Con certi precedenti storici anche recenti riferiti proprio alla comunità pakistana in Italia, viene da domandarsi come sia stato possibile che la struttura “protetta” di Bologna, i servizi sociali di Novellara e i Carabinieri si siano svegliati quasi un mese dopo che Saman era misteriosamente scomparsa. Viene anche da chiedersi come abbia potuto, lo Stato, tradire la fiducia che la giovane pakistana aveva riposto in lui, affidandosi alla sua protezione ben conscia del pericolo che correva
– Enzo Ciaraffa –
La principale caratteristica che dovrebbe possedere uno Stato è la credibilità e la capacità di proteggere soprattutto quei soggetti in pericolo che ad esso si affidano per riceverne tutela.
Sorvolando sul fatto che lo Stato italiano versa, ormai, in una condizione d’incapacità patologica ad organizzare, almeno a grandi linee, la difesa degli interessi dei cittadini perbene, mi riempie di tristezza il costatare che le istituzioni sono state, ancora una volta, incapaci di assolvere i loro compiti, anche quando si è trattato di concentrarsi su di un singolo caso.
Saman Abbas era una ragazza pakistana residente con famiglia e parentado a Novellara, nella Bassa Reggina, e che appena un anno fa era scappata in Belgio per sottrarsi al matrimonio combinato con un cugino anziano, che vive in Pakistan e che lei neppure conosceva. Una volta ritornata in Italia dal Belgio la ragazza aveva trovato la forza di denunciare la sua situazione alle autorità italiane e quindi allo Stato del quale si fidava, visti i continui sproloqui delle più altre cariche istituzionali sulle tutele da garantire alle donne: lei ci aveva semplicemente creduto! Peraltro, a seguito di quella denuncia i genitori furono indagati per costrizione ed induzione al matrimonio, mentre i servizi sociali del Comune di Novellara e il Tribunale dei Minori decisero di affidare Saman ad una struttura protetta, lontana dai pericolosi parenti.
Ebbene, anche se non si è ancora capito se di propria volontà o perché irretita dalla famiglia, sta di fatto che l’undici aprile scorso la ragazza abbia fatto una puntata a casa pare per prelevare dei documenti e da quel momento di lei non si è saputo più niente. Soltanto il cinque maggio – in pratica un mese dopo – i servizi sociali e i Carabinieri sono andati a cercarla a casa, trovandola disabitata: l’intero nucleo familiare era svanito nel nulla. Da svariate indagini successive gli inquirenti hanno accertato che tutta la famiglia e il parentado di Saman se n’erano scappati in Pakistan, anche se dalla lista d’imbarco mancava il nome della ragazza, sicché a quel punto la Procura della Repubblica di Reggio Emilia ha dovuto aprire un fascicolo per il reato di omicidio. Ciò perché gli inquirenti avevano in mano le registrazioni di alcune telecamere installate nella zona che avevano ripreso tre persone, le quali con pale, secchio e un sacco pesante si dirigevano furtivamente nei campi alle spalle della casa di Saman a Novellara, ove sono ritornati tre ore dopo, molto probabilmente dopo il seppellimento della ragazza che, secondo un assurdo codice d’onore, col suo rifiuto aveva disonorato tutta la famiglia.
Ebbene, dopo il caso di Hina Saleem nel 2006 a Brescia e della venticinquenne italo-pakistana Sana Cheema nel 2018, entrambe uccise dai familiari soltanto perché volevano sottrarsi al matrimonio imposto dalle famiglie, era facile prevedere che nella comunità pakistana in Italia ciò sarebbe ancora accaduto perché, anche se le ricerche del corpo sono in corso, è quasi certo che Saman Abbas abbia avuto la stessa sorte. Ovviamente il padre, per vitare la teorica condanna a morte (in Pakistan vige la pena di morte), ha fatto sapere che la figlia sarebbe di nuovo scappata in Belgio senza peraltro fornirne le prove.
Con tali precedenti storici riferiti proprio alla comunità pakistana in Italia, viene da domandarsi come è stato possibile che la comunità “protetta” di Bologna, i servizi sociali di Novellara e i Carabinieri si siano svegliati quasi un mese dopo che Saman era scomparsa? Come ha potuto, lo Stato, tradire la fiducia che la giovane pakistana aveva riposto in lui, affidandosi alla sua protezione ben conscia del pericolo che correva?
C’è un altro aspetto di questa vicenda, come di quelle precedenti d’altronde, che mi lascia perplesso: dove sono andate a finire le femministe tanto al chilo; in quale dimensione si trovano adesso le parlamentari italiane o gli inventori di boiate tipo ministra, sindaca, avvocata o presidenta? In Parlamento s’inginocchierà qualcuno per ricordare queste ragazze coraggiose – molto più di uno Stato pavido ed imbelle – che hanno affrontato consapevolmente la morte per affermare la prima conquista di una donna, ovvero la scelta di chi amare?
Credo che non avverrà niente di tutto questo, perciò chiedo a Giorgia Meloni ed a Matteo Salvini – gli unici che si sono fatti sentire sul caso di Saman – di organizzare anche una veglia d’avanti al Parlamento affinché si svegli e prenda coscienza di un problema che uccide sottilmente, che riguarda la seconda generazione dei musulmani residenti nel nostro Paese. Non possiamo accettare di essere una sorta di bancomat dove gli immigrati, il più delle volte irregolari, dai nostri ordinamenti vogliono prendere soltanto gli appartamenti popolari, il reddito di cittadinanza e l’assistenza sanitaria, perché per il resto continuano a vivere nel loro mondo che, per molti aspetti, è ancora fermo al VII secolo d. C. .
E questa non è tolleranza da Stato democratico, né è accoglienza caritatevole ma soltanto stupidità, una stupidità che, ahinoi, ci rende tutti corresponsabili dell’uccisione di Saman.
Ed io non ci sto: nemmeno indirettamente voglio essere complice di questo Stato che consegna al boia chi a lui si affida!