano avuto molto a che vedere con il concetto di libertà e democrazia pertiniano.