Ri-scopriamoci con l’arte di Bagela

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Il pittore Bagela, durante il lungo confinamento in casa a causa del lockdown, sebbene in mancanza di quegli stimoli e sensazioni che soltanto la vicinanza fisica può dare, non ha scelto di chiudersi a riccio ma di vivere ancora più intensamente, oseremmo dire più intimamente, la propria arte facendo sì che la pausa forzata non divenisse anche la pausa del suo ardente spirito creativo
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La mostra del pittore Luca Galmarini, detto Bagela, che doveva tenersi già il 22 marzo scorso presso la Galleria della libreria Boragno di Busto Arsizio, è stata rimandata per ben due volte a causa del sopravanzare del Covid-19. Purtuttavia i lutti e le sofferenze provocati da questo coronavirus, oltre al confinamento in casa, al distanziamento fisico dai propri simili, alla mascherina chirurgica incollata sul viso ed a tutti i complessi problemi che ne sono derivati, non hanno infiacchito lo spirito creativo dell’artista ma, anzi, lo hanno maggiormente motivato. Grazie soprattutto alla tenacia di Francesca Boragno, la mostra di Bagela si terrà infatti dal 12 al 20 settembre e sarà aperta a tutti nel rispetto della norma sul distanziamento fisico. I padrini della mostra saranno il pittore e noto vignettista Donato Tesauro, assieme al grafico e direttore di questo blog Mario Tesauro, una coppia padre-figlio che ha dato vita a un interessante e fertile sodalizio artistico noto come Officina Tesauro.

Ma ritornando al nostro Bagela, durante il lungo confinamento in casa a causa del lockdown, sebbene in mancanza di quegli stimoli e sensazioni che soltanto la vicinanza fisica può dare, egli non ha scelto di chiudersi a riccio ma di vivere ancora più intensamente, oseremmo dire più intimamente, la propria arte facendo sì che la pausa forzata non divenisse anche la pausa del suo ardente spirito creativo. È stato così che l’artista ha avuto il tempo di rimpolpare la sua già prodigiosa produzione artistica con il quadro dal titolo – e quale sennò! – “Nuove distanze”, un Olio su tela 20×22, nella prospettiva della nostra rinascita, per quando avremmo tolto la mascherina e ci saremmo di nuovo ri-scoperti al mondo, alla sua gente, a suoi tesori e ai suoi trasalimenti artistici. La mostra di Bagela, infatti, vuole essere un cantico di speranza, capace di riunificare i popoli, così come il suo originale nome d’arte, sul quale vale la pena spendere qualche parola.

In origine il bagel era un panino lievitato con il buco in mezzo, la cui origine pare si debba ad un fornaio ebreo polacco di Cracovia, che lo produsse per celebrare la sconfitta dell’esercito turco alle porte di Vienna. A Combattere in quella storica battaglia nel 1683, oltre agli austriaci, vi furono anche i tedeschi, i toscani, i veneziani e i lombardi sicché, per il loro tramite, il bagel ebbe modo di essere conosciuto in Germania e in Italia, assumendo nomi diversi, come ad esempio bagela in Lombardia.

Ebbene, una volta conosciute le opere del Luca Galmarini, diviene facile capire perché egli abbia scelto per sé il nome di questo panino a forma di ciambella, apprezzato oggi in molti Paesi europei: come il bagela è diventato un simbolo capace di raccordare i diversi popoli, così lo stile di Galmarini riesce a raccordare i diversi impulsi dell’immaginazione di un temperamento multiforme e romantico, in un’epoca che, invece, ci vorrebbe irreggimentati nel conformismo della globalizzazione.

Lo spirito libero di Bagela, infatti, non ama essere incapsulato in una cliché artistico, in una moda oppure nel tempo, sicché la sua opera, a seconda dell’ispirazione e della mutevolezza dello stato d’animo, sa essere di volta in volta spazialista, geometricamente astratta o romanticamente figurativa. Ciò anche come estrema forma di protesta contro lo stato d’incertezza e di profondo disorientamento seguito alla globalizzazione dell’arte, incapace ormai di reagire ad una lancinante costatazione: non siamo più quelli di ieri, ma non sappiamo ancora che cosa vogliamo essere domani.

Questo ripensarsi della cultura e dell’arte si tocca con mano nelle opere di Bagela, si respira perfino, basta soffermarsi sull’acquerello Equilibrio precario, o sull’olio su tela Quotidianità, opere che se messe in sistema tra di loro sanno narrare meglio di uno scrittore la crisi d’identità dell’individuo contemporaneo, al quale non è lasciata altra via d’uscita che la rivolta culturale per riappropriarsene, per ri-scoprirsi.

Ma andiamo a sentire direttamente dalla sua voce che cosa dice di sé l’artista ad Enzo Ciaraffa nell’intervista che pubblichiamo per gentile concessione dell’azienda varesina “Vizual”.