In marcia per la vita, i militari non hanno tempo per i denigratori

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Per le sue implicazioni ideali, per la stragrande maggioranza dei soldati le uniformi militari luccicano come un’antica corazza posta a difesa dei più deboli, della democrazia e della libertà anche se, a quanto pare, questo suscita brividi di terrore in alcuni nostri connazionali, soprattutto connazionale, il che come minimo lascia senza parole. È inutile sottacere che tali brividi provengono da un’area politica, bisogna dirlo, che si ritiene depositaria di una superiorità culturale e morale accampata in base a competenze e conoscenze che la maggior parte degli italiani ignora
– *Mauro Arnò –

Quando ero un bambino sognavo di essere un soldato. Il soldato era per me il Cavaliere senza macchia e senza paura, che difendeva i deboli dai cattivi e dalle ingiustizie. Forse, inconsciamente, avevo maturato questa convinzione pensando a mio padre, Carabiniere in una piccola Stazione di provincia, sempre attento alle persone che si rivolgevano a lui ed ai suoi colleghi per risolvere piccoli o grandi problemi quotidiani e che, mai, andavano via insoddisfatte.

Ricordo la religiosa cura con cui mio padre riponeva l’uniforme (guai a chiamarla divisa!) quando rientrava in casa; sento ancora l’odore del cuoio della bandoliera che lui puliva con grande cura, facendone brillare gli ottoni come fossero piccole stelle lucenti.

Per questo, nel corso della mia adolescenza, non ho mai desiderato altro che essere un soldato. Desiderio che, con impegno e sacrificio sono riuscito a realizzare divenendo, a mia volta soldato e Ufficiale. Finalmente ero diventato anch’io un cavaliere senza macchia e senza paura e potevo difendere i deboli dai cattivi e dalle ingiustizie!

Per quasi quaranta anni, con indosso l’uniforme, ho servito la mia Patria cercando di inculcare in migliaia di giovani militari affidatimi dallo Stato in quanto Comandante a vari livelli, il rispetto per la Costituzione e per le leggi della nostra Repubblica, la tutela della democrazia e dei Cittadini, la protezione dei deboli e degli indifesi, considerando questo dovere il compito più elevato e nobile che un uomo potesse essere chiamato a compiere.

Con lo stesso spirito di servizio ho prestato la mia opera e impegnato la mia professionalità e competenza – maturate in decenni di attività addestrative e corsi di formazione – nelle mie missioni all’estero, operando in contesti di crisi e di guerra, sempre cercando di alleviare, per quanto fosse in mio potere, le sofferenze di popolazioni povere e disperate, tentando di ricostruire per loro, almeno al minimo, condizioni di vita e di libertà più dignitose. Mesi e anni trascorsi in condizioni disagiate, lontano dagli affetti più cari, in situazioni di pericolo incombente, ma sempre seguendo l’ideale del Cavaliere senza macchia e senza paura, indossando con orgoglio l’uniforme con lo scudetto tricolore sempre in bella mostra.

Poi un giorno, finalmente ricondotto all’affetto dei miei cari dalla pensione, ascolto in televisione e leggo su alcuni giornali che la mia uniforme, che per me luccicava come una corazza medievale perché ricordata, stimata ed apprezzata dalle popolazioni civili della Bosnia, del Kossovo, del Libano e dell’Afghanistan, in Italia incute timore, suscita brividi di terrore dittatoriale. Ciò perché alcuni miei connazionali, sedicenti depositari di una superiorità culturale e morale, suppongono – sulla base di chissà quali competenze e conoscenze – che chi indossi un’uniforme sia violento per dovere di ufficio, guerrafondaio, ignorante e autoritario, in altre parole, un dittatore in pectore.

Allora mi sono chiesto a cosa siano valsi tutti i sacrifici sopportati nel corso degli anni, a che cosa siano valse le rinunce a trascorrere le festività con i propri cari perché il dovere di soldato e di Comandante imponeva di trascorrerle con il proprio reparto. Mi sono anche ricordato dei pericoli di quando in operazione all’estero percorrevo un sentiero senza sapere se qualche bomba di mortaio o di RPG mi aspettasse più avanti, tenendo sempre in alto il buon nome d’Italia. E se poi sedicenti intellettuali, imbonitori di grido e guru della carta stampata affermano di provare timore o ilarità nel vedere un uomo, o una donna, in uniforme impiegare tutta la sua competenza e professionalità per trascinarci fuori dal baratro di questa pandemia dove ci avevano lasciati i cosiddetti esperti, i vari comitati tecnici e manager del precedente governo, ce ne faremo una ragione. Se ad un anno e più dall’avvento di un flagello che ha causato quasi 120.000 morti e distrutto l’economia del settimo Paese più industrializzato al mondo, gli amici e fiancheggiatori dei suddetti guru non hanno saputo fare altro che lasciarci in eredità una campagna vaccinale tutta da organizzare, inutili banchi a rotelle, progetti di gazebo-primule più costose di un diamante, monopattini e, purtroppo, un futuro incerto, beh, noi militari la loro ilarità, la disistima di questi pericolosi incapaci ce l’appuntiamo al petto come una medaglia al valore.

Signori progressisti, ed è inutile girarci intorno perché i denigratori dei militari provengono da quell’area politica, quando incontrerete un uomo o una donna in uniforme, ricordate che questi, anche a costo della loro vita, hanno giurato in presenza del Tricolore di rispettare e far rispettare “… la Costituzione e le Leggi” a beneficio di tutti i cittadini, anche di quelli che, come molti di voi, li deridono a causa di una deformazione ideologica che parte da molto lontano. Peraltro, costoro non hanno neppure le carte morali in regola per potersi permettere certi lussi. Infatti, se andiamo a spulciare l’elenco dell’oltre un migliaio d’indagati dalla magistratura in tutta Italia per aver saltato la fila dei vaccini, troviamo gentaglia di ogni tipo e, dispiace dirlo, proveniente per buona parte dalla politica e, in particolare, dal brodo di cultura della Sinistra, dalla schiera di quelli che hanno sempre il ditino puntato contro qualcuno e si riempiono la bocca di onestà e democrazia da mattina a sera.

Sapete quanti salta-fila abbiamo avuto, invece, nei ranghi militari?

Nessuno.

Altro che dittatori!

* Colonnello (r) dell’Esercito Italiano

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