È giunto il momento che il presidente della Repubblica la smetta con i pistolotti da oratorio buoni per ogni occasione e, anche come capo del Csm, chiarisca una volta per tutte quali sono il corretto ruolo e i limiti della magistratura fissati dalla Costituzione, oppure il Centrodestra faccia quello che, per la sua natura liberale e libertaria è storicamente restio a fare: portare il suo popolo in piazza
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Come Dio volle, nel giro di una quindicina d’anni dalla fine della II Guerra Mondiale disastrosamente persa, i nostri padri col loro indefesso e duro lavoro, con feconda inventiva, riuscirono a far emergere dalle macerie della sconfitta l’Italia del “miracolo economico”. In quel lasso di tempo, grazie anche alle imprese straniere che numerose vennero a investire in Italia fin quando il regime fiscale non divenne predatorio, lo Stato ebbe i soldi necessari per mettere in piedi e sostenere la ricostruzione e un moderno welfare. Insomma, fu un buon periodo per tutti, tanto da suggerire anche il rientro in Patria di buona parte dei nostri immigrati in Belgio, in Germania e nell’America Latina. Ma per aiutare chi ci legge a capire dove vogliamo andare a parare, partiamo da un po’ più lontano.
Nel 1947, con l’estromissione del Partito Comunista dal governo del Paese, si ruppe quel “patto di omertà” (il copyright è dell’ideologo comunista Alberto Asor Rosa) che aveva fin lì consentito a tutti i partiti, sia di maggioranza che di opposizione, di ritagliarsi quote di gestione del potere corrispondenti, grosso modo, alla percentuale dei voti presi nelle urne. Però, relegando il Pci all’opposizione, l’allora partito di maggioranza relativa, la Democrazia Cristiana, per governare, eccetto missini e comunisti, dovette inventarsi il Centrosinistra e allearsi con tutto il cosiddetto arco costituzionale, come dire socialisti, repubblicani e liberali, ognuno con la sua visione di Paese. E fu l’inizio della fine per la credibilità e l’efficienza della classe politica: riuscite a immaginare la durata e l’utilità di governi che, per poter sopravvivere in media qualche anno, dovevano barcamenarsi tra visioni politiche diverse e contrapposte?
Infatti, la visione della società italiana e dei meccanismi produttivi del Paese da parte del partito di maggioranza relativa era opposta a quella dei socialisti, poteva a stento coesistere con la visione dei liberali ed era in antitesi con il rigore economico dei repubblicani. A questo punto molti giovani nati negli anni Novanta del secolo scorso si staranno domandando come cacchio abbiano fatto, per circa mezzo secolo, partiti così diversi a governare l’Italia fino allo tsunami di “Mani Pulite” e alla successiva discesa in campo di Berlusconi… come ci riuscirono? Ci riuscirono con l’applicazione costante di un metodo che, se è di breve durata e non diventa esso stesso un obiettivo, può salvare una legislatura o un progetto politico importante, ma se dura mezzo secolo è capace di massacrare un Paese: il compromesso a ogni costo. Di questa debolezza degli esecutivi multicolore ne approfittarono un po’ tutti: i politici del sottobosco, i sindacati con richieste economiche sempre più insostenibili e una pubblica amministrazione tanto elefantiaca quanto esosa e inefficiente.
