Soltanto le vetrine iniziano a rompersi nelle proteste dei giovani?

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Almeno fino ad oggi, nelle proteste dei giovani che in questo periodo improvvisamente nascono e altrettanto improvvisamente spariscono grazie ai social, non sta avvenendo nulla che non sia già accaduto anche in passato, nel Sessantotto ad esempio. Sennonché, a distanza di oltre mezzo secolo da quella stagione di contestazione giovanile, sulla scena italiana ed europea si è affacciato un protagonista nuovo: il figlio dell’immigrato islamico presente nelle nostre città e loro periferie, il cosiddetto immigrato di seconda generazione che poi è soltanto un nuovo italiano
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Lo scorso mese di ottobre, tre minorenni riminesi, in verità non nuovi a bravate del genere, postarono su di un social network la loro foto mentre urinavano su di un’auto dei Carabinieri senza equipaggio. Ebbene, una volta denunciati, il Pm della Procura Minorile di Bologna ha ritenuto di non dover perseguire i tre cazzoni perché, quella loro, è stata una bravata più che un reato, “…per quanto espressione di un atteggiamento censurabile di mancanza di rispetto e educazione”.

Per carità, è legittimo non essere d’accordo con quel magistrato dalle vedute così liberali e, tuttavia, non crediamo che, mentre il Paese sta conducendo malamente contro il coronavirus una battaglia che fino ad oggi ci è costata più di 100.000 morti, la priorità delle istituzioni siano le goliardiche pisciate di adolescenti frustrati, caricati come una molla dai confinamenti in casa e pronti a schizzare, quando possono, oltre i confini dell’ordinario buonsenso: una buona lavata di testa del Comandante della Stazione dei Carabinieri a loro ed ai genitori sarebbe stata più che sufficiente. Siamo diventati di larghe vedute in fatto di educazione dei giovani? No, siamo diventati soltanto più attenti nel guardare “oltre” i singoli accadimenti.

Più o meno negli stessi giorni della bravata degli adolescenti riminesi, esattamente lo scorso 26 ottobre, bande di giovani tra i quali tredici minorenni, hanno messo a soqquadro il centro di Torino, tra via Roma e Piazza Castello, svaligiando nella circostanza una quarantina di negozi griffati per protestare, sostenevano, contro l’ennesimo Dpcm del governo Conte. Ebbene, a prima vista gli accadimenti di Rimini e di Torino sembrerebbero essere riconducibili a una delle tante bravate di giovani che non stanno prendendo per niente bene la restrizione dei loro spazi di libertà e di socialità, spazi che pensano, purtroppo, di poter ritrovare intruppandosi in sommovimenti di piazza improvvisati, magari organizzati col tam-tam via social.

Fin qui nulla che non sia accaduto anche in passato, quelli della nostra generazione hanno già visto qualcosa del genere, proteste dei giovani organizzate con i fogli ciclostilati – al posto di Facebook o di Tik Tok – durante la ribollente congerie sessantottina, allora che i giovani si ribellavano al “sistema”. Sennonché, a distanza di oltre mezzo secolo, sulla scena si è affacciato un protagonista nuovo: il figlio dell’immigrato islamico presente nelle nostre città e loro periferie, il cosiddetto immigrato di seconda generazione. Infatti, tra i facinorosi di Torino, per buona parte italiani in verità, la Polizia ha scovato anche alcuni giovani marocchini ed egiziani nati nel nostro Paese.

E questo, che potrebbe sembrare un banale dettaglio è, invece, foriero di pericolo perché, secondo noi, potrebbe riproporre in Italia quanto già accaduto nelle banlieue delle metropoli francesi, dove il jihadismo ha reclutato, fino ad oggi, la propria, mortifera manovalanza per gli attentati in Europa. E una tale ipotesi non è così peregrina se soltanto si pensa che, appena una settimana fa, la Polizia ha fermato, a Bari, un trentaseienne algerino-belga accusato di aver partecipato al compimento, tra le altre, della strage nel teatro parigino del Bataclan il 13 novembre del 2015. Questi, come i fratelli Kouachi, autori del macello nella redazione del giornale satirico Charlie Hebdo, e Amedy Coulibaly, uccisore degli ostaggi presi al supermercato Kosher di Parigi, è anch’esso un islamico di seconda generazione.

Per carità, è lontana da noi anni-luce l’idea di sostenere che tutti i giovani islamici presenti in Italia siano dei potenziali terroristi e, nondimeno, suggeriamo a chi di dovere di alzare il livello di attenzione perché, in questo particolare momento storico, essi sono emotivamente i più esposti alle sirene del terrorismo panislamista che, come le Brigate Rosse, pesca soprattutto laddove alberga la frustrazione sociale. E di una siffatta frustrazione nell’ambiente degli immigrati in generale ve n’è a iosa. Il livello di attenzione, però, non si alza soltanto aguzzando la vista o inasprendo le leggi ma anche, e soprattutto, con il pragmatismo, col realismo politico, col tagliare l’erba sotto i piedi agli eventuali reclutatori.

Secondo la Fondazione Ismu – Iniziativa e Studi sulla Multietnicità, il numero degli islamici presenti nel nostro Paese nel 2016 si aggirava intorno al milione e mezzo di persone, e non tutte con i documenti in regola aggiungiamo noi. Questo il freddo dato numerico, peraltro spesso agitato a sproposito sia dagli immigrazionisti che dagli anti-immigrazionisti, mentre il problema di fondo, ieri come oggi, era ed è che cosa fare di essi. Li ributtiamo di nuovo a mare? Li imbarchiamo con un ponte navale ed aereo della durata di dieci anni per riportarli da dove sono venuti? Figuriamoci. Le cose più sagge da farsi a questo punto sono, secondo noi soltanto due: regolarizzare quelli che ci sono e organizzarsi per non farne arrivare altri, se non nell’ambito di un progetto di (vera) concertazione distributiva europea. E, per quanto possa sembrare strano, per la sua composizione “ecumenica”, questo di Draghi potrebbe essere il governo facitore dell’impresa.

Ma poi, una volta sistemate le cose, siamo sicuri di riuscire ad evitare che in futuro si radicalizzino le proteste dei giovani islamici di seconda generazione presenti nel nostro Paese? Questa sicurezza non ce la può dare nessuno, ma almeno avremmo creato le premesse affinché non possa prendere corpo, a breve, l’evenienza peggiore, e cioè che dalle bravate si passi a manifestazioni via via più impregnate di carica religiosa e d’informi, ma prevedibili, rivalse sociali.

In altre parole, dobbiamo incominciare a guardare lontano se vogliamo evitare che avvenga l’islamizzazione delle future proteste dei giovani islamici di seconda generazione i quali – a differenza dei loro padri che hanno conservato un legame con la loro terra d’origine – non si sentono più libici, o algerini, o marocchini ma neppure italiani … in un’Italia che, peraltro, fa sentire stranieri perfino noi. Ragion per cui la religione rimane l’unico loro collante identitario. Con tutto ciò che potrebbe comportare.

Ma quello di saper guardare lontano lo vediamo un esercizio che va di molto oltre le possibilità dell’attuale classe politica.

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