Siamo sicuri che la ricetta economica di questo governo sia sbagliata?

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Per la debolezza dei governi che via via si succedevano alla guida del Paese, un regime sulla carta liberaldemocratico ha operato per mezzo secolo all’insegna di un assistenzialismo fine a se stesso, per il fatto di avere in corpo il “partito della spesa pubblica”, ovvero il più forte partito comunista dell’Europa occidentale. Il risultato è stato il quinto debito pubblico più alto al mondo
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Per quanto la Cina, a causa del sistema economico e produttivo che ha messo in piedi, stia facendo sobbalzare nella tomba sia Marx che Keynes per la deliberata commistione tra liberismo e statalismo, quello del dragone è stato l’unico governo al mondo ad aver preso immediatamente atto di una prospettiva che, all’indomani della caduta del muro di Berlino, era disegnabile da qualsiasi studente di economia al primo anno. Sì, perché era abbastanza intuibile che il marxismo sarebbe morto in breve tempo e il capitalismo si sarebbe via via infiacchito una volta privato degli stimoli adrenergici che gli venivano dal suo più coriaceo avversario.

Ma il capitalismo è oggi in affanno anche perché l’unica prospettiva che ha saputo additare al mondo è stata quella stessa che nel 1840 il ministro François Guizot consigliò ai francesi: «Arricchitevi!». Sottovalutando il fatto che, in una società complessa come quella odierna anche l’arricchimento ha i suoi ineludibili presupposti.

Infatti, per avere oggi un minimo di possibilità di “arricchirsi”, i cittadini dovrebbero vivere in un regime produttivo e finanziario di economia reale, perché soltanto una siffatta economia può produrre una ricchezza che sia altrettanto reale. Invece, negli ultimi trenta o quaranta anni l’Occidente, ma soprattutto il nostro Paese, ha operato nell’ambito di quella che si è soliti definire economia finanziarizzata, ovvero basata non tanto sulla produzione di beni reali, quanto sui passaggi di mano dei pacchetti azionari e sui perversi giochi di borsa. E il latte, le patate, la carne, gli abiti, le scarpe, i macchinari e la tecnologia digitale? Beh, questi prodotti abbiamo preferito comprarli all’estero perché con le assurde tasse che gravano sul lavoro degli italiani, è più conveniente farli arrivare dalla parte opposta del globo terrestre.

Nel caso nostro, poi, v’è stata l’aggravante del fatto che un regime sulla carta liberaldemocratico ha, in realtà, operato per mezzo secolo all’insegna di un assistenzialismo fine a se stesso, per il fatto di avere in corpo il “partito della spesa pubblica” per definizione, ovvero il più forte partito comunista dell’Europa occidentale. Il risultato è stato il quinto debito pubblico più alto al mondo, il quale è sempre là, come un insaziabile Moloch pronto a divorare sia il presente, sia il futuro d’intere generazioni.

Sicché il cercare di rabbonire quel Moloch con delle leggi che contraggono la spesa e aumentano le tasse come hanno fatto gli ultimi governi fino allo scorso 4 marzo, non ha fatto altro che peggiorare lo stato di salute della nostra economia: è stato come se un medico per guarire un paziente affetto da anemia perniciosa gli diminuisse le trasfusioni e ne aumentasse i salassi! Riprova ne è che la politica finanziaria dei precedenti governi, non avendo messo denaro in circolazione perché tesa principalmente o al taglio del costo dei servizi, o al salvamento del sistema bancario, ha peggiorato la situazione.

L’unica inversione di tendenza – piaccia o meno – nell’ultimo mezzo secolo è stata la decisione di questo governo di voler mantenere il rapporto deficit/Pil al 2,4% peraltro di gran lunga inferiore ai Pil degli ultimi otto anni che sono stati i seguenti: 5,3% nel 2009; 4,2% nel 2010; 3,7% nel 2011; 2,9% nel 2012; 2,9% nel 2013; 3% nel 2014; 2,6% nel 2015; 2,5% nel 2016; 2,1% nel 2017. Anzi, Renzi nel 2017 propugnava addirittura un patto con Bruxelles per stare intorno al 2,9% per almeno cinque anni. D’altronde, dopo la rivolta dei gilet gialli, è proprio questo che si accinge a fare la Francia di quel Macron idolatrato dalle multinazionali, dall’Unione europea e dal commissario Pierre Moscovici.

Purtroppo, sembra che la Francia in campo economico possa fare cose a noi negate, sicché ora che sono potenzialmente disponibili trenta miliardi di euro da mettere in circolazione a sostegno dei ceti deboli, sia l’Unione europea, sia l’opposizione interna (che si definisce in massima parte di sinistra) stanno facendo una guerra senza quartiere al governo gialloverde… fosse mai che la manovra dovesse davvero riuscire.

Tuttavia, a preoccuparci non è la finanziaria comunque concepita da questo governo, e neppure la pretesa di chi vorrebbe sostituirla con una delle ricette che non hanno funzionato fin qui, a preoccuparci è il fatto che la nostra classe politica continua ad essere, diciamo così, inadeguata. Sì, perché i problemi economici che hanno messo in ginocchio il Paese non possono essere affrontati in chiave ideologica come si sta invece facendo in nome di quelle contrapposizioni politiche che caratterizzarono sia il tardo Ottocento che tutto il Novecento. È bene che lo si capisca una volta per tutte: il sogno di poter creare una perfetta società comunista o una perfetta società capitalista è morto, è kaputt per sempre!

A certificarlo sono stati gli stessi eredi dei due trapassati sistemi, ossia la Cina (ma non dimentichiamo neppure la Russia) che ha dovuto mandare in soffitta i dogmi del comunismo, e gli Usa che con il crollo dei mutui subprime hanno sperimentato – sulla nostra pelle che però – che il “compra oggi e paga in comode rate” è truffaldino senza una produzione industriale di sostegno perché, per consentire all’operaio di pagare il muto della casa, bisogna difendere il suo posto di lavoro. Al riguardo consigliamo vivamente ai nostri politici di andare a ripassare un concetto di Henry Ford, il fondatore della Ford Motor Company: «Strapago i miei operai perché devono essere in grado di acquistare l’auto che producono». E così può darsi che la smetteranno d’inondarci di coglioneschi selfie per iniziare ad occuparsi seriamente della prima, grande, dimenticata vittima di questo malmesso sistema e che, ironia della sorte, paga loro un lautissimo stipendio: l’operaio.

Per risollevare l’Europa della gente dalla grande depressione seguita alla crisi economica del 2006, probabilmente bisognerà inventarsi un New Deal di portata continentale. E, pur facendo la tara sulla mediocrità di tutti gli attori disponibili per un compito così difficile, ci sentiamo di poter sostenere che la riforma economica di questo governo è quella che in piccolo – molto ma molto in piccolo – le rassomiglia di più.

Foto di copertina: Luigi Di Maio con Matteo Salvini (foto Il Foglio)