Basti pensare che nel 1973 furono mandati in pensione dipendenti pubblici che non avevano nemmeno quarant’anni di età, con 14 anni, 6 mesi e un giorno di contributi: le cosiddette baby pensioni che rimarranno in corso fino al 1995. Oggi, invece, per far quadrare il bilancio dell’Inps dobbiamo avere gente che veleggia verso i settant’anni ancora al lavoro sulle impalcature dei cantieri edili. E cosa dire della prodigalità di uno sconcertante capataz democristiano dell’epoca, Remo Gaspari di Gissi (un paesino con più o meno 2.500 abitanti arroccato su di una collina in provincia di Chieti), che fu parlamentare in dieci legislature e ministro per ben quattordici volte. Ebbene, grazie a “zio Remo” come lo chiamavano i suoi sterminati clientes, il borgo di Gissi, fatte le debite proporzioni, ebbe più servizi e infrastrutture pubbliche della capitale della Svezia: uno stabilimento che produceva delle famose calze per signore, un ospedale nuovo di pacca con 200 posti letto – uno ogni tredici abitanti – una piscina olimpionica, un palazzetto dello sport, un bocciodromo, uno stadio, il mercato coperto, una casermetta della guardia forestale e tutti gli ordini di scuole.
Possibile che la Magistratura contabile del tempo, nei suoi controlli di legittimità preventivi e successivi della spesa, non abbia mai avuto nulla da ridire sulle follie di quei saccheggiatori del pubblico erario? E la Magistratura ordinaria che, facendo inorridire il mondo scientifico internazionale, ha processato perfino i sismologi che non erano riusciti a prevedere – una cosa impossibile – il terremoto dell’Aquila? Non c’erano, e se c’erano dormivano. Eppure fino al 1992 la Magistratura italiana, per quanto non si fosse ancora scrostata di dosso la concezione del ruolo punitivo della giustizia che le aveva assegnato il fascismo, aveva svolto in modo abbastanza dignitoso il proprio lavoro, fino a quando, un po’ tutti in Italia, non ci facemmo abbacinare da Antonio Di Pietro, un Pm ex poliziotto dall’italiano e dalla conoscenza giuridica piuttosto incerti. Ci innamorammo di lui mentre faceva a pezzi i partiti che in quasi cinquant’anni avevano esercitato il potere, tenendo comunisti e derivati, che pure avevano intascato miliardi di rubli di finanziamenti occulti dall’Unione Sovietica, al margine dell’inchiesta anche perché il compagno dalla gola (poco) profonda, Primo Greganti, dimostrò di avere più palle di tutti gli altri inquisiti che si sbracarono subito, come Forlani con la bava alla bocca d’avanti all’accusatore, o se ne scapparono in Nordafrica come Bettino Craxi.
La politica, che evidentemente aveva molti scheletri nell’armadio, non seppe arginare il chiaro disegno della magistratura, ormai in pieno delirio di onnipotenza, di delegittimarla per partito preso. Ricordo in quei concitati mesi un episodio che mi vide testimone diretto e che la dice lunga su quanto stava accadendo: un procuratore militare del Meridione inviò un avviso di garanzia con un semplice modulo di messaggio all’allora comandante della Regione Militare Meridionale soltanto perché questi, un generale di Corpo d’Armata che aveva ben altri cazzi a cui pensare con decine di migliaia di uomini sotto di sé, non gli aveva mandato il soldato elettricista per riparare un’inefficienza elettrica in Procura.
Stava accadendo, e sta ancora accadendo purtroppo, ciò che aveva previsto lo scrittore e saggista Piero Meldini nella raccolta di scritti “Italia moderna” nel 1984: «Per quanto riguarda la Magistratura, la maggiore preoccupazione della Costituente fu di stabilire, nelle forme possibili, la separazione dei poteri, emancipando il potere giudiziario da quel rapporto di subordinazione all’esecutivo che il fascismo aveva bensì ereditato dallo Stato liberale […] L’autonomia relativa – come l’ha definita Ambrosini – non tarderà a degenerare in privilegio, intoccabilità e irresponsabilità e, soprattutto, a consentire di perseguire disegni politici “paralleli”, tanto più pericolosi in quanto mascherati».
E col senno del poi, possiamo oggi sostenere che “Mani Pulite” fu il primo tentativo mascherato di cambiare la fisionomia politica dell’Italia. Poi arrivarono i plebisciti delle urne a favore di Silvio Berlusconi e del Centrodestra che scompaginarono l’ordito, ma non l’obiettivo della Magistratura rossa di mettere sotto tutela il Parlamento e i governi, anzi, a un certo punto il suo delirio di onnipotenza lievitò al punto che s’iniziò a parlare di una “Mani Pulite Europea”. Però, la protervia di alcuni magistrati non era ancora arrivata a dichiarare apertamente di voler mettere sotto scacco i governi votati dal popolo e dai suoi rappresentanti in Parlamento ma, mentre stiamo scrivendo, pare sia caduto anche questo velo di pudore, stante quanto scritto in una e-mail a dei suoi colleghi dal magistrato Marco Patarnello che – pensate in che mani siamo andati a finire – è il sostituto Procuratore della Corte di Cassazione, a proposito della non convalida dell’espulsione dei migranti via Albania: «Indubbiamente l’attacco alla giurisdizione non è mai stato così forte, forse neppure ai tempi di Berlusconi. In ogni caso oggi è un attacco molto più pericoloso e insidioso per molte ragioni. Innanzitutto perché Meloni non ha inchieste giudiziarie a suo carico e quindi non si muove per interessi personali ma per visioni politiche e questo la rende molto più forte. E rende anche molto più pericolosa la sua azione, avendo come obiettivo la riscrittura dell’intera giurisdizione e non semplicemente un salvacondotto».
Insomma, pare di capire che, secondo questo magistrato della Cassazione, la capo del governo è pericolosa perché è una persona perbene, una premier disinteressata… quale concorso di nefaste circostanze ha portato questa genia di magistrati a decidere sulla nostra vita e su quella del governo votato dalla maggioranza degli italiani? Perché la magistratura non intende rientrare nei ranghi che le ha assegnato la Costituzione? E sì, perché è inutile girarci intorno, la e-mail del magistrato Patarnello è una chiamata alle armi della magistratura contro un governo eletto dal popolo e, pertanto, è da considerarsi un atto eversivo e come tale andrebbe perseguito. Altro che i pistolotti di Mattarella!
E l’accadimento è particolarmente pericoloso, oltre che grave, perché, nello stesso momento in cui questo accadeva, Pd, M5S e Avs (Alleanza Verdi e Sinistra) presentavano un’interrogazione al Parlamento Europeo, con la quale chiedevano di aprire una procedura d’infrazione contro l’Italia, il loro Paese, per l’accordo con Tirana sui flussi migratori. Non è che si erano messi d’accordo prima Magistratura Democratica e Sinistra? Non abbiamo prove per sostenerlo, però certe coincidenze inquietano e già il fatto che il cittadino comune possa sospettarla una siffatta concertazione, dimostra a che livello è scesa la credibilità della Magistratura, che era già al lumicino da qualche anno. Tutto questo è molto pericoloso per la democrazia grazie, soprattutto, al collateralismo della Sinistra che avrà pure smesso di richiamarsi al Partito Comunista e all’Unione Sovietica, ma non ha smesso di adottarne i metodi. Ultimo dubbio: ma a sinistra avranno capito che quant’anche riuscissero a scalzare questo governo con l’aiutino dei magistrati poi ne diverrebbero fatalmente ostaggi?
A questo punto, o il presidente della Repubblica, che proviene dalla sinistra, la smette di fare il prete in oratorio e anche come capo del Consiglio Superiore della Magistratura (Csm) chiarisce una volta per tutte quali sono il ruolo e i limiti della magistratura in un regime democratico-parlamentare, oppure il Centrodestra faccia quello che per la sua natura liberale e libertaria è storicamente restio a fare e, purtroppo, ne lascia l’esclusiva alla Sinistra: porti gli italiani in piazza a ribadire civilmente, ma fermamente, che essi vogliono essere governati dalla politica che liberamente scelgono nelle urne e non dagli sconfitti, dai tribunali assieme alla Sinistra giustizialista-sindacaloide-giornalaia. E, soprattutto, il governo acceleri il varo della legge sulla riforma della giustizia.
